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ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Coni, i conti che non tornano

Scarsi controlli, consulenti infedeli, ricavi commerciali in picchiata. Il Coni fa acqua da tutte le parti e Malagò è in difficoltà

Poca trasparenza, assenza di controlli interni, spese per la gestione degli uffici dei vertici che superano quelle per il funzionamento della giustizia sportiva, truffe in alcuni comitati regionali e persino consulenti infedeli finiti in manette stanno mettendo a dura prova la reputazione del Coni, il Comitato olimpico nazionale italiano. L’allarme rosso, però, è quello legato alla contrazione dei ricavi commerciali. Il marchio Coni non attira più e, nell’ultimo bilancio, quello depositato a dicembre 2017, il segno meno rispetto all’anno precedente pesa come un macigno sui conti: 9.399.005 di euro non sono entrati dall’attività commerciale. È pur vero che il 2016 è stato l’anno olimpico e che, quindi, c’è stata una visibilità maggiore dell’ente, ma l’incasso certificato nel bilancio non raggiunge neanche lontanamente l’ammanco.

I proventi commerciali, infatti, ammontano solo a 6.102.783 euro, costituiti dalla quota proveniente dallo sfruttamento commerciale del marchio Coni e dal corrispettivo riconosciuto dal Comitato olimpico internazionale per gli accordi sul marketing estero. La previsione per il 2019, invece, è di poco più di 5 milioni di euro, con cinque contratti commerciali già sottoscritti e altri sette clienti in fase di trattativa. Sulla questione brand si sono soffermati a lungo i giudici della Sezione di controllo della Corte dei conti, che a fine aprile hanno depositato una dettagliata relazione sul bilancio 2017. Alla diminuzione dei ricavi è corrisposta anche una riduzione delle spese di funzionamento, soprattutto dell’ufficio di presidenza che, comunque, continua a mantenere costi da carrozzone della Prima Repubblica.

Per far funzionare presidenza, vicepresidenza e segreteria generale servono 416.603 euro annui. Nella compagine siedono Giovanni Malagò, i vicepresidenti Franco Chimenti e Alessandra Sensini, il segretario Carlo Mornati e gli altri uomini del team del presidente. Rispetto al 2016 sono stati spesi 100 mila euro in meno, ma restano invariate, invece, le voci sul funzionamento della giunta e del consiglio nazionale: 707.046 euro, cioè solo 4 mila euro in meno rispetto all’anno precedente. Anche qui siede Malagò, assieme ai presidenti delle federazioni sportive, ai rappresentati degli organi periferici del Coni e agli altri membri. Il costo supera quello per il funzionamento degli organi di giustizia e delle altre commissioni: 629.483 euro (in crescita rispetto al 2016 di 30 mila euro). L’ambito gettone da 162 euro a seduta è stato versato 14 volte per le riunioni della giunta e sette volte per quelle del consiglio. A fronte di queste spese, la Corte dei conti non ha potuto valutare gli indicatori sulle performance, perché il Coni è rimasto del tutto sprovvisto di dipendenti, patrimonio, uffici e mezzi strumentali, in quanto, a seguito della istituzione di Coni Servizi Società per azioni con una legge del 2002, è passato tutto alla Spa.

E neanche il Coni ci ha pensato: «L’ente», sottolineano i giudici contabili, «non ha predisposto un piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio». In più, continua a pianificare di tre anni in tre anni, un metodo che, secondo le toghe, «mal si concilia con la programmazione delle attività che hanno carattere quadriennale, il cosiddetto quadriennio olimpico». E, così, un anno resta fuori. Come la trasparenza. Che sembra proprio non essere di casa nell’ente sportivo. «In ordine agli obblighi di pubblicazione dei dati relativi ai controlli sull’organizzazione e sull’attività dell’amministrazione», sottolineano i giudici, «il Coni ha finora pubblicato esclusivamente le relazioni del collegio dei revisori dei conti, ma non anche quelle di questa Corte. Si raccomanda pertanto, per il futuro, di inserire nell’apposita sezione del sito web istituzionale, anche i referti di questa Corte dei conti in versione integrale». Ma è il sistema dei controlli sui contributi la vera nota dolente. Le indicazioni sono ferree: «Si raccomanda all’ente di rafforzare le misure e gli strumenti di monitoraggio e di controllo sull’utilizzo dei contributi annualmente a disposizione, in modo da assicurare un più rigoroso ed efficiente uso delle risorse (...) in particolare con riferimento alla gestione delle singole Federazioni sportive, che invero, per il 2017, hanno presentato un risultato economico nel complesso negativo». Che sui controlli qualcosa sia andato storto, e non solo sui disavanzi creati dalle federazioni, lo mette in evidenza la cronaca.

È del 24 maggio scorso la sentenza della Corte dei conti siciliana con la quale sono stati condannati l’ex delegato del Coni a Ragusa Rosario Cintolo e il direttore della Scuola regionale dello sport Silvio Piazza al pagamento in favore della Regione siciliana di 592 mila euro, di 6.900 euro in favore del Coni nazionale e di 10 mila euro in favore dell’ex Provincia di Ragusa. I due avevano creato conti correnti paralleli a quello ufficiale del Coni per dirottare contributi senza alcuna rendicontazione. Sempre in Sicilia, ma ad Acireale, è andata anche peggio con una consulente del Coni, Anna Maria Sapienza, che aveva il compito di fornire un parere vincolante ai progetti che le venivano presentati dagli enti territoriali, per poi inviarli alla sede romana del comitato ai fini del finanziamento. Un anno fa è stata arrestata per turbativa d’asta legata alla riqualificazione dell’impianto sportivo e del campetto di calcio a cinque del Comune montano di Malvagna. Ora è sotto processo a Messina. Ma la professionista, ricostruì l’accusa, imperversava su tutta l’area orientale della Sicilia (una delle più finanziate dal fondo Sport e periferie voluto dal governo guidato dal rottamatore Matteo Renzi). E al telefono si esprimeva così: «Lo vuoi un incarico per un progetto esecutivo di una pista di atletica leggera? Cinquemila euro». Eloquente. Con questa tattica avrebbe incassato incarichi professionali da tanti municipi. Senza che nessuno se ne accorgesse. È stato proprio il numero uno del Coni in Sicilia, Sergio D’Antoni, ad ammettere: «Non abbiamo gli strumenti per controllare, a meno che qualcuno non venga a segnalarcelo». E di questo Malagò è informato.

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Fabio Amendolara