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Lo scrittore Beppe Fenoglio (Wikicommons).
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Cento anni di Beppe Fenoglio, tra fucile e macchina da scrivere

Il primo marzo si celebra il centenario dello scrittore piemontese, che ebbe poca fortuna editoriale nel corso della sua breve vita. Eppure oggi è un riferimento per leggere la Resistenza con la forza della testimonianza e il disincanto di un uomo puro.

Beppe Fenoglio scrisse molto meno di quanto avrebbe voluto. L’università lasciata a metà a causa della guerra quando era poco più che ventenne, gli anni al fronte e successivamente in montagna con i partigiani prima «rossi» e poi «azzurri». L’arresto per mano dei fascisti, la liberazione e ancora la lotta con i partigiani fino alla primavera del 1945. Poi il ritorno alla «cosiddetta pace», così definita proprio per descriverne il disagio quotidiano di chi aveva visto morire e aveva ammazzato.

Dopo la guerra, quindi, Fenoglio «purtroppo» si impiegò nella sua Alba, in Piemonte, presso una prestigiosa azienda vinicola che lo costrinse a dedicarsi alla scrittura solo nei ritagli di tempo. E il tempo per scrivere Fenoglio se lo ricavò, in ufficio e a casa, di sera e di notte, sempre con la tenacia di chi avverte la scrittura come un modo di conoscersi e di comprendere se stessi, l’uomo, il proprio tempo, tutto quanto è passato ed è stato vissuto. Ma va trattato, perché ribolle ancora.

Questa urgenza è evidente proprio nelle parole di Fenoglio che definì la scrittura non un passatempo o un memoriale, ma una «fatica nera» in cui «la più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti». Le ore piccole alla macchina da scrivere, tra sigarette e colpi di tosse, produssero diversi racconti, vere perle di sintesi narrativa capaci di commuovere e lasciare senza fiato, e soffertissimi romanzi che vennero alla luce solo dopo la morte dell’autore che, suo malgrado, non vide mai pubblicato «il libro grosso» a cui stava lavorando, un romanzo appunto.

La scrittura per Fenoglio fu quindi un lavoro necessario di scavo interiore e di ricerca tra le curve di una memoria recente che custodisce una pagina di storia di una nazione intera e le emozioni di tanti everyman con «le scarpe rotte che pure gli tocca di andare» che si sono trovati a fare i conti con la vita e la morte e che Fenoglio, uno di loro, ha incontrato nei rispettivi momenti di fragilità, di emotività esposta, di violenza estrema, di sfinimento, di eroismo, di vigliaccheria. Di vita vissuta all’estremo, insomma.

Questo bagaglio esperienziale, insieme agli insegnamenti dei suoi amati docenti del liceo che ricorderà nelle sue narrazioni, è ciò di cui Beppe Fenoglio dispone e dal quale si muove per diventare uno scrittore. La Resistenza, quindi, come primo e necessario argomento. Perchè chi ha vissuto negli anni Cinquanta conosce l’esperienza della guerra e spesso anche della Resistenza, e queste pagine di vita prima ancora che di storia, necessitano analisi, psicoanalisi e condivisione affinché siano comprese.

Fenoglio inizia a scrivere di partigiani quando ci sono già diversi autori ad averlo fatto, e in più lo fa senza quei toni apologetici che paiono scontati, necessari. Così Fenoglio fa i conti con lo scetticismo degli editori e le stroncature dei primi critici. Però c’è chi si accorge che le sue pagine sono differenti rispetto ad altre già edite, come quelle bellissime e nobili di Italo Calvino.

È proprio Calvino, nel ruolo di direttore editoriale in Einaudi, uno dei suoi primi sostenitori che poi nel 1964, vale a dire molti anni più tardi, scriverà che La questione privata di Fenoglio deve essere considerato propriamente il romanzo che chiude e suggella la narrativa sulla resistenza. E questo fu, per dirla con Fenoglio, sperimentatore linguistico di anglismi, un «super» riconoscimento proprio da chi ha scritto Il sentiero dei nidi di ragno, il romanzo che aveva aperto questa pagina di letteratura italiana.

Fenoglio morì a soli 41 anni il 18 febbraio 1963, 59 anni anni fa, con una produzione che lo consegnò ai posteri come scrittore della Resistenza, e poi anche di un certo mondo contadino, ma privandolo di andare oltre all’argomento della Seconda Guerra mondiale come fecero diversi autori a lui coetanei, dal già citato Calvino su tutti.

La morte precoce gli permise solo di riordinare frettolosamente i suoi racconti, ma troncò molti progetti e li lasciò incompiuti. Alcuni di questi sono poi stati ricostruiti con complessi lavori di redazione e costituiscono i romanzi più famosi dell’autore piemontese, Il partigiano Johnny e Una questione privata. E si parla di materiale inedito che probabilmente dovrà ancora essere scoperto.

La forza della pagina di Fenoglio è quella di inserire la storia collettiva e quella personale nello stesso arco narrativo: come Dante Alighieri nel primo canto della Commedia, anche l’autore piemontese porta avanti il piano collettivo e quello individuale senza mai distinguerli. «Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura» scrive Dante, volendosi presentare come l’uomo comune che compie un viaggio a nome di tutti, perchè tutti volendolo possono farlo. E lo stesso spirito muove Fenoglio.

Nella storia «nostra», vale a dire quella Resistenza bagaglio culturale e di vita di tutti coloro che hanno vissuto gli anni Cinquanta e non solo, si inserisce il «mia», vale a dire quella del giovane uomo piemontese che ha osservato, notato e ora si trova a ricomporre i frammenti di quanto è stato. In lui e in tutti, per sé e per tutti. È un’operazione degna di un grande autore e di un uomo assai generoso.

Leggere Fenoglio oggi significa fare esperienza di diseredati, campagne, fucilate, staffette, inglesismi, vendette, inseguimenti, condotte virtuose e ripugnanti. Leggere Fenoglio significa fare i conti con una pagina densa, con dialoghi crudi, passaggi mozzafiato, incipit straordinari che fanno rimanere incollati al racconto, ma anche amori e guerra mescolati insieme perché è la vita a farlo, prima della narrativa.

Chi conosce Fenoglio tutto questo lo sa, e magari questo vento fenogliano del centenario farà riprendere in mano qualche testo già letto. Chi non lo conosce, invece, ha l’imbarazzo della scelta: può iniziare da qualche racconto - magari dall’angoscia de Il gorgo, o dal ritmo di Un giorno di fuoco - o dai romanzi più noti. Buon vento Beppe, scrittore e partigiano.

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Marcello Bramati