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(Ansa)
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Il bilancio di 75 anni della Nato ad alta tensione con Russia e Cina

L'Alleanza Atlantica si trova a fare i conti con un quadro geopolitico complesso, forse il più difficile dalla sua nascita

Il compleanno dell’Alleanza Atlantica appena celebrato a Washington DC, era il 75esimo. Tre quarti di secolo. Entrata in funzione nel 1949 per volere di 12 Paesi fondatori – 2 americani (Usa e Canada) e tutti gli altri europei (tra cui l’Italia) – oggi è arrivata a contare 32 membri.

I quali, per festeggiare degnamente questa ricorrenza, hanno deciso di farsi un regalo, o meglio una promessa: ufficializzare l’adesione anche di Kiev, definendola un «percorso irreversibile» che giungerà a compimento una volta finita la guerra.

Anche se la NATO a dire il vero sinora ha solo promesso e non è si vincolata in alcun modo all’Ucraina, se non a parole, Mosca comunque non ha preso bene la notizia. L’allargamento nella NATO anche all’Ucraina, dopo il recentissimo ingresso di Finlandia (2023) e Svezia (2024), era l’ultimo tassello che mancava all’attuale disegno geopolitico delle potenze occidentali, America in testa.

Quale? Arginare il protagonismo tanto russo quanto cinese, e la loro comune e incalzante espansione: quella verso l’Africa, già in pieno svolgimento; e quella verso l’Europa, con tentativi pluriennali che hanno visto, da un lato, Mosca usare prima le buone (propaganda) e poi le cattive maniere (invasione) e, dall’altro, Pechino usare soprattutto l’arma della penetrazione commerciale (Nuova Via della Seta).

Entrambi i tentativi, per adesso, sono stati respinti e l’Unione Europea si è fatta per la prima volta coesa nell’arginare economicamente e militarmente ogni minaccia alla sua indipendenza, complici i diktat degli Stati Uniti, che come noto dettano la linea strategica, sanzionatoria e di difesa a tutto l’Occidente.

Durante il summit sono state rilasciate alcune dichiarazioni dirimenti sulla posizione ufficiale dell’Alleanza: non soltanto Cina, Bielorussia, Nord Corea e Iran sono state più volte biasimate per il fatto di sostenere lo sforzo bellico russo, ma la Russia stessa è stata definita in maniera lapidaria «la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati».

Ragion per cui la NATO ha appena varato delle misure concrete, e di un certo respiro, per far fronte alla minaccia che incombe sui destini dell’Ucraina e dell’Europa orientale: la costituzione della NATO Security Assistance and Training for Ukraine e un nuovo impegno finanziario, denominato Pledge of Long Term Security Assistance for Ukraine. È in particolare quella parola, «long term», che definisce meglio di ogni documento programmatico i piani dell’Alleanza per il futuro: difendere Kiev, respingere Mosca.

Già, respingere. Perché la NATO è un’alleanza difensiva e non offensiva. Anche per questo, il nuovo annunciato ombrello militare che proteggerà l’Europa – nelle premesse, il più vasto e tecnologicamente avanzato al mondo – non è da intendersi come un atto di guerra o una minaccia verso Oriente. Va semplicemente inquadrato nel bagno di realtà che l’Europa intera ha fatto dopo il 24 febbraio 2022: quanti Paesi europei non hanno un sistema di difesa missilistica degno di questo nome? Spoiler: l’Italia stessa ne è sprovvista, e come altri ne ha un disperato bisogno.

La Russia sa che la NATO non è una minaccia reale o imminente al territorio russo. Così come è consapevole di essere militarmente inferiore. E certo il Cremlino non vuole uno scontro diretto più di quanto lo vogliano i membri dell’Alleanza. Intanto, però, le tensioni tra Russia e NATO aumentano di anno in anno. E così questo 75esimo anniversario, che segue la più grande esercitazione militare atlantica della storia (Steadfast Defender 2024, con oltre 90mila soldati impegnati), è diventato un appuntamento necessario per la messa a punto della macchina bellica occidentale.

Si potrebbero citare, in proposito, le trattative durante il summit per portare la spesa comune di tutti gli alleati al 2% dei Pil nazionali; si potrebbero citare gli step burocratici stabiliti per le nuove dotazioni di armi, per la logistica, eccetera; o ancora, le singole opinioni espresse dai maggiorenti dell’Alleanza. Ma c’è forse qualcosa di più interessante emerso dal summit di Washington DC. Due fatti, in particolare, suscitano curiosità.

Il primo è che non si è in alcun modo accennato alle situazioni potenzialmente più pericolose. Come quella dell’Africa mediterranea e in particolare della Libia, precipitata nella scomoda posizione di Stato fallito proprio dopo l’operazione NATO Unified Protector del 2011, che ha decapitato il governo di Gheddafi, con le note conseguenze (tra le quali una forte penetrazione russa); e quella del Sahel, dove all’abbandono di francesi e americani è corrisposto un terrorismo dilagante e dove, anche in questo caso, i soldati europei sono stati sostituiti da milizie russe.

Il secondo fatto da notare è che non si è discusso nemmeno dell’esplosiva situazione in Medio Oriente tra Israele, Palestina e Libano, se non incidentalmente quando - questa, almeno, è una buona notizia - si è stabilito di aprire un Ufficio di Collegamento NATO in Giordania, importante alleato degli Stati Uniti nella regione e partner ritenuto sempre affidabile.

Quello che invece è emerso tra le righe è che sia l’Alleanza Atlantica sia la Russia continuano a perseguire, ciascuna parte con inflessibile coerenza e determinazione, il grande gioco geopolitico che li vede da sempre (per sempre?) contrapposti e alternativi l’uno all’altro lungo una precisa linea geografica, che ne disegna idealmente i rispettivi invalicabili confini. Una linea blu e una rossa che sono e restano l’obiettivo strategico di lungo corso e rappresentano qualcosa di ineludibile e ineliminabile, secondo la dottrina militare di entrambe. Una linea blu per la NATO, che va da Danzica a Costanza (dunque, dalla Polonia alla Romania); una linea rossa per la Russia, che va da Kaliningrad a Sebastopoli (dunque, dall’exclave russa tra Polonia e Lituania alla penisola della Crimea).

Indovinate quale Paese è attraversato da entrambe le linee? Sì, avete indovinato. Proprio l’Ucraina.

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Luciano Tirinnanzi