Le case sotto il ponte Morandi
MARCO BERTORELLO/AFP/Getty Images
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Ponte Morandi: ecco perché il crollo era inevitabile

Il New York Times ha ricostruito i fatti di Genova cercando di capire come siano davvero andate le cose

"Se cede uno strallo, viene giù tutto". Secondo l'ingegnere strutturale ed ex presidente della Società Americana degli Ingegneri Civili Andrew Herrmann il modo stesso in cui, negli anni '60, è stato concepito il ponte Morandi, avrebbe dovuto lasciar prevedere il potenziale pericolo di una struttura che, a pochi mesi dalla sua apertura al traffico nel 1967, già mostrava segni di deterioramento del calcestruzzo.

L'inchiesta del New York Times

Il New York Times ha condotto un'articolata inchiesta giornalistica sul distrastro della vigilia di Ferragosto intervistando tecnici, ingegneri, vigili del fuoco, sopravvissuti e vagliando i video dell'incidente.

A quasi un mese dalla tragedia che ha ucciso 43 persone e ferito al cuore la città di Genova e l'Italia intera quel che emerge è il quadro di una catastrofe inevitabile: ovvero quel ponte prima o poi sarebbe crollato. Quel che poteva essere previso ed evitato è che là sopra perdessero la vita 43 persone.

Il cedimento degli stralli

Secondo la ricostruzione del giornale americano a cedere sono stati gli stralli a sud (seguiti da quelli a nord) e la loro rottura ha causato prima il cedimento del tratto di ponte sottostrante (Pila 9) e poi dello stesso pilone che reggeva gli stralli. Essenzialmente gli stralli hanno ceduto perché troppo deboli per reggere il carico del ponte. 

Quando l'ingegner Morandi ha concepito il viadotto ha scelto di alleggerire la vallata del Polcevera utilizzando linee linee morbide e flessuose dove gli elementi distintivi erano le tre antenne strette alte circa 90 metri che ricordavano la lettera A. A supportarle c'erano 12 stralli ancorati in alto al vertice dell'antenna e in basso all'impalcato. 

Spiega poi il New York Times: "L’ingegnere decise di sospendere l’impalcato dagli stralli, che essenzialmente sono dei gruppi di cavi ricoperti da un rivestimento di calcestruzzo precompresso. L’ingegner Morandi pensava che con questo sistema si sarebbe ridotta l’oscillazione del ponte e gli ingegneri strutturali all’epoca sembravano d’accordo. Credeva anche che il rivestimento in cemento avrebbe protetto i cavi d’acciaio dai danni dell’usura degli elementi".

Le infiltrazioni nel calcestruzzo

E invece già a pochi mesi dall'inaugurazione del ponte l'umidità, l'aria salmastra e l'usura avevano iniziato a danneggiare il calcestruzzo che, in questo modo, da subito ha perso la sua funzione protettiva dei cavi che hanno iniziato a corrodersi lentamente.

"Le strutture di calcestruzzo sembravano essere eterne - ha spiegato al TimesMassimo Majowiecki, architetto e ingegnere di Bologna intervistato dal giornale  - Quella era la mentalità di allora".

"Già alla fine degli anni ’70 - ricorda ancora il giornale della Grande Mela - il calcestruzzo del ponte aveva iniziato a deteriorarsi visibilmente, costringendo l’ingegner Morandi, che morì nel 1989, a difendere la sua creazione. Nel 1979 e nel 1981, studiò lui stesso le condizioni del ponte e concluse che l'impalcato e alcuni elementi delle pile erano già in degrado".

Bisognava rinforzare gli stralli

Altri ponti concepiti nello stesso modo da Morandi nel corso del tempo hanno subito opere di resturo che ne hanno migliorato la stabilità con l'aggiunta di ulteriori stralli in grado di distribuire meglio il peso della struttura stessa. E' avvenuto nel ponte Morandi in Venezuela, ma anche lo stesso viadotto del Polcevera, già negli anni '90, ha subito simili interventi per gli stralli a est che, infatti, non hanno ceduto. 

Nel 1999, poi, la gestione delle autostrade italiane è stata ceduta alla concessionaria Autostrade Spa e, per motivi non ancora chiariti, non si è più provveduto alla messa in sicurezza degli altri stralli. 

Il New York Times ha anche intervistato l'ingegnere strutturale del Politecnico di Milano Carmelo Gentile colui che lo scorso ottobre aveva effettuato un lungo studio sulle condizioni del ponte e aveva avvertito la concessionaria della necessità di agire il prima possibile sul Morandi e soprattutto sugli stralli nord e sud.

Dallo scorso 31 ottobre, quando si è chiuso il contratto di collaborazione tra Gentile e Autostrade, però, nessuno si sarebbe messo in contatto con l'ingegnere per chiedere ulteriori dettagli circa lo scenario pre-catastrofe prefigurato da Gentile.

Problema di soldi?

I costi della manutenzione nell'area di Genova, con le sue infrastrutture datate, sottolinea il giornale, sono in media doppi rispetto al resto delle autostrade italiane e per questo, ipotizza il Times, potrebbe essere stato deciso di procrastinare il restauro della struttura.

Del resto, come dice Gary J. Klein, membro dell’Accademia Nazionale di Ingegneria degli Stati Uniti, organo che studia i cedimenti strutturali, "Non c’è niente di più impreciso del provare a valutare le condizioni dei cavi interni" e forse l'impossibilità di valutare con maggiore specificità lo stato di deterioramento dei cavi ha fatto sì che il problema venisse sottovalutato.

Il restauro era sì in agenda sia del Governo sia della concessionaria, ma la data era slittata alla fine del 2019.

L'iscrizione nel registro degli indagati di 20 persone è la prima tappa per accertare responsabilità e omissioni, ma la chiusura delle indagini è ancora lontana alla ricerca di quella verità sul ponte che si sarebbe dovuta stabilire già molto tempo fa.




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Barbara Massaro