La crisi del PD: perché la scissione è ormai un fatto
La minoranza potrebbe appoggiare i candidati che non hanno vinto le primarie esterni alla maggioranza. Renzi chiederà lealtà nella Direzione del 21 marzo
Lo ha detto il vicesegretario del Lorenzo Guerini che la minoranza Pd “non fa più la minoranza ma ormai è opposizione”.
Formalmente una scissione vera e propria, se proprio dovesse verificarsi e i dubbi in proposito sono molti, non potrà consumarsi se non dopo il referendum costituzionale d'ottobre, che gli avversari di Renzi sperano che Renzi perda magari dopo aver perso anche le amministrative.
Ma è ovvio che il solo fatto di remare in questa direzione, arrivando al punto di sostenere a Roma, Napoli e Milano candidature alternative a quelle decretate dalle primarie, costituisce la prova più lampante della deflagrazione in atto.
Roma, Napoli, Milano: le primarie gettano il Pd nel caos
Per paura di diventare ancora più ininfluente e residuale, la sinistra dem però non vuole uscire dal Pd. Al momento intende soprattutto contarsi prima di dare l'assalto finale a Renzi da dentro il partito. Finora ha sempre fallito. Ha fallito in Parlamento e ha fallito anche in queste ultime primarie. I suoi candidati sono stati battuti ovunque.
Ci si attacca più che altro alle polemiche sui brogli napoletani e alla scarsa affluenza romana. Resta tuttavia la carta del congresso, in vista del quale già da domani si scalderanno i motori con il lancio della candidatura di Roberto Speranza alla segreteria nazionale.
La direzione nazionale
Nel frattempo già il 21 arriverà una prima resa dei conti con la Direzione nazionale convocata da Matteo Renzi per denunciare, davanti a elettori e militanti, il boicottaggio che la sinistra sta mettendo in atto ormai da tempo e che oggi si traduce nel dire che il doppio incarico di segretario-premier non funziona. Ci sarà un esplicito richiamo al vincolo di appartenenza, “lealtà oppure ognuno per la sua strada” il messaggio. Le premesse non sono delle migliori però.
Alla convention perugina parteciperà, per dire, anche Giuliano Pisapia, il principale sponsor, insieme a Stefano Boeri, della candidatura di Francesca Balzani alle primarie che in questi giorni ha messo in discussione il suo sostegno al vincitore rifiutandosi di guidare una lista arancione in sostegno a Sala mentre Sel e sinistra radicale, sfumata l'ipotesi dell'ex pm Gherardo Colombo che ha rifiutato l'investitura, sono alla ricerca, con lo zampino anche del solito Massimo D'Alema, di un nuovo nome per mettere i bastoni tra le ruote al manager di Expo.
A Napoli, Antonio Bassolino, che dopo aver fatto per due volte il sindaco e una volta il presidente di Regione non è riuscito a raggiungere nemmeno 13mila voti, potrebbe decidere di scendere in campo contro Valente in polemica con la decisione della commissione di garanzia di respingere il suo ricorso sui brogli documentati dalle telecamere di Fanpage.it perché presentato fuori il tempo massimo delle 24 ore.
Nella Capitale una parte della minoranza dem potrebbe addirittura partecipare alle primarie di sinistra del 3 aprile. I candidati dovrebbero essere Stefano Fassina, in campo ormai da mesi, Ignazio Marino, che in questi giorni dovrebbe finalmente sciogliere la riserva. Meno probabile la partecipazione dell'ex ministro della Cultura nel governo Letta Massimo Bray.
Clima pessimo
“Il clima è pessimo” ammette Guerini. Il rischio che si possano ripetere casi come quello che in Liguria portò il centrosinistra a consegnare la vittoria su un piatto d'argento a Giovanni Toti è concreto. Allora la minoranza dem ne approfittò subito per addossare la colpa a Renzi. In caso di sconfitta alle prossime amministrative accadrebbe lo stesso. La domanda è se ci siano ancora i presupposti per una convivenza all'interno dello stesso partito. E un'eventuale rottura chi danneggerebbe di più.
Lo schema della minoranza prevede che Renzi sia costretto a dimettersi da capo del governo ma senza arrivare a elezioni anticipate prima di aver potuto cambiare l'Italicum. Se si andasse a votare con quella legge, un'eventuale vittoria renderebbe l'attuale premier ancora più forte di quanto sia oggi. Di mezzo c'è però l'incognita dei risultati delle amministrative. La partita per il Pd è ardua. Renzi stesso è in affanno. Nulla è scontato, Gli ostacoli numerosi e le incognite anche. Lungi dal non rappresentare un test nazionale come ha sempre detto Renzi, il voto di giugno sarà invece decisivo. In un senso o in un altro.