Aborto: i miti da sfatare sulla sentenza della Corte suprema Usa
La recente sentenza della Corte suprema statunitense sull'aborto ha scatenato un putiferio. Il problema è che molte delle critiche che le sono state mosse risultano infondate. Ecco perché
La recente sentenza della Corte suprema americana sull’aborto ha generato più di un fraintendimento. Il pronunciamento annulla Roe v Wade: la sentenza che, nel 1973, aveva reso l’interruzione di gravidanza un diritto costituzionalmente garantito. Questo significa che la decisione della maggioranza dei supremi giudici non vieta l’aborto tout court, ma che rimette semmai la materia sotto l’autorità dei parlamenti statali: parlamenti che – ricordiamolo – sono eletti dai cittadini. “La Costituzione non proibisce ai cittadini di ciascuno Stato di regolare o proibire l’aborto”, si legge infatti nella sentenza. Non è pertanto corretto affermare che la Corte suprema abbia abrogato la possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza, in quanto non si è minimamente pronunciata sulla sua liceità. Le decisioni in materia torneranno infatti ai singoli Stati, quattordici dei quali – va sottolineato – hanno già codificato la salvaguardia dell’aborto a livello legislativo. Sbaglia tra l'altro chi accusa la Corte suprema di contraddizione, per aver annullato una sua precedente sentenza. La sconfessione di un precedente è infatti caso raro, ma non impossibile: nel 1954, per esempio, la Corte cassò la precedente sentenza Plessy v Ferguson, abrogando in questo modo il segregazionismo razziale nelle scuole.
Un secondo mito da sfatare è che la Corte suprema sia oggi “ostaggio della destra”. È vero: sei giudici su nove sono di nomina repubblicana. Tuttavia la situazione risulta ben più complessa. I tre togati che furono scelti da Donald Trump – Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh ed Amy Coney Barrett – sono “originalisti”: ritengono, cioè, che la Costituzione debba essere interpretata attraverso il senso originario in cui venne scritta. Vale le pena sottolineare che l’“originalismo” non è una dottrina quanto semmai un approccio: ragion per cui capita spesso che giudici appartenenti a tale orientamento si trovino in disaccordo. Secondo Cnbc, nel 2019 Gorsuch e Kavanaugh presentarono per esempio un grado di accordo del 70%: un dato molto al di sotto del 96% che caratterizzava le due togate nominate da Barack Obama (Elena Kagan e Sonia Sotomayor). Ma l’originalismo non assicura soltanto una diversità di vedute. Assicura anche – e soprattutto – una corretta interpretazione del ruolo del giudice come garante del diritto e non come fantomatico paladino di altrettanto fantomatici progressi sociali (idea, questa, molto rischiosa, perché sottopone i togati a inquietanti pressioni di vario tipo).
Ma c’è anche un terzo mito da sfatare. E riguarda il Partito democratico americano, che presenta sé stesso come nume tutelare delle istituzioni e – soprattutto – come paladino dei diritti civili. Ebbene le cose non stanno esattamente così. In primis, i democratici si stanno contraddistinguendo per un totale spregio delle istituzioni. Un conto è infatti criticare legittimamente una sentenza, un altro conto è screditare violentemente la Corte suprema. E sono i fatti a parlare. La Speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha definito la Corte suprema come “radicale”, mentre la deputata dem Alexandria Ocasio-Cortez ha parlato di sentenza “illegittima”, esortando la gente a scendere in strada e precisando che, a suo dire, “le elezioni non bastano”. La sua collega, Maxine Waters, ha invece tuonato: “Vada al diavolo la Corte suprema!”.
Ci sarebbe quindi da domandarsi: è normale che esponenti del potere legislativo attacchino e screditino in questo modo il massimo organo del potere giudiziario? È rispetto delle istituzioni questo? Ci si rende conto che dire “le elezioni non bastano” è una frase che può tecnicamente preludere a una guerra civile? Venerdì scorso, una folla di manifestanti abortisti è stata dispersa con i lacrimogeni a Phoenix, dopo che aveva colpito le porte dell’edificio che ospita il senato dell’Arizona. Così, tanto per dire. Tra l’altro, il rispetto delle istituzioni non dovrebbe essere a targhe alterne. Quando nel 2015 la Corte suprema riconobbe i matrimoni omosessuali, i democratici gioirono, mentre i repubblicani – che pure non condividevano il contenuto di quella sentenza – non si sognarono di mettere in discussione la legittimità della Corte.
Infine, si faccia attenzione prima di credere che i democratici sposino le loro battaglia abortiste per questioni di principio. La situazione, anche in questo caso, è un tantino più complessa. Secondo il sito Open Secrets, la potente onlus pro-choice Planned Parenthood (che dispone di asset per circa due miliardi di dollari) ha versato quasi due milioni di dollari in finanziamenti elettorali al Partito democratico nel 2020 e circa 300.000 dollari quest’anno. Inoltre, i vertici di Planned Parenthood sono contraddistinti da porte girevoli con lo stesso Partito democratico. Il presidente del board della onlus è Joe Solmonese: costui ha lavorato nel comitato elettorale di Obama nel 2012 ed è stato il Ceo della Convention nazionale democratica del 2020. Cecile Richards, che ha guidato come presidente l’organizzazione dal 2006 al 2018, era stata vicecapo dello staff di Nancy Pelosi ed è la figlia di Ann Richards, che fu governatrice dem del Texas dal 1991 al 1995. Alla luce di tutto questo, possiamo forse supporre che i democratici americani non siano esattamente disinteressati nelle loro crociate a favore dell’interruzione di gravidanza.
Sia chiaro: l’aborto è un tema drammatico, su cui legittimamente e comprensibilmente si registrano opinione diverse. Proprio per questo il dibattito dovrebbe dipanarsi su binari di correttezza, non su fraintendimenti capziosi e sul lancio di violente campagne di discredito istituzionale. Perché le sentenze, prima di commentarle ed eventualmente criticarle, bisognerebbe leggerle. E capirle. La Corte suprema ha soltanto ripristinato un principio: le leggi le fanno i parlamenti, non i giudici. Questa è l’essenza della democrazia liberale. Tutto il resto, che sia fatto in buona o cattiva fede, rischia di rivelarsi l'anticamera della barbarie.