Il futuro di Cuba dopo la morte di Castro: l'isola che ci sarà
Già innescata dal boom dei piccoli imprenditori e dall'apertura dello Stato al mercato, la "nuova revolución" potrebbe ora accelerare
Un anno fa eravamo stati a Cuba per raccontare la sua metamorfosi economica e culturale. E adesso il Paese potrebbe cambiare per sempre. Per questo, dopo la scomparsa del "líder máximo", ripubblichiamo questo reportage dall'Avana.
I cavalloni schiaffeggiano senza tregua il muro che separa l’oceano dal Malecón, lo scalcagnato e ammaliante lungomare dell’Avana. Ermes Ramires, imprenditore di Santa Clara, guarda ammirato il mare in tempesta. S’è trasferito nella capitale da poco. E deve abituarsi alle onde che allagano il marciapiede, per poi spruzzare acqua sui parabrezza delle vecchie auto. Naturarte, l’impresa di Ramirez, sta restaurando il Museo nacional de la música: un appalto da 2,4 milioni di euro, il più ingente mai affidato a un privato cubano. Ha assoldato i migliori artigiani, pagandoli anche venti volte di più. Un tempo Naturarte aveva una decina di dipendenti. Adesso impiega 200 persone. "Voglio un paese in cui chi lavora meglio guadagna di più", racconta, mentre sposta lo sguardo sul centro storico della città, la "Habana vieja", brulicante di canadesi in pantaloncini e operai che rimettono in sesto strade e palazzi. "E sogno una società dove conta il merito. Perché non siamo più tutti uguali".
Meno Stato e più privati
La sua storia, fino a pochi anni fa, era utopia. Oggi esemplifica un cambio storico: Cuba si apre al mercato. Nel 2008 il governo guidato da Raúl Castro, fratello di Fidel, l’acciaccato "líder máximo", ha avviato la metamorfosi: meno Stato e più privati. "Il sistema non funzionava più: c’erano molte distorsioni e troppe proibizioni" spiega Juan Triana, docente al Centro studi sull’economia cubana. In un paese in cui non esistono partiti d’opposizione né media indipendenti, Triana non lesina critiche. Ma dà meriti a Raúl: "Cuba sta sperimentando le profonde trasformazioni di cui aveva bisogno". Il professore si riferisce agli incentivi per i "cuentapropistas": i piccoli imprenditori. "Nel 2011 erano 120 mila, ora sono mezzo milione", dice. Socialismo adiós, quindi? "Piuttosto un socialismo corretto: tiene conto del mercato e non lo avversa".
I benefici sono evidenti. Il Pil, nel primo semestre del 2015, ha segnato un aumento record: 4,7 per cento. Ovviamente resta tantissimo da fare. Per gli economisti, la misura più urgente è l’aumento dei miseri e indistinti salari pubblici. E poi l’unificazione delle due monete. Una confusione che ha contribuito all’insostenibile livello dei prezzi: negli sguarniti supermarket dell’Avana, una bottiglia d’acqua costa un euro e lo shampoo cinque. Per non parlare delle auto: una Peugeot 207 costa 200 mila dollari. Mentre i salari medi non superano i 30 euro al mese. Il disagio degli statali, molti acculturati e laureati, è eterno argomento di discussione. Come racconta Manolo Gutiérrez, 51 anni, che con una vecchia Lada scarrozza turisti: "Ero dirigente di un’impresa. Una mattina mi sono piazzato davanti a un hotel e ho caricato tre spagnoli: ho visto più soldi quella mattina che in un mese. L’indomani mi sono licenziato".
I nuovi ricchi sull'isola
L’Avana è piena di storie simili. I nuovi ricchi sono gli autonomi "cuentapropistas". Alla Guarida, il ristorante più elegante e costoso della capitale, fino a due anni fa non si vedevano "habaneros". "Ora ogni sera abbiamo almeno un gruppo di cubani: benvestiti ed esigenti", riferisce Enrique Núñez, patron della Guarida, dove lavorano 30 persone.
Molti neoborghesi investono nell’arte: "È esploso il collezionismo. Mi dicono: «Voglio comprare a dieci e rivendere a venti»", rivela Daniel Gonzáles Alfonso, editore della rivista Arte cubano. "Sono gli 'exitosos', quelli di successo: proprietari di locali, artisti e imprenditori". Gli stessi che affollano il salone di bellezza Yes cosmetic. Yoanka Estévez Salinas l’ha aperto tre anni fa a Miramar, il quartiere esclusivo della capitale, puntellato da ambasciate e ville private. "Nell’ultimo anno i clienti sono aumentati del 50 per cento. Lifting, punturine, terapie anticellulite: ci sono persone che vengono anche ogni settimana". Estévez Salina è una fiera "uentapropista": "Ora chiunque vuole fare impresa. Qui non c’è niente: ogni attività è un successo. E molti cominciano a tornare da Miami".
L'occhiolino alle multinazionali
Il piano è però più ambizioso. Punta ad attrarrre le multinazionali, per ora impegnate a costruire qualche hotel di lusso. Nel 2013 è stata inaugurata la zona di sviluppo speciale di Mariel, a est della capitale. Un’area di quasi 500 chilometri dove far insediare le aziende. Il Governo, che manterrebbe comunque il controllo, ha indicato settori in cui investire, tra cui informatica, telecomunicazioni, biotecnologie immobiliare. "Cuba è un mercato vergine: per questo è molto attraente", spiega Oscar Fernández Estrada, professore di economia all’Università dell’Avana. "Siamo un paese di 11 milioni di abitanti, sicuro e stabile. La forza lavoro è a buon mercato, acculturata e in salute. Cuba è il paese dell’America centrale con le migliori prospettive di crescita".
L'invito di Renzi
Anche molti gruppi italiani si sono fatti avanti. A marzo del 2015, assieme al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, c’erano i manager di Enel Green power per sondare opportunità nelle rinnovabili. A luglio scorso, il vice ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha accompagnato una delegazione di aziende. E due mesi fa, durante la prima visita di un premier italiano all’Avana, Matteo Renzi ha invitato "i nostri imprenditori a investire". Come ha fatto negli anni Novanta Berto Savina, abruzzese di Avezzano, fondatore della Italsav, leader nelle esportazioni di prodotti di largo consumo nell’isola. Savina ha portato a Cuba firme del made in Italy come Benetton, Carpisa e Yamamay. Ha ideato e rifornisce decine di punti vendita dove si trova di tutto. "Nell’ultimo anno le vendite sono esplose: dai pannolini alle valigie, dalle lampade ai detersivi", racconta Savina. Gli ultimi tre negozi aperti si chiamano "Agua y jabon": vendono articoli per l’igiene personale e la pulizia. "L’ultimo l’abbiamo inaugurato a maggio 2015. Per giorni c’è stata la fila per entrare. In due settimane abbiamo esaurito la merce. Così l’anno prossimo apriamo altri sette punti vendita".
L’isola pullula di uomini d’affari in cerca di occasioni. Bevono mojitos e parlano di "business" sui divani di vimini nel giardino dell’Hotel Nacional, uno dei simboli della città. Italiani, spagnoli, canadesi. E tanti americani, costretti però a stare alla finestra. Le relazioni tra Usa e Cuba, dopo 54 anni di gelo, sono riprese a dicembre 2014. L’ambasciata all’Avana è stata riaperta, ma le restrizioni del "bloqueo" restano intonse: vietato ogni scambio commerciale o turistico (il reportage, come segnalato in apertura, è stato pubblicato un anno fa, ndr). "Siamo a 90 miglia da Miami", scuote la testa Oliver Zamora, giornalista di politica internazionale e conduttore della Televisiòn cubana. "Gli imprenditori statunitensi si rendono conto che stanno perdendo grandi opportunità", dice Zamora a un tavolino del Nacional, davanti a una parete piena di foto di Fidel. "Ma le lobby contrarie all’embargo sono sempre più influenti. Pure l’opinione pubblica è favorevole. Abbiamo tre milioni di visitatori l’anno: con gli americani, raddoppierebbero".
I progressi diplomatici sono in stallo. Il 14 dicembre 2015 Barack Obama ha detto: "Sono interessato ad andare a Cuba, ma penso che ci debbano essere le condizioni giuste". Il presidente degli Usa ha poi lodato i progressi del Paese e il "pragmatismo di Raul". Un cerchiobottismo che cela le mosse future. "Le relazioni diplomatiche proseguirano, ma lentamente", sostiene lo scrittore Miguel Barnet, influente deputato all’Assemblea nazionale. "Non si può costruire il Partenone e buttarlo giù il giorno dopo. Gli americani non sono pazzi". Barnet è anche uno degli intellettuali più vicini alla famiglia Castro. A lui si può chiedere se davvero Raúl "il pragmatico" ha finalmente sostituito Fidel "l’ideologico". Barnet si tira su gli occhiali sul naso: "Che ingenuità!", esplode. "Lei crede che un uomo come “el comandante en jefe” permetterebbe tali cambi alle sue spalle? Dite un mare di sciocchezze, voi europei! E Raul, comunque, è tanto ideologico quanto Fidel".
Quale evoluzione politica
L’unica certezza è che nel 2018 Raúl, 84 anni, non si ricandiderà. E Cuba, per la prima volta dal 1959, non sarà guidata da un Castro. "Nessuno sa cosa può succedere", ammette Aleida Guevara, medico di successo e battagliera figlia del mitologico Che. "Ma non credo ci saranno grandi cambi: rimarremo un paese socialista che rappresenta il 'pueblo', impegnato a garantire il nostro sistema educativo, sociale e sanitario". Il germe del modernismo sembra però essersi impossessato dei giovani. Si vedono a grappoli, attorno agli hot spot in cerca del segnale wi-fi. La connessione costa due euro l’ora. Ma le targhette telefoniche vanno a ruba. I padri, invece, sognano glorie economiche. Come quella di Yad Aguiar, 28 anni, emigrato in Canada sei anni fa. Alla fine del 2011 viene autorizzata la vendita delle case. E Alguiar coglie il momento. Crea a Toronto un sito di annunci immobiliari: Point2Cuba. Il successo è immediato. Nel 2013 comincia con gli affitti. Oggi è specializzato in immobili di lusso: "Nell’ultimo anno gli affari sono aumentati quattro volte. E i prezzi sono cresciuti anche del 50 per cento: ci sono in vendita ville da un milione di euro".
Come avrebbe soffiato il vento l’ha capito per tempo pure il cubano-americano Hugo Cancio. Oggi è il businessman più di successo nell’isola, il Caronte che traghetta soldi e opportunità da Miami all’Avana. Cancio è il fondatore di Fuego Enterprises, gruppo attivo nei media quotato a Wall Street. Ed è l’editore di varie pubblicazioni, tra cui OnCuba, il primo magazine indipendente, diffuso su due compagnie di charter che atterrano all’Avana. "Le nostre riviste cercano di anticipare i settori in cui investire", afferma Cancio. "Finalmente le cose stanno cambiando, dopo anni di inerzia. E i progressi sono innegabili. Anche se la direzione in cui va non è mi ancora chiara". Si sporge dal terrazzo del suo quartier generale del Vedado: "Quando mi affaccio dal mio ufficio", dice mentre dà una boccata al sigaro, "vedo una bellezza enorme. E infinite opportunità". A pochi isolati, di fronte all’ambasciata americana, il vento gonfia una bandiera a stelle e strisce. Una nuova revolución è appena cominciata.