Una lotta al gusto  di nocciola
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Una lotta al gusto di nocciola

C’è grande fermento nel mercato delle creme spalmabili, specialità italiana per eccellenza. Abbondano i marchi e se ne inventano di nuovi tipi. Ma i frutti da cui si ricavano questi prodotti non passano un buon momento. E la minaccia arriva dall’estero

Un settore goloso sotto tutti i punti di vista, industriale oltre che gastronomico. Le creme spalmabili alla nocciola hanno fanno leccare i baffi addirittura al re del Marocco che è sbarcato a Govone, provincia di Cuneo, per comprare il 100 per cento di Nutkao. L’azienda piemontese, da 320 milioni di euro di ricavi, è nota perché produce crema alla nocciola per conto di Esselunga, Conad, Carrefour, Walmart oltre ad altre private label della distribuzione tra Stati Uniti ed Europa. Fondata nel 1982 da Giuseppe Braida dopo una lunga esperienza alla Ferrero, Nutkao ora entra nella holding Al Mada, società di investimento partecipata in larghissima parte dal re Mohammed VI e dalla sua dinastia. L’operazione, realizzata tramite Teralys, il braccio operativo del gruppo specializzato in investimenti nell’agroalimentare, ha richiesto un esborso di 450 milioni. L’azienda è un boccone ghiotto, genera un margine operativo di circa 40 milioni che dovrebbe salire a 45 nell’anno in corso, ma è anche strategica. Dall’Africa infatti vengono le fave di cacao, la base essenziale per le creme alle nocciole. Non per niente Teralys aveva già investito in Patisen, gruppo senegalese della crema di cacao e arachidi. Quindi mai matrimonio poteva essere più giusto. Nel portafoglio di acquisizione compaiono altri due marchi: Boerinneke, secondo in Belgio per la produzione di creme al cioccolato, e Antichi Sapori dell’Etna, specialista nella lavorazione del pistacchio.

Ma come è noto la regina delle creme spalmabili è la Nutella, e anche per lei - nonostante viva un gran momento - ci sono novità. A 60 anni dal debutto della storica ricetta, si è reinventata per seguire le nuove tendenze del mercato. In Italia quasi un abitante su 10 segue una dieta vegana, tra le percentuali più alte d’Europa, così la Ferrero ha lanciato a sorpresa la Nutella vegana, in contemporanea con il sessantesimo anniversario, dimostrando capacità di innovarsi senza rinunciare alla propria identità. Il coperchio dei barattoli è verde, c’è scritto «Plant based», e gli ingredienti sono quasi gli stessi: mancano il latte scremato in polvere e la vanillina. Il primo è stato sostituito da ceci e sciroppo di riso in polvere per rendere il prodotto digeribile anche a chi è intollerante al lattosio, e la vanillina dal sale. Il costo lievita del 50 per cento rispetto al prodotto tradizionale passando da 8,54 a 12,82 euro al chilo.È un’operazione che strizza l’occhio anche a Bruxelles oltre che ai consumatori esigenti. La Nutella vegana rassicura sulla tracciabilità delle nocciole e garantisce la sostenibilità socio-ambientale degli ingredienti, temi cari alla Commissione europea.Il «Plant based» è stato seguito, a stretto giro, dal debutto delle crêpe alla Nutella nei supermercati Carrefour francesi: un surgelato già di grande successo.Il settore è in fermento e un’altra conferma è il recente intervento delle autorità francesi per bloccare nel porto di Marsiglia alcuni container di vasetti della crema algerina El Mordjene che, negli ultimi tempi, sta spopolando soprattutto in Francia, facendo concorrenza proprio alla Nutella. Il prodotto è in vendita da diversi anni e nessuno l’aveva bloccato, probabilmente perché era considerato «di nicchia», ma ultimamente sta conquistando quote di mercato, soprattutto grazie ad un’azione di marketing incalzante con il coinvolgimento di influencer e food blogger (su TikTok impazza) che lo elogiano paragonandolo al prodotto della Ferrero. Le autorità francesi hanno tirato in ballo l’art. 20 del Regolamento europeo sugli alimenti lattiero-caseari provenienti da Paesi terzi che non dispongono di determinati requisiti e che quindi non potrebbero essere importati, ma qualcuno ha sollevato il sospetto che in realtà si voglia proteggere il gruppo Ferrero. La multinazionale italiana con sede in Lussemburgo ha chiuso l’esercizio 2022/2023 facendo registrare un fatturato consolidato di 17 miliardi di euro (+20,7 per cento). Un trend in continua crescita proprio grazie alla Nutella. La sua versione vegana ha messo in fibrillazione i competitor, e in questa guerra delle nocciole spalmabili anche Valsoia ha fatto la sua mossa. L’azienda bolognese nata nel 1990, pioniera sul nostro mercato dei prodotti alternativi vegetali, ha creato la «Valsoia Zero». L’ad Andrea Panzani ne ha magnificato le caratteristiche di «altissima qualità palatale e salutistica, grazie alla sua formulazione 100 per cento vegetale, senza contaminazioni da latte, a zero zuccheri aggiunti e senza olio di palma». Basta entrare in un supermercato per capire che il settore è affollato. Tra le altre citiamo la Crema Novi, che vanta il 45 per cento di nocciole italiane, la Nocciolata Classica Rigoni di Asiago, con zucchero grezzo e pasta di nocciole (al 18,5 per cento), mentre nella linea Sapori&Dintorni di Conad troviamo la crema alla nocciola Piemonte Igp. Ma poi ci sono NaturaSì, Alce nero, Lindt, Amedei, Venchi e via elencando...

Difficile dire chi conquisterà i consumatori, ma intanto le nocciole conquistano le coltivazioni italiane, che si convertono al frutto d’oro su migliaia di chilometri quadrati anche al Centro-sud. «L’Italia è il secondo produttore al mondo di nocciole con circa 100 milioni di chili l’anno» spiega Lorenzo Bezzana, responsabile economico di Coldiretti «ma siccome l’industria ha una domanda sempre maggiore, importiamo circa il 50 per cento del fabbisogno dalla Turchia che è il primo al mondo. L’anno scorso 75 milioni di chili. Molto è determinato dalle condizioni climatiche: quest’anno il maltempo ha provocato cali di produzione del 20 per cento in Irpinia e del 50 per cento in Piemonte. Negli ultimi anni c’è stato un aumento importante delle coltivazioni: da 78 mila ettari di superficie nel 2018 si è passati a 95 mila nel 2024 secondo l’Istat». Ma Bezzana indica anche i problemi dell’import dalla Turchia. «Questo Paese non segue le regole europee sugli antiparassitari, così le sue nocciole possono presentare residui di prodotti chimici. Bruxelles non ha ancora stabilito, e chissà quando lo farà, che le regole sugli antiparassitari devono valere anche per chi esporta nel nostro Paese. Dicono che ci sono i controlli alla frontiera, ma sono eseguiti a campione». L’esperto di Coldiretti parla anche di un altro tema non regolamentato ma essenziale per definire la qualità di un prodotto dolciario. «Alcune creme contengono poche nocciole e sono addizionate con olio di palma o di girasole e aromi artificiali per renderle spalmabili e più gustose. Bisognerebbe leggere gli ingredienti sul barattolo per capire il valore economico di ciò che si acquista, ma quasi nessuno lo fa. Servirebbe una norma sulla quantità di nocciole da usare nella crema».

Le coltivazioni più estese le troviamo in Piemonte, Campania, Sicilia e in Lazio, la prima regione per produzione con 45.967 tonnellate annue, di cui 45 mila concentrate nella provincia di Viterbo. Dalla Tuscia Viterbese arriva la maggior parte delle nocciole usate dai gruppi industriali. È un’area con terreni di origine vulcanica e la specie che si coltiva è particolarmente pregiata, esportata in tutto il mondo. Una ricchezza che ha spinto tante piccole aziende a staccarsi dai grandi marchi, mettendosi in proprio. «Ma questo è un settore in cui il prezzo lo fa chi acquista, non chi vende, e non sempre conviene» afferma Luca Mizzelli, uno dei proprietari dell’azienda agricola Julia, antica realtà a Civita Castellana che da oltre 50 anni si è specializzata nella produzione e trasformazione di nocciole in una ventina di prodotti compreso il rarissimo olio puro di nocciole tostate. «Seguiamo tutti i passaggi, dall’essiccazione, alla sgusciatura e alla tostatura. Non è un’attività semplice ma il consumatore è sempre più attento alla qualità e spesso preferisce comprare direttamente in azienda dove può verificare come nasce un prodotto». E nella Tuscia è iniziata anche la «rivolta» dei produttori che pochi giorni fa hanno scritto alla Ferrero per denunciare i prezzi non più adeguati al mercato, chiedendo un incontro per ridefinirli. Problematiche esasperate dall’enorme quantità di prodotto in arrivo da Paesi con regole di coltivazione meno stringenti. E che - inutile spalmarci sopra dei bei giri di parole - fanno concorrenza sleale.

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Laura Della Pasqua