Il destino delle nostre Chiese vuote
Il Papa annuncia che i luoghi sacri, senza fedeli, vanno riconvertiti per l'accoglienza. Il segno di una crisi profonda
Alle soglie di Natale la Chiesa annuncia che chiuderà per mancanza di preti e di fedeli. Non era mai capitato di sentire una cosa del genere, e non da gente qualunque o da un sacerdote irriverente ma dal Vicario di Cristo in terra, il Papa in persona. Molte chiese, ha detto Bergoglio, «fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero». La Chiesa deve adattarsi ai tempi cambiati, ha proseguito Francesco, deve dismettere le chiese e aiutare i poveri, giacché «non ha valore assoluto il dovere di tutelare e conservare i beni culturali della Chiesa, perché in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri». Un annuncio storico, per giunta sotto Natale, ma è passato quasi inosservato. Siamo alla liquidazione dell’esercizio? In passato avevamo sentito i papi denunciare la scristianizzazione della società ma nessuno si era mai spinto a parlare di chiese senza devoti e senza sacerdoti da riadattare come ospizi per barboni e migranti, o da cedere allo stesso scopo filantropico. Che regalo di Natale...
Un patrimonio religioso diventa patrimonio immobiliare, la religione della fede diventa «religione dell’umanità», avrebbero esultato i positivisti e i socialisti. Un luogo sacro e santo che si trasforma in ostello è lo specchio di una Chiesa che diventa Organizzazione umanitaria. Come una qualsiasi ditta, la Chiesa con Papa Francesco sta cambiando la sua «ragione sociale»? E noi qui a discutere del presepe, del crocifisso nelle aule pubbliche, o delle moschee. E la gente applaude a Matteo Salvini e ai ministri Lorenzo Fontana e Marco Bussetti che sollevano il tema della difesa della civiltà cristiana e dei suoi simboli millenari, la croce, il presepe. A proposito, non bastava l’annuncio papale ma a cancellare il Natale ora ci sono anche i preti d’assalto: il genovese don Paolo Farinella non celebra il Natale in odio a Salvini e alla politica sui migranti. E il prete padovano don Luca Favarin si rifiuta di fare il presepe perché gli dà fastidio il suddetto fronte presepista di Diopatriaefamiglia. Su una cosa però hanno ragione: non si può diventare cattolici solo a Natale, e andare a messa e farsi i selfie col presepe. Il ministro della cultura della Chiesa, il cardinal Ravasi dice che i cattolici sono ormai una minoranza in Occidente, nell’Occidente cristiano, e non solo nel mondo, c’è ormai apatia religiosa e le chiese vuote, se non vogliamo che finiscano come pizzerie, diventino almeno musei o luoghi di dibattito. Come dire, non più luoghi di culto ma di cultura; la fede lascia la chiesa in eredità agli intellettuali. Soluzione illuminista.
Intanto, in giro, le chiese sconsacrate diventano resort, trattorie, teatri, luoghi polifunzionali. O peggio, come si stava facendo a Bergamo con la chiesa dei Cappuccini, rischiano di essere comprate dagli islamici per farne una moschea; una specie di nemesi religiosa, se si considera che molte chiese cristiane sorgono su luoghi di culti precristiani.Ah, se li sentisse il cardinal Carlo Caffarra che ha fatto in tempo a morire nel 2017. Si chiedeva l’arcivescovo di Bologna - di cui è uscito ora un libro postumo Scritti su etica, famiglia e vita (ed. Cantagalli) - «è rimasta solo la Chiesa a farci sentire il respiro dell’eternità nell’Amore umano. E se anch’essa rinunciasse a farlo sentire?».
L’impressione è che la Chiesa vi abbia rinunciato. Ma se le chiese vanno dismesse per mancanza di utenti e trasformate in centri d’accoglienza, «il respiro dell’eternità» non cede all’affanno dei tempi? Se i papi nei secoli avessero distribuito i soldi ai poveri del loro tempo anziché edificare altari, conventi e cattedrali, oggi non avremmo capolavori d’arte né luoghi di preghiera in cui viene consacrata e affidata la nascita, la morte, il matrimonio. In ogni chiesa è riflesso il travaglio di popoli e di generazioni, il sacrificio e la fede di chi l’ha edificata, amata, vissuta; c’è il ricordo dei santi e dei martiri, il legame sacro di una comunità, la sua anima, la sua storia, la sua identità. È desolante vedere le chiese vuote ma si può liquidare una fede cambiandole la destinazione d’uso, riducendola a pura assistenza sociale? Magari per aiutare i poveri si potrebbe usare il vasto patrimonio immobiliare della Chiesa. Meglio cedere un edificio per usi profani piuttosto che una chiesa. Ed è meglio che le chiese celebrino il Natale e allestiscano il presepe, piuttosto che ridursi a sedi per assemblee di migranti.
Qualche anno fa ebbi la fortuna di visitare le parti del Vaticano non aperte al pubblico: in 200 metri vidi la più alta concentrazione di capolavori che ci sia al mondo: la Cappella paolina di Michelangelo, le sale del Bernini per ricevere i sovrani, le logge dipinte dalla scuola di Raffaello, la prima carta geografica con l’America collocata a Oriente, vidi perfino un minuscolo e magnifico bagno del segretario di Stato dipinto dallo stesso Raffaello. Non c’è al mondo tanta densità di grazia e di bellezza in uno spazio così intensamente popolato d’arte, contiguo alla Cappella Sistina: in quegli affreschi era descritta la condizione umana, il viaggio di anime e corpi tra cielo e terra, luce e tenebra. Là c’era tutto l’uomo, nella sua massima grandezza e nel nudo confronto con la sua miseria di mortale. Se al posto di tutta quella bellezza, la Chiesa avesse soccorso i poveri, sfamato un po’ di gente, cosa avrebbe lasciato alle generazioni seguenti, quali risposte avrebbe dato alla vita, alla morte, alla speranza? Certo, sconforta vedere sotto Natale le chiese vuote. Ma ancor più sconforta l’annuncio dei saldi di fine cristianità.
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