Cina-Russia-Iran, si rinsalda l'asse anti-occidente
Al contrario delle dichiarazioni pubbliche e delle speranze di molti la realtà è che Mosca, Pechino e Teheran sono sempre più vicine, ed alleate.
Si sono detti «profondamente offesi» gli iraniani, criticando con decisione la loro espulsione dalla Commissione ONU sui diritti delle donne. La mozione, avanzata dagli Stati Uniti al Palazzo di Vetro di New York affinché l’Iran non mettesse più piede al forum al quale aveva aderito appena nove mesi fa, ha visto 29 voti a favore, 8 contrari e 16 astenuti (su un totale di 45 Paesi).
La votazione era stata proposta, neanche a dirlo, sull’onda delle manifestazioni di piazza innescate dalla morte di Masha Amini per mano della polizia morale di Teheran, rea di non aver indossato correttamente il velo islamico. Masha è stata la prima di molte altre vittime, donne ma anche bambine.
L’espulsione dalla Commissione delle Nazioni Unite è «illegale» e rappresenta «un’eresia politica che scredita questa organizzazione internazionale e crea anche una procedura unilaterale per futuri abusi delle istituzioni internazionali» ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica islamica, Nasser Kanani, dopo la rimozione con effetto immediato dei rappresentanti del regime iraniano.
Teheran, dunque, è sempre più isolato internazionalmente. E incassa solo la contrarietà di Russia e Cina, e l’astensione di Bangladesh, Belize, Botswana, Congo, Costad; Avorio, Esawatini, Gabon, India, Indonesia, Madagascar, Mauritius, Messico, Isole Solomone, Thailandia, Tunisia, Tanzania. Un magro bottino insomma, ma sufficiente a sottolineare come Mosca e Pechino mantengano chiaramente una linea comune sugli affari esteri.
Vale, insomma, ancora il «patto di Samarcanda», dove a metà dello scorso settembre Vladimir Putin e Xi Jinping si sono incontrati personalmente, scambiandosi affettuose e sentite pacche sulle spalle. La Cina in quell’occasione si era detta disposta, insieme alla Russia, «a fornire un forte sostegno su questioni che riguardano i reciproci interessi fondamentali e ad approfondire la cooperazione pratica nel commercio, nell’agricoltura, nella connettività e in altri campi». In particolare, in Uzbekistan le due parti hanno stabilito la road map per «rafforzare il coordinamento e la cooperazione nei quadri multilaterali, salvaguardare gli interessi di sicurezza della regione e gli interessi comuni di Paesi in via di sviluppo e nei mercati emergenti».
A Samarcanda i due leader insieme ai rispettivi sherpa hanno oliato i meccanismi di mutuo interesse nelle sedi che vedono i due Paesi sempre più fianco a fianco. Su tutte: l’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco); la Conference on Interaction and Confidence-Building Measures (Cica); e i Brics.
Lo Sco è un meccanismo di cooperazione attivo in Asia centrale da circa un decennio e la cui rilevanza è in costante incremento, specie dal punto di vista geopolitico. Nato per favorire la risoluzione di dispute territoriali tra i Paesi aderenti – Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan – quest’organo internazionale è andato progressivamente istituzionalizzandosi, intensificando la cooperazione tra i sei membri soprattutto su questioni di sicurezza (terrorismo, estremismo e separatismo sono una costante nella regione), ma anche in ambito economico, energetico e persino culturale.
La Cica, invece, è un forum intergovernativo che si riunisce ogni due anni, prendendo leforme di vertice e incontro ministeriale. Lo scopo è favorire il dialogo e le iniziative multilaterali in Asia. Due appuntamenti, dunque, che s’intersecano spesso e che quest’anno hanno visto protagonisti: nel primo caso Xi Jinping, che al vertice di Samarcanda è stato accolto come un vero leader di una superpotenza; e nel secondo Erdogan, che ad Astana si è messo persino a giocare a ping pong con il collega kazako Kassym-Jormat Tokayev, tra una proposta di pace per l’Ucraina e la firma di contratti di cooperazione economica.
Quanto ai Brics, la sigla è più che altro un acronimo utilizzato in economia internazionale per definire cinque Paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) accomunati da alcune caratteristiche affini: la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche. Ovvio che Mosca e Pechino ne detengano indiscutibilmente la leadership, anche se l’India di Modi sgomita da tempo per scalzare la Russia dal ruolo di co-protagonista del lungometraggio geopolitico d’Oriente.
Fatto sta che Russia e Cina – di là dalle comprensibili preoccupazioni di Pechino per una disastrosa guerra europea, dove il Cremlino fatica non poco a imporsi – collaborano ormai in ogni campo, consapevoli che la faglia tra Oriente e Occidente è più profonda che mai e che a entrambe le parti conviene un’unità d’intenti per non essere schiacciate da Washington e alleati. Come noto, infatti, tra le altre cose Pechino è alacremente impegnata inuna guerra commerciale con gli Usa per i microprocessori. E, nonostante questo l’abbia portata a vietare lo scorso 13 dicembre l’esportazione anche in Russia di microchip (d’importanza strategica a livello militare per l’esercito cinese), la Cina collabora più che volentieri con Mosca nei settori della Difesa. Un esempio? Lo spazio.
Dove, anche in questo caso, la terza sponda è ancora l’Iran. Questa settimana, ad esempio, il direttore dell’Agenzia spaziale iraniana Hassan Salarieh e il capo dell’Agenzia spaziale russa Roscosmos Yuri Borisov, si sono incontrati sull’isola di Kish, sud dell’Iran, per partecipare all’International Airshow; Aerospace Exhibition. Qui i delegati russo e iraniano hanno firmato importanti accordi per rafforzare la cooperazione nel settore spaziale, con la benedizione cinese.
Al centro dell’interesse reciproco ci sono: la costruzione di satelliti e l’elaborazione di dati. La riprova delle intese russo-iraniane-cinesi risalgono allo scorso agosto, quando dal cosmodromo russo di Baikonur è stato lanciato il primo satellite iraniano, denominato Khayyam: un satellite-spia progettato per raccogliere immagini ad alta risoluzione, sia pur sotto le mentite spoglie del «monitoraggio ambientale».
Vero è che comunque né l’Iran, né la Russia, né la Cina sono ancora in grado diesprimere una visione unitaria e men che meno rappresentano per gli altri Stati eurasiatici unmodello cui rifarsi a livello geopolitico. Il loro legame è, infatti, soprattutto una questione di mero opportunismo e interesse transitorio: non essendo neanche formalmente alleati, coabitano in una condizione di antagonisti militari, politici ed economici rispetto all’Occidente, nella convinzione (o nella speranza) che il declino dell’Occidente preceda la caduta degli ayatollah e il tramonto del putinismo. Entrambi questi regimi, infatti, vedono una contestazione interna sempre più pressante e rischiano un indebolimento progressivo che potrebbe rivelarsi fatale a lungo termine, complici anche le ricadute economiche negative della guerra, tra sanzioni e fallimenti militari.
È per questo che Pechino – che nondimeno ha vissuto la sua prima crisi socio-economica, per via della folle politica «zero Covid» voluta da Xi Jinping – in ultima analisi nonintende eccedere nel legarsi troppo all’asse informale Russia-Cina-Iran, per evitare un effettodomino nel caso in cui dovesse perdere una o entrambe le pedine che lo compongono.
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