L'allargamento della Nato a Est nelle carte del National Security Archive
Panorama ha trovato negli archivi della Sicurezza Nazionale statunitense le prove, ormai desecretate, dell'impegno assunto nel 1990 dai leader occidentali con Mikhail Gorbaciov a non espandere l'Alleanza atlantica oltre l'ex Ddr. Inchiesta su strategie, ambizioni e rimostranze della sanguinosa guerra di Vladimir Putin.
- Vattani: «E pensare che, alla fine della Guerra fredda, l'Occidente voleva fare della Russia un partner»
- I documenti del National Security Archive
- L'allargamento della Nato dal 1990 a oggi
- Zannier: «Ma la Russia non ha rispettato il memorandum di Budapest»
- Lami: «A spingere Putin all'invasione è stato anche il suo sogno neo-imperiale»
Per capire la guerra d'aggressione scatenata da Vladimir Putin in Ucraina, in violazione del diritto internazionale e dell'articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, vorremmo tutti entrare nella testa di Vladimir Putin. Quello che però sappiamo è che, come ha scritto il 21 febbraio Thomas Friedman sul New York Times, l'invasione «è il prodotto delle sue ambizioni, delle sue strategie e delle sue rimostranze».
Strategie, ambizioni, rimostranze... Le troviamo nero su bianco nel discorso che il presidente russo ha tenuto il 24 febbraio. Al primo posto fra le sue rimostranze, l'allargamento della Nato. «Qualsiasi ulteriore espansione delle infrastrutture dell’alleanza del Nord Atlantico o gli sforzi in corso per ottenere un punto d’appoggio militare nel territorio ucraino sono per noi inaccettabili» ha detto Putin.
Sulla questione dell'espansione della Nato a Est, Panorama ha trovato negli archivi della National Security 30 documenti declassificati risalenti al 1990, che possono aiutare a capire la genesi dell'attuale conflitto. I documenti declassificati riportano le conversazioni e gli impegni verbali fra l'allora leadership sovietica e la sua controparte occidentale: il presidente George Bush, il suo segretario di Stato James Baker, il cancelliere Helmut Kohl, il presidente François Mitterrand, il primo ministro Margaret Thatcher e il suo successore John Major.
Le carte conservate dall'organismo del Dipartimento della difesa, che con Fbi e Cia si occupa di sicurezza nazionale, testimoniano l'impegno assunto oralmente 32 anni fa dai leader occidentali a non allargare la Nato a Est. Lo dice esplicitamente il sito in cui sono pubblicati, la cui pagina iniziale è intitolata «Quello che Gorbaciov ha sentito».
Questi documenti si sommano a quello trovato nei British National Archives dal politologo americano Joshua Shifrinson e pubblicato da Der Spiegel. Si tratta del verbale della riunione del 6 marzo 1991 a Bonn dei Direttori politici dei ministeri degli Esteri di Usa, Regno Unito, Gran Bretagna, Francia e Germania, dove si disse: «Non intendiamo far avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. E pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale la possibilità di aderirvi».
Scorrendo le carte, di cui Panorama pubblica una selezione qui sotto, si scopre che il 6 febbraio 1990 il segretario di Stato James Baker aveva detto al ministro degli Esteri sovietico Eduard Shevardnadze: «Ci dovrebbero essere, naturalmente, garanzie di ferro che la giurisdizione o le forze della Nato non si spostino verso Est». E che quattro giorni dopo, il cancelliere tedesco Helmut Kohl aveva ribadito al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov: «Crediamo che la Nato non debba espandere il suo raggio d'azione. Dobbiamo trovare una risoluzione ragionevole».
La soluzione non fu trovata: nel corso degli anni furono 10 i Paesi dell'ex Patto di Varsavia a entrare nella Nato. E le conseguenze furono devastanti. A sostenerlo è George F. Kennan, il decano americano degli esperti di Russia, che nel 1999 definì l'espansione della Nato in Europa centrale «l'errore più fatale della politica americana nell'intera era post Guerra fredda». Non è tutto. Il 5 marzo 2014, l'ex segretario di Stato Henry Kissinger scrisse, profetico, sul Washington Post: «Troppo spesso la questione ucraina è posta come una resa dei conti: l'Ucraina si unisce all'Est oppure all'Ovest. Ma se l'Ucraina deve sopravvivere e prosperare, non deve essere l'avamposto di una delle due parti contro l'altra - dovrebbe funzionare come un ponte tra di loro». Per poi concludere: «L'Ucraina non dovrebbe entrare nella Nato». Nel 2016, parlando delle tensioni con la Russia, l'ex segretario della Difesa Usa Bill Perry ammise con il Guardian: “Negli ultimi anni, la maggior parte della colpa può essere attribuita alle azioni di Putin. Ma nei primi anni devo dire che gli Stati Uniti meritano gran parte della colpa”». E lo scorso 21 febbraio, Thomas Friedman ha intitolato il suo commento sul New York Times: «Questa è la guerra di Putin. Ma l'America e la Nato non sono innocenti spettatori».
Ma i documenti del National Security Archive non hanno solo una valenza storica: hanno un significato politico attuale. Come disse Gorbaciov al Telegraph nel 2008, quelle promesse disattese hanno lasciato un pesante segno nei rapporti della Russia con l'Occidente. Per contestualizzare queste carte, Panorama si è confrontato con l'ambasciatore Umberto Vattani, che si trovava a Palazzo Chigi con Giulio Andreotti proprio in quegli anni.
Ambasciatore, lei che è un testimone diretto che cosa pensa di questi documenti?
«Vorrei fare una premessa. Sia ben chiaro: nessuna delle motivazioni addotte da Putin può giustificare in alcun modo un'aggressione compiuta nei confronti di uno Stato sovrano e indipendente, una manifesta violazione del diritto internazionale. Ciò detto, posso dire che gli incontri dell'allora presidente del Consiglio Andreotti con il presidente sovietico Gorbaciov, ai quali ero presente, confermano questa linea. Ne si può trovare riscontro nell’archivio personale dello statista democristiano, depositato all’Istituto Luigi Sturzo. I documenti conservati da Andreotti confermano quello che si ritrova nei documenti conservati al National Security Archive».
Qual era la posizione di Andreotti?
«Il Presidente del consiglio italiano svolse un ruolo primario, tra i Paesi europei, con Gorbaciov e con George Bush senior, sostenendo la volontà di superare le contrapposizioni che impedivano al dialogo di allargarsi per creare un nuovo sistema di collaborazione e di sicurezza. Andreotti e prima di lui Ciriaco De Mita assunsero una posizione così marcata che si parlò a giusto titolo di una Ostpolitik italiana».
Lei dunque conferma che nel 1990 Mosca era stata rassicurata che la Nato non si sarebbe allargata a Est, come mostrano i documenti da noi pubblicati?
«Se andiamo a vedere le carte oggi declassificate, scopriamo che James Baker usò con Mikhail Gorbaciov non una ma tre volte l'espressione “not one inch eastward”: non un pollice in direzione Est. Era il 9 febbraio 1990, e a Mosca il segretario di Stato disse al presidente sovietico queste precise parole: “Comprendiamo la necessità di dare garanzie ai Paesi dell'Est. Se manteniamo una presenza in una Germania che fa parte della Nato, non ci sarà un'estensione della giurisdizione della Nato per le forze della Nato un pollice a Est”. Questo concetto venne ribadito da George Bush a Mikhail Gorbaciov durante una telefonata partita dallo Studio ovale. Il 17 luglio 1990 il presidente statunitense rinnova le rassicurazioni al presidente sovietico: “Quello che abbiamo cercato di fare è stato di tenere conto delle vostre preoccupazioni espresse a me e ad altri”».
Ma non furono solo gli Stati Uniti a rassicurare Gorbaciov.
«Fu tutto l’Occidente. Il 10 febbraio 1990 il cancelliere Helmut Kohl gli disse: “Crediamo che la Nato non debba espandere la sfera della sua attività. Dobbiamo trovare una risoluzione ragionevole. Comprendo correttamente gli interessi di sicurezza dell'Unione Sovietica”».
Mitterrand addirittura sosteneva la necessità di dissolvere, con il Patto di Varsavia, anche la Nato.
«Il 25 maggio 1990 durante una conversazione con Gorbaciov, Mitterrand gli suggerì di chiedere "garanzie appropriate" alla Nato. Parlò del pericolo di isolare l'Unione Sovietica nella nuova Europa e della necessità di "creare condizioni di sicurezza per voi, così come la sicurezza europea nel suo insieme”».
Sulla stessa linea anche la signora Thatcher.
«Durante l'incontro dell'8 giugno 1990 a Mosca, disse a Gorbaciov fermamente che non era nell'interesse di nessuno mettere in pericolo la sicurezza sovietica: "Dobbiamo trovare il modo di infondere all'Unione Sovietica la fiducia che la sua sicurezza sia garantita”».
Ma perché i sovietici erano così preoccupati?
«Perché la riunificazione tedesca avrebbe fatto entrare nella Nato uno Stato che faceva parte del Patto di Varsavia: la Ddr, la Germania orientale. In un primo tempo i sovietici sembravano desiderare una Germania neutrale, ma gli italiani furono i primi a dire di no. Giulio Andreotti era molto fermo: “Più leghiamo la Germania all'Europa e alla Nato, meglio è”. E Gorbaciov accettò che la Ddr entrasse nella Nato. Ma, secondo quanto gli fu promesso, sarebbe dovuto essere l'unico Paese dell'ex Patto di Varsavia a farlo».
Invece nel corso degli anni ne sono entrati 10.
«In passato l'Occidente ha purtroppo dato l'impressione di trascurare le esigenze di sicurezza di Mosca, di cui tanto si era parlato alla fine del Guerra fredda. Non a caso, i tre episodi che Putin ricorda nel suo discorso del 24 febbraio sono Kosovo, Irak e Siria. Sul Kosovo ha detto: “È stata condotta una sanguinosa operazione militare contro Belgrado, senza l’approvazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu”. Sull'Irak ha parlato di “invasione (...) compiuta senza alcuna base legale»”. E sulla Siria di “operazioni di combattimento condotte dalla coalizione occidentale in quel Paese senza l’approvazione del governo siriano o la sanzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu”».
E pensare che, nel 1989, la democrazia era in marcia in tutto il mondo...
«E, secondo le intenzioni di Gorbaciov, anche la Russia sarebbe dovuta diventare un partner nella casa comune europea».
Ma poi fu umiliata e offesa: arrivarono a definirla l'Alto Volta con le bombe nucleari...
«Diciamo che noi italiani abbiamo sempre cercato di non esacerbare le tensioni e di ricreare un clima di collaborazione. Berlusconi lo disse a Genova nel 2001 nel suo primo incontro con Putin: “Lavoriamo assieme nell'Unione europea e nella Nato”. E un anno dopo, a Pratica di Mare, fece nascere il Consiglio Nato/Russia. L'anno successivo, nel 2003, a Bruxelles dichiarammo la Russia Paese strategico per l'Unione europea».
Intende forse dire che dobbiamo rivalutare Berlusconi?
«Dobbiamo riconoscergli questi meriti, ma anche quelli degli altri occidentali, tutti d'accordo sull'idea di un Consiglio Nato-Russia».
Arriviamo a oggi. Il 15 febbraio, l'ex ambasciatore Usa a Mosca Jack F. Matlock Jr., intervistato da Responsible Statecraft, alla domanda «Era la crisi evitabile? ha risposto «In sintesi, sì».
«L'ambasciatore Matlock conosce bene i rapporti con la Russia. E cosa dicee nove giorni prima dell'invasione? “Poiché la principale richiesta di Putin è l'assicurazione che la Nato non farà entrare altri membri, e in particolare non l'Ucraina o la Georgia, ovviamente non ci sarebbero state le basi per la crisi attuale se non ci fosse stata l'espansione dell'alleanza dopo la fine della Guerra fredda, o se l'espansione fosse avvenuta in armonia con la costruzione di una struttura di sicurezza in Europa che includesse la Russia”».
Invece siamo arrivati alle bombe. Come ne usciamo?
«La situazione è molto grave e non vi è alcun dubbio sulle pesanti responsabilità russe. Ma se assistiamo a scene raccapriccianti di vittime civili e di distruzioni senza fine, non possiamo non tener conto anche di quelle migliaia di cittadini russi che coraggiosamente, con rischi personali, manifestano la loro opposizione alla guerra. L'obiettivo non può essere che interrompere questa spirale e impedire un'ulteriore escalation. Per questo la parola deve tornare ai diplomatici, che devono armarsi di pazienza, prendendo esempio dal cardinale Agostino Casaroli. Il segretario di Stato vaticano, riferendosi ai negoziati intavolati con i Paesi comunisti dal 1963 al 1989, intitolò il suo libro proprio Il martirio della pazienza».
Documento 1: cablogramma confidenziale dell'ambasciata Usa a Bonn «La Nato dovrebbe escludere una sua espansione a Est»
Dcoumento 2: documenti sulla politica d'oltremare britannica «Se il governo polacco lasciasse il Patto di Varsavia un giorno, non si unirebbe alla Nato quello successivo»
Documento 4: memorandum di conversazione fra James Baker ed Eduard Shevardnadze «Ci sarebbero garanzie di ferro che la giurisdizione della Nato non si sposterebbe a Est»
Documento 5: memorandum di conversazione fra James Baker e Mikhail Gorbaciov «Non ci sarebbe nessuna estensione della giurisdizione della Nato»
Dcoumento 7: memorandum di conversazione fra Robert Gates e Vladimir Kryuchkov «Le truppe Nato non si muoverebbero ulteriormente a Est»
Documento 8: lettera di James Baker a Helmut Kohl «Assicurazioni che la giurisdizione della Nato non si sposterebbe di un pollice verso Est»
Documento 9: memorandum di conversazione fra Mikhail Gorbaciov e Helmut Kohl «La Nato non dovrebbe espandere la sua portata»
Documento 10: gli appunti di Stepanov-Mamaladze sull'incontro Baker/Shevarnadze «Se una Germania Unita sta nella Nato, dovremo fare attenzione alla non-espasione della sua giurisdizione a Est».
L'allargamento della Nato dal 1990 a oggi: inglobati 10 Paesi ex Patto di Varsavia in 14 anni
Zannier: «Ma anche la Russia non ha rispettato il memorandum di Budapest»
«Nel 1994 l'Ucraina aveva accettato di diventare più vulnerabile, cedendo le armi nucleari in cambio di garanzie di sicurezza, che però non sono state garantite». L'ambasciatore Lamberto Zannier, già segretario generale dell'Osce e sottosegretario delle Nazioni Unite, ricorda che in passato anche la Russia non ha rispettato degli accordi. Si tratta del Memorandum di Budapest, firmato con Stati Uniti e Regno Unito nel 1994, che garantiva all'Ucraina la sua integrità territoriale. E che la strategia di Putin ha ignorato.
Anche la Russia, che ora si lamenta del mancato rispetto degli impegni sull'allargamento della Nato, in passato non ha tenuto fede a un impegno.
«Sì, si tratta di un impegno maturato nel contesto del processo di denuclearizzazione dell'Ucraina. Con la dissoluzione dell'Unione sovietica, l'Ucraina aveva ereditato un arsenale nucleare di tutto rispetto: circa 1.700 sistemi, sia strategici sia tattici. Di quelli tattici aveva anche il controllo operativo. Di quelli strategici aveva solo il controllo fisico. In teoria avrebbe potuto anche sostituire i sistemi di guida, ma ovviamente sarebbe stato un investimento molto rilevante».
In che contesto si inseriva questo processo?
«Negli anni fra il 1991 e il 1994, assieme a Bielorussia e Kazakistan venne avviato un processo di denuclearizzazione. Con l'Ucraina, questo processo fu particolarmente complesso e si concluse molto più tardi. Gli ucraini volevano avere rassicurazioni che i sistemi che restituivano ai russi sarebbero stati smantellati e chiedevano anche un monitoraggio del processo di smantellamento. Per sostenere quel processo di denuclearizzazione dello spazio ex sovietico, ci fu bisogno di una mediazione da parte della Nato e di assistenza da parte degli Stati Uniti».
Come si conclusero i negoziati?
«Al termine di quei negoziati, che tra l'altro riguardavano, in un volet parallelo, anche la concessione in uso alla Russia della base navale di Sebastopoli, il 5 dicembre 1994 le tre potenze nucleari garanti (Stati Uniti, Regno Unito e Russia) firmarono un memorandum nel quale, fra i vari punti, ognuna garantiva la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina».
Quindi si trattò di un impegno preciso, scritto, da parte di Mosca?
«Sì: un impegno a rispettare la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina nei suoi confini a quel momento».
Impegno che poi non fu rispettato...
«L'impegno era già stato violato nel 2014 con l'annessione della Crimea. La linea russa era che, dopo quello che Mosca definiva come un colpo di Stato a Kiev, l'Ucraina non era più il Paese con il quale aveva concluso il memorandum. Ovviamente la violazione si è poi ripetuta adesso, con l'invasione dell'Ucraina. Non ci sono dubbi che queste azioni sono in violazione alla lettera delle intese di Budapest».
Lami: «A spingere Putin all'invasione è stato anche il suo sogno neo-imperiale»
«Putin ha ordinato l'invasione dell'Ucraina anche perché sognava di restaurare la gloria dell'Impero russo». La professoressa Giulia Lami, ordinario di Storia dell'Europa orientale all'Università Statale di Milano, analizza il primo discorso di Vladimir Putin, quello tenuto il 21 febbraio. Dal quale emerge chiaramente che a spingere il presidente russo alla guerra è stata anche una grande ambizione, ossia «la sua ingannevole illusione neo-imperiale».
Nel discorso del 21 febbraio, incentrato sull'Ucraina, emerge un riferimento costante all'impero russo e al suo spazio geografico-culturale.
«Facciamo una premessa. La ricostruzione storica di Vladimir Putin è abbastanza corretta, ma dimentica le premesse, nel senso che l'Ucraina non è un Paese artificiale, creato fra Lenin e Stalin. È un Paese composto di parti con una precisa identità, creatasi nel corso dei secoli e una loro vocazione all'esistenza, che era già emersa nei tentativi di costituire due repubbliche indipendenti, una nelle terre russe e una nelle terre austro-ungariche».
Ciò detto, qual è il messaggio del 21 febbraio?
«Il discorso del 21 febbraio 2022, soprattutto letto a posteriori, è senz'altro interessante per capire la logica in cui è maturata la guerra in Ucraina. Il costante riferimento all'impero russo si accompagna alla critica rivolta all'Unione sovietica. Perché è noto che Putin ritiene l'esperimento comunista, e a volte usa tout court la parola bolscevico, come fallimentare. Ma si sa che Putin ha definito la caduta dell'Urss come la peggiore catastrofe geo-politica del ventesimo secolo. E questo perché l'Urss aveva in gran parte ricoperto, da impero de facto, il territorio dell'impero de iure di quello zarista, che era finito nel 1917».
Quindi Putin fa riferimento allo spazio russo?
«È a quello che vorrebbe tornare, ammantando l'operazione di richiami culturali: lo spazio russo come spazio di civiltà o civilizzazione. E riferimenti storici che denotano forza: i grandi sovrani come Pietro il Grande e Caterina II, ma anche Alessandro III, che non era un riformatore come il padre e non era un debole come il figlio».
E dunque?
«Dunque nel discorso del 21 febbraio vi è un'elucubrazione di questo tipo: laddove dice “l’Ucraina moderna è stata completamente creata dalla Russia, più precisamente dalla Russia bolscevica comunista”, Putin ha ragione. Perché l'Ucraina sovietica sostituì la Repubblica popolare ucraina socialdemocratica ma nazionale, che era sorta durante la rivoluzione nelle terre dell'Impero russo, perché fu sconfitta alla fine dei torbidi rivoluzionari. Un’analoga Repubblica ucraina occidentale era nata nelle terre allora asburgiche, quella per intenderci con capitale Leopoli, che poi nel periodo interbellico entrò nella Polonia. Dopo il 1917 non nacque quindi la grande Ucraina post-zarista che volevano i patrioti ottocenteschi e novecenteschi».
Fino a quando le due parti rimasero separate?
«È vero, come ricorda Putin, che fu Stalin a unire le due parti, prima e dopo la Grande Guerra Patriottica. Dove lui pudicamente dice prima, io invece dico con il patto Molotov/Ribbentrop.... È vero anche che Krusciov diede poi all’Ucraina la Crimea, ma voglio ricordare che l'Ucraina attuale è indipendente da 30 anni ed è il processo di distacco dall’Urss che Putin confuta, in nome del richiamo all’Impero russo».
Ma cita anche Lenin.
«Nel suo discorso, Putin dedica spazio alla formazione dell’Urss secondo la concezione di Lenin, che era conscio delle differenze nazionali fra i russi etnici e gli altri, e che a differenza di Stalin era fautore dell’autodeterminazione dei popoli. Putin critica anche il diritto di secessione previsto dalla costituzione dell’Urss, che avrebbe portato al distacco delle repubbliche federate fra il 1990 e il 1991».
E se la prende con i bolscevichi...
«Non fa loro sconti, usando parole molto dure, Per esempio parla di “fantasie odiose e utopiche ispirate dalla rivoluzione”. Nell'ottica di Putin, sembra di capire che a pagare è la Russia, che ha ceduto e poi perso parti del suo territorio. Ma in questo Putin fa un'equivalenza fra Russia e Impero russo, che è data per scontata».
Non era così, vero?
«In realtà l’Impero era un’altra cosa rispetto all’Urss e tutti e due erano tutt'altra cosa rispetto all’attuale Federazione russa. Ma l’Impero che Putin vede come la Russia una e indivisibile dei Bianchi, per intenderci, e che piaceva anche allo Stalin commissario delle nazionalità all’epoca della rivoluzione, non era poi così compatto».
Perché?
«Mai sentito parlare della rivoluzione del 1905, con fermenti nazionali dal Baltico alla Transcaucasia, e prima ancora delle insurrezioni polacche del 1830 e del 1863? Mai sentito parlare del colosso dai piedi d’argilla, del moto centrifugo delle nazionalità, del rischio di disgregazione? Non avesse vinto l’Armata rossa di Lev Trockij, neanche l’Ucraina, che era nata nelle ultime fasi dell’Impero russo, sarebbe entrata nell’Urss».
Ma, in sintesi, Putin che cosa ambisce a ricreare?
«Putin ambisce a ricreare un'equivalenza fra la Federazione russa attuale e l'Impero russo degli zar, come richiamo di uno spazio geografico e culturale potente, trasportato in una specie di età dell'oro, dove secondo questa ricostruzione tutti vivevano molto tranquillamente».
Non vuole ricreare l'Urss perché sa che può evocare brutti ricordi...
«Certo, ma anche perché lui ha sempre criticato l'Urss. Mentre invece l'Impero russo è un richiamo può piacere a tutti. Il dramma delle sindromi post-imperiali (e qui ce n’è una doppia) è che si tende a individuare un’età dell’oro che in realtà non esisteva e a scegliere solo i momenti di forza, potenza, durezza, spregio delle ragioni dei più deboli, ignorando che già in passato si era già arrivati a una catastrofe».
E, per finire, Putin attacca l'Ucraina attuale.
«Putin critica l’Ucraina post-comunista, la sua debolezza, i suoi oligarchi corrotti e così via. Da qui la conclusione fatale che l’evoluzione democratica ucraina sia un inganno, che la crisi socio-economica sia abissale, che l’Ucraina sia uno Stato debole e facilmente conquistabile...».
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