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(Ansa)
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C'è l'accordo sulla Brexit. Londra contro Bruxelles finisce in parità

Evitato all'ultimo minuto il «no deal» con un accordo dove ognuno ha rinunciato a qualcosa

Lo scenario del no deal è stato evitato. Londra e Bruxelles hanno infatti appena raggiunto un accordo sulla Brexit: un'intesa che è già stata non a caso battezzata "l'accordo della vigilia di Natale". A renderlo noto è stata la stessa Downing Street con un comunicato nel primo pomeriggio, mentre subito dopo la presidentessa della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha tenuto una conferenza stampa, parlando di un accordo "giusto, equilibrato e responsabile". La notizia non è poi così inattesa, visto che – già il 23 dicembre – il Financial Times aveva riferito che l'intesa fosse ormai "imminente". In particolare, il quotidiano britannico aveva rivelato che, negli ultimi giorni, la direzione dei negoziati fosse passata direttamente nelle mani di Boris Johnson e della stessa von der Leyen.

L'annuncio della formalizzazione è tuttavia arrivato con alcune ore di ritardo rispetto alle attese, dal momento che – secondo quanto riportato ore fa da Reuters – le trattative, durante la notte, si sarebbero incagliate sulla spinosa questione della pesca. Come che sia, l'intesa – che dovrà essere adesso ratificata dai rispettivi parlamenti entro il 31 dicembre – ha tutta l'aria di un compromesso (per quanto ciascuna delle parti rivendichi sostanzialmente una vittoria). Segno dunque che i toni battaglieri dell'anno scorso abbiano progressivamente lasciato il posto a una situazione tutto sommato più distesa. Da quanto trapela al momento, il Regno Unito parrebbe aver conseguito alcuni importanti successi. In particolare, va sottolineato che eventuali contenziosi tra le parti non dovrebbero essere trattati sotto la giurisdizione della Corte di giustizia dell'Unione europea: un punto su cui Johnson ha sempre mostrato una netta fermezza, in nome della salvaguardia della sovranità britannica. Londra avrebbe di contro ottenuto condizioni meno vantaggiose sul fronte della pesca, accettando un compromesso al ribasso. Più in generale, nonostante il Regno Unito si avvii ad abbandonare mercato unico ed unione doganale, è stata garantita la possibilità di commerciare senza dazi, oltre al mantenimento della cooperazione in alcuni settori chiave: trasporti, sicurezza, energia e ambiente.

Insomma, parrebbe proprio che la separazione si sia verificata alla fine senza troppi traumi: lo stesso Financial Times ha del resto parlato di "divorzio amichevole". Come deve quindi essere interpretato questo accordo sul piano politico? In primo luogo, l'intesa potrebbe garantire un rafforzamento a Johnson che, durante la campagna elettorale del 2019 aveva non a caso scelto come slogan "get Brexit done". Un sollievo per il premier che, negli ultimi mesi, ha visto farsi la propria posizione sempre più traballante. Sul fronte interno, la sua leadership è stata significativamente azzoppata dalla crisi pandemica, oltre che dalle polemiche con le ali più euroscettiche del Partito Conservatore. Sul fronte internazionale, la sconfitta di Donald Trump negli Stati Uniti ha indebolito non poco il primo ministro britannico. Non dimentichiamo infatti che quest'ultimo abbia spesso trovato proprio nel presidente americano uscente una sponda in materia commerciale e che – al contrario – il presidente entrante, Joe Biden, abbia espresso non poco scetticismo nei confronti di un eventuale accordo di libero scambio tra Washington e Londra. Ne consegue che la sconfitta elettorale di Trump abbia in un certo senso fiaccato il potere contrattuale di Johnson nelle trattative con Bruxelles. Il fatto che dunque sia riuscito a trovare comunque un compromesso, portando a casa alcuni risultati significativi, costituisce per lui (almeno nel breve termine) una vittoria politica.

Attenzione però: perché se è vero che l'accordo dovrebbe (almeno in teoria) ottenere l'appoggio di ampi settori tory e laburisti, è comunque possibile che l'area euroscettica del Partito Conservatore (che sperava fondamentalmente in un no deal) possa farsi sentire e creare delle spiacevoli fibrillazioni tra le truppe parlamentari del premier. Tutto questo, senza trascurare che – secondo quanto riferito da The Guardian – gli agricoltori scozzesi sarebbero già sul piede di guerra contro Downing Street, specialmente per quanto concerne l'export delle patate da seme (prodotte soprattutto in Scozia e nell'Inghilterra settentrionale). Non a caso, il primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, ha già definito l'accordo come "disastroso" per gli agricoltori locali. Ulteriore carburante rischia insomma di inserirsi nel serbatoio dell'indipendentismo scozzese.

Dal punto di vista dell'Unione europea sembra aver infine prevalso la linea delle colombe. Non trascuriamo che, in questi mesi di trattative con il Regno Unito, si sia verificato un braccio di ferro sotterraneo tra la Francia (che auspicava un approccio aggressivo) e la Germania (piuttosto restia ad accettare rotture traumatiche). Una divergenza di prospettiva che affondava le proprie radici in differenti obiettivi politici. Se Parigi ha sempre mirato all'allontanamento di Londra per perseguire il suo sogno di leadership europea, Berlino ha invece visto in una maggiore vicinanza del Regno Unito un modo per controbilanciare indirettamente le brame d'oltralpe (ricordiamo del resto che anche sul altri dossier i britannici e i tedeschi stiano giocando di sponda in chiave antifrancese: si pensi soltanto alla Nato). Alla luce di tutto questo, è chiaro che politicamente all'Eliseo convenisse con ogni probabilità più lo scenario del no deal: in tal senso, non è forse fuori luogo ritenere che – in seno al fronte europeo – questo accordo rappresenti una vittoria della Germania. In tutto questo, sottolineiamo che, nell'intera vicenda, il ruolo concreto dell'Italia risulti di fatto non pervenuto.

È comunque chiaro che, nonostante il divorzio soft, la Brexit in sé rappresenti un duro colpo per l'Unione europea sotto almeno due punti di vista. In primo luogo, si pone una questione simbolica, che mette in crisi una visione di europeismo ingenuo: un europeismo ingenuo che non capisce o finge di non comprendere tutto quello che oggi non va in termini politici ed economici all'interno dell'Unione stessa. In secondo luogo, si pone un problema di natura geopolitica, visto che – con Londra ormai fuori – Bruxelles si troverà ancora più debole sul fronte internazionale.

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Stefano Graziosi