Come la cannabis light ha conquistato l'Italia
A un anno dalla legge che ne ha legalizzato il consumo, attrae nuovi e vecchi fumatori. E venderla è diventata una nuova e redditizia attività
E allora fumiamocela, questa famosa cannabis light. L'erba buena, rilassante e legale che sta conquistando in Italia una generazione di quarantenni e cinquantenni che col pusher, per motivi d'eleganza e opportunità, avevano chiuso da un po'.
Il racconto di chi consuma la cannabis light
"Arrivi a un punto in cui provi una specie di affetto per il mondo della marijuana, ma l'idea di andare nel vicolo con lo spacciatore ti dà la nausea" racconta Claudio, quarantenne di Lecco incontrato fuori da un Hemp Shop milanese: "Con la cannabis light invece puoi ritrovarti con gli amici, ripetere vecchie gestualità e guardarti un film su Netflix in santa pace". La cosa interessante, sottolinea, è il fatto che il fenomeno è spinto da una massa di professionisti, padri di famiglia, uomini e donne affermati: "Siamo tanti, e siamo credibili".
Quello rollato da Alessandro ad esempio, un commercialista aretino che racconta di averci sconfitto gli effetti collaterali di tre cicli di chemioterapia, è un megaspinello infarcito di afghan cheese, appellativo da narcotraffico internazionale che in realtà è la denominazione commerciale di un'infiorescenza prodotta a Carmagnola, in Piemonte, con un tasso di sostanza psicoattiva inferiore allo 0,6 per cento (è questo il limite di Thc tollerato per legge) e una percentuale altissima di Cbd, uno dei quasi 200 principi attivi presenti nella cannabis e che si dice abbia proprietà rilassanti, antispastiche, antidolorifiche e lenitive.
Le sue proprietà e il sapore
L'Organizzazione mondiale della sanità, pur sottolineando la necessità di verifiche ulteriori, ha certificato che in parte è vero: addirittura, mostrano gli studi, è efficace in caso di crisi epilettiche e gravi convulsioni.
Indica Sativa Trade, la fiera della cannabis light all'Unipol Arena di Bologna, 19 maggio 2018.Laura Lezza/Getty Images
La accendiamo insomma, questa canna liberalizzata, seduti su un praticello fuori dall'Unipol Arena di Bologna dove è in corso la fiera di settore IndicaSativa Trade. E il sapore è buono. Il fumo va giù morbido, senza la botta ai polmoni regalata dalle normali sigarette. Il sapore erbaceo è intenso ma non allappa la lingua, anche se una piccola screpolatura graffiante in gola resta. "La cosa curiosa è che moltissimi la fumano, ma la combustione distrugge il 40 per cento delle proprietà" dice il fondatore di Easyjoint Luca Marola, azienda che con 450 punti vendita ha conquistato l'85 per cento del mercato in Italia. "Il modo migliore per godere degli effetti di questa favolosa pianta, è il decotto". E mentre tenta di argomentare, spiegare la necessità simbolica di non venderla online bensì nei punti vendita tradizionali perché "è importante che la gente la veda", viene interrotto da un gruppo di adolescenti che lo considerano un eroe, e lo bloccano per i selfie.
Come si diffonde il Cannabusiness
A solo un anno dall'entrata in vigore della legge 242, promulgata per regolamentare e sostenere la coltivazione della canapa, il sogno degli antiproibizionisti (prima) e dei rapper (oggi) è concretizzato: la canna, è legalized. Gli hemp shop si stanno moltiplicando, le farmacie pur con cautela iniziano ad annusare il business, il musicista hip hop Gué Pequeno ha lanciato una linea di bustine fumabili chiamate Zen, e persino i comuni tabaccai vendono regolarmente confezioni da uno e due grammi con la dicitura "Per uso tecnico", così evitano le multe che deriverebbero dalla vendita di un surrogato del tabacco senza versare l'obolo dovuto ai Monopoli.
"In teoria, chi le acquista dovrebbe utilizzarle come profumatore per ambienti" spiega l'avvocato Giacomo Bulleri, considerato un'autorità in tema di droghe e canapa industriale, "mentre fumandola si potrebbe incorrere nella contestazione dell'articolo 75 del testo unico sugli stupefacenti. Chiaro che, essendo senza Thc, le conseguenze legali non esistono".
Carabinieri e Guardia di finanza dovranno dotare i loro cagnoloni antidroga di un piccolo laboratorio chimico portatile, vista l'impossibilità di riconoscere dall'odore ciò che è a norma e ciò che non lo è. A Euroflora, la kermesse di vivicultura da poco conclusasi a Genova, dove un labrador della polizia si è messo a scodinzolare come un matto di fronte a una fila di pianticelle: tutto a norma, ma dilemma da non sottovalutare per le prossime retate. Anche perché quest'invasione di pollini per l'Italia non è una novità. Negli anni Cinquanta eravamo il secondo produttore d'Europa dopo la Russia, con migliaia di ettari coltivati tra Piemonte ed Emilia Romagna, soprattutto nella provincia di Ferrara.
Un antico know how che ha fatto sì, grazie alle prospettive aperte dalla nuova normativa (si parla ormai apertamente di Cannabusiness), che i terreni a cannabis siano passati da mille a 5 mila ettari nel giro di un anno, una rotazione che secondo gli agronomi può migliorare la fertilità del terreno fino al 20 per cento: "Dal 2007 a oggi sono nate mille nuove aziende, tra agricole e commerciali" spiega a Panorama Massimo Borrelli, delegato di Confagricoltura, che la coltiva ormai da otto anni, "se venisse tassata al 20 per cento, come accade in Svizzera, potrebbe portare nelle casse dello Stato 10 miliardi di euro".
I guadagni potenziali
Il guadagno potenziale per chi si butta nell'intrapresa invece varia molto, a seconda della qualità del fiore (che rappresenta un terzo della pianta e può valere fino a 3 mila euro al chilo) e della varietà di prodotto che il singolo coltivatore è in grado di estrarre e trasformare. Biofibra, bioplastiche e persino idrocarburi sono tra i derivati più ricchi, lavorazioni che secondo alcuni studi possono portare a una resa monstre di 500 mila euro per ettaro (col grano, se ne guadagnano al massimo 400).
"Senza contare che i semi nostrani sono considerati i migliori del mondo, e soltanto negli Stati Uniti quest'anno ne abbiamo esportati 350 quintali" spiega il presidente di AssoCanapa Felice Giraudo, un pioniere che nel 2007 ha avuto il coraggio, nel vuoto normativo, di installare il primo mezzo ettaro di piantine: "Di fatto, grazie a qualità eccellenti come Carmagnola e Fibranova, si prospetta la nascita di un nuovo e fruttuoso settore del Made in Italy".
Indica Sativa Trade, la fiera della cannabis light all'Unipol Arena di Bologna, 19 maggio 2018.Laura Lezza/Getty Images
Ma nuovi e vecchi fumatori, a questi scenari macroeconomici sembrano pensare poco. A loro interessa aver ripreso possesso della sopita passioncina, e aver contribuito pacificamente e signorilmente a gettare il seme per un'Italia se non completamente "amsterdamizzata", quantomeno tollerante e non proibizionista.
"Prima di essere legalizzata, una cultura va lentamente integrata" argomenta Patrick, un ragazzino di 17 anni, dimostrando un'impressionante lucidità strategica, "Al momento, la cannabis light rappresenta una vera svolta". Perché se è vero che sono soprattutto gli over 30 a fumarla, la curiosità e il passaparola stanno facendo avvicinare alle canne del "non sballo" un numero crescente di giovanissimi.
"Nel mio negozio vengono a comprare universitari stressati dagli esami, ragazzi che hanno avuto crisi d'ansia fumando marjiuana illegale, mamme che la comprano per le figlie per evitare che entrino in contatto con personaggi poco raccomandabili" racconta Flavio, un trentenne che ha inaugurato a Roma una piccola catena di negozi chiamata Weed Shop: "Eravamo quattro amici quasi disoccupati. Ora, siamo imprenditori".
A Monterotondo, vicino Roma, il 16 marzo uno spacciatore ha dato fuoco nella notte al CanaPub, un rivenditore di quartiere di spinellini light. Interrogato dai carabinieri, ha fornito una spiegazione che vale più d'un trattato di sociologia: "Andavano tutti da lui e rischiava di rovinarmi la piazza".
(Articolo pubblicato sul n° 24 di Panorama in edicola dal 31 maggio 2018 con il titolo "L'erba voglio. E me la compro")