Eugenio Montale, il cuore pulsante della poesia del Novecento
Dopo il successo delle celebrazioni per il Dantedì, Panorama lancia una nuova proposta letteraria. Per affrontare questi tempi incerti, proponiamo di aggrapparci al nostro patrimonio culturale. E visto che, come ha scritto il 19 aprile Paolo Rumiz, il verso «è terapeutico come l'amore» e «la bellezza è l'antivirus più efficace», presentiamo sei interpreti della nostra tradizione. L'iniziativa Poesia per r-esistere è realizzata in collaborazione con alcuni docenti di Lettere dei licei Faes di Milano e con il professor Gianni Vacchelli, docente alla Statale di Milano. La prima puntata è dedicata all'estro di Eugenio Montale.
Il poeta genovese Eugenio Montale indaga l'animo umano e riesce attuale anche oggi – perchè l'anima della gente funziona dappertutto (e sempre) come qui, scriverà un altro genovese, Ivano Fossati, alla fine del secolo scorso. Dal suo osservatorio ligure, Montale dona un grande contributo grazie al suo magistero stilistico strepitoso, con maestri eccelsi ricercati, studiati e compresi in tutta la letteratura e con ottimi amici e amori che lo hanno accompagnato per tutta la vita, ma anche e soprattutto con grande coraggio – non solo artistico.
Un contributo a tutti noi, uomini del tardo Novecento e ragazze e ragazzi del terzo millennio, un grande contributo utile per comprendere un frammento della nostra esistenza. E lo fa come giornalista affermato, come critico e traduttore capace e attento, come uomo coltissimo, come poeta lirico capace di coniugare lessico arcaico e immagini comuni.
Montale invita a varcare la soglia della poesia, lasciando alle spalle il pensiero dominato da causa-effetto per dare spazio al mondo delle idee. Un mondo non campato in aria e inesistente, ma necessario per essere uomini compiutamente, per indagare e cercare, come scrive ne I limoni, «il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità».
Il tipico «tu montaliano» invita al viaggio, come si legge nella poesi In limine: «cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!», per solcare controcorrente interi fiumi (L'anguilla), per cercare una risposta, o anche solo per dare senso a una domanda.
Porsi domande di senso è già molto, anche senza avere risposte in tasca, e anche in questo Montale è chiaro:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
(da Non chiederci la parola)
Perché la poesia quindi? Perché in tempi in cui la vita è un miraggio e sopravvivere è già un risultato, in questi tempi la poesia è uno strumento di indagine potentissimo per chi se ne serve, autore o lettore che sia.
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
(da I limoni)
Montale porta nella letteratura italiana oggetti semplici, inediti, come l'albero dei limoni, pianta comunissima per la Liguria e per i nostri ricordi di mare. Un albero innestato con eleganza, sì, e decisione insieme in una tradizione strepitosa di sette secoli e di botanici – e maestri dell'allegoria – finissimi, da Dante Alighieri a Gabriele D'Annunzio, senza dimenticare Alessandro Manzoni.
Il poeta ligure porta qui e ora quel giallo acceso che scorge da un portone mezzo aperto, quell'odore forte che i limoni sprigionano che varca muri e orti. Quanto è vicino a noi Montale, in questi versi in cui cerca di trovare una risposta, un senso, aggrappandosi a qualcosa di semplice che c'era e che ora non c'è – provvisoriamente – più.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
(da I limoni)
Montale è anche colui che ci porta a rischiare, per indagare. Lo fece nella sua vita, traducendo i grandi autori americani quando in Italia la cultura statunitense era soggetta a censura, fino alla pubblicazione di una antologia bellissima e avversatissima. Ma rischiò e indagò anche dando spazio alla letteratura e al genio di Italo Svevo, fino al 1928 bistrattato, quando non sconosciuto, e poi al centro di un vero e proprio «caso Svevo» grazie alla ribalta raggiunta anche da Montale. Perché il coraggio di Montale sta anche nella ricerca.
Oggi Montale ci fa bene, perché mostra una via fatta di bellezza e di verità, di coraggio. Nello smarrimento – parola cara a Dante e quindi anche a Montale – o nell'aridità, per essere più fedeli a Montale, c'è l'occasione per trovare uscio e varco al dolore, c'è occasione di riscatto. Non ci sono eventi eccezionali, non ci sono superuomini da attendere o da imitare, ma occasioni costituite da fatti irrilevanti, che pure costituiscono la vita. La memoria con la mente setaccia il passato, «indaga accorda disunisce» come scrive nei Limoni, e attraverso queste operazioni cerca chiavi per interpretare – per illuminare - il presente.
Montale, come Dante, invita a procedere, ricercando incessantemente. Se per il Sommo Poeta l'aiuto sarà offerto gratuitamente attraverso Virgilio, perché ogni uomo può compiere un percorso di scoperta e di salvezza, in Montale ci sono occasioni dettate dal «forse» che conpongono storie e atti: l'invito è comunque al viaggio e al tentativo di liberarsi dalla prigionia. Un approdo e un obiettivo quanto mai attuale.
* Dirigente e docente presso il Liceo classico Faes di Milano