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(Ansa)
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Conflitto Israele-Hezbollah: Quali rischi per i soldati italiani?

La crescente tensione in Libano minaccia la sicurezza dei 1.200 militari italiani dislocati lungo la Blue Line

L’escalation di violenza tra Israele e Hezbollah in Libano sta sollevando serie preoccupazioni sulla sicurezza del contingente italiano presente nel Paese. Dopo l’attacco preventivo condotto dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF), che ha coinvolto circa 100 aerei da combattimento la tensione ha di nuovo raggiunto l’apice. Attacco a cui Hezbollah ha risposto con un pesante bombardamento di razzi e droni, scatenando il caos nel nord di Israele e aumentando le tensioni già elevate nella regione.

Una situazione critica che vede il contingente italiano con oltre 1.200 militari schierati nell’ambito della missione di pace dell’Onu in Libano (UNIFIL), correre dei rischi significativi in caso di escalation. Inoltre la situazione attualmente sotto attenta supervisione dell'ONU, non coinvolge direttamente solo il contingente italiano dislocato nella regione, ma anche migliaia di civili italiani residenti in Libano.

«L'ONU, nella pratica, è un'organizzazione fortemente limitata nelle sue azioni, essendo principalmente incaricata di svolgere funzioni di deterrenza e monitoraggio, come il controllo della "Blue Line” tra Israele e Libano”»- commenta un militare che ha fatto parte del contingente italiano in Libano.

Che rischi corrono i militari italiani?

«Indossare il casco blu dell'ONU rappresenta per i militari una sorta di garanzia di protezione contro attacchi diretti, simbolizzando la neutralità e la missione di pace. Tuttavia, in contesti di alta tensione come quello libanese, dove la presenza di gruppi armati e milizie come Hezbollah è costante, questa protezione simbolica può rivelarsi fragile. In caso di minaccia imminente, la procedura standard prevede che la base operativa dell'ONU a New York attivi immediatamente l'allarme bunker. Questo protocollo consente di mettere in sicurezza il personale dislocato sul campo: ogni bunker ha un capo responsabile incaricato di gestire l'emergenza, verificando la presenza di tutti i militari e organizzando rapidamente la difesa o l'evacuazione, se necessario. In Libano, il pericolo principale per i militari italiani deriva dalla possibilità di essere utilizzati come bersagli da Hezbollah. Questa milizia sciita, ben consapevole delle dinamiche della guerra asimmetrica, potrebbe tentare di sfruttare la presenza delle truppe ONU per scatenare un incidente e incolpare Israele, utilizzando l'attacco come strumento di propaganda per influenzare l'opinione pubblica sia a livello locale che internazionale. Nelle guerre asimmetriche, la parte più debole – in questo caso Hezbollah – spesso ricorre a strategie non convenzionali per compensare la disparità di forza. Tali strategie possono includere non solo attacchi mirati contro le forze ONU, ma anche l'uso di propaganda per dipingere Israele come l'aggressore, alimentando sentimenti anti-israeliani e guadagnando sostegno politico. Per i militari italiani, questa situazione crea un clima di costante incertezza e vulnerabilità, dove il rischio di essere trascinati in un conflitto, anche contro la loro volontà, è sempre presente. In questo contesto, la sicurezza dei militari italiani dipende non solo dalle misure preventive messe in atto dall'ONU, ma anche dalla loro capacità di operare con prudenza, mantenendo la neutralità e cercando di evitare ogni coinvolgimento diretto nelle ostilità. Tuttavia, la realtà sul campo può essere imprevedibile, e il rischio che essi si trovino, loro malgrado, coinvolti in un conflitto armato rimane una minaccia concreta».

Cosa può dirci nel dettaglio?

«Questa linea di demarcazione, nota come "Blue Line," è stata istituita nel 2006 in seguito al conflitto tra Israele e Hezbollah, quando le forze israeliane invasero il Libano, spingendosi fino alla periferia di Beirut. La Blue Line rappresenta non solo un confine fisico, ma anche una fragile linea di cessate il fuoco, monitorata costantemente per prevenire un'escalation di violenza nella regione. Ogni volta che Israele pianifica un'operazione militare, come un attacco preventivo contro le postazioni di Hezbollah, avvisa preventivamente l’Onu. Questi attacchi sono condotti con estrema precisione, mirati a colpire solo obiettivi strategici per minimizzare le vittime civili e limitare i danni collaterali. Tuttavia, la tensione rimane sempre alta, e la possibilità di un'escalation è costantemente presente. In questo contesto, l'Italia gioca un ruolo di primo piano all'interno del contingente ONU. Con circa 1.200 militari schierati lungo il tratto occidentale della Blue Line, l'Italia ha la responsabilità di presidiare le posizioni più strategiche lungo il confine. I soldati italiani monitorano attentamente ogni movimento, pronti a intervenire in caso di necessità per mantenere la pace e prevenire nuove ostilità. Mentre le forze aeree dell'ONU, che includono anche assetti italiani, hanno il compito di controllare il cosiddetto "terzo spazio" aereo lungo la Blue Line, sorvegliando dall'alto per garantire che non vi siano violazioni dello spazio aereo e per fornire supporto in caso di emergenza. Accanto ai militari italiani, il contingente spagnolo rappresenta la seconda forza più numerosa all'interno della missione, contribuendo anch'esso alla stabilità della regione. Inoltre, un secondo contingente ONU opera nel tratto orientale del Libano, ampliando la presenza internazionale lungo tutto il confine per assicurare una sorveglianza continua e un rapido intervento in caso di crisi. Questa complessa operazione di mantenimento della pace è fondamentale per prevenire una nuova guerra tra Israele e Hezbollah, ma la situazione rimane tesa, e la sicurezza dei militari sul campo è sempre a rischio».

Che può dirci del piano evacuazione?

«È un protocollo simile a quello adottato in altre missioni in cui , l’operazione militare viene pianificata e condotta dal Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI) di Roma, per tramite dell’Italian Joint Force Headquarters, in coordinamento con il Ministero degli Affari Esteri – Unità di Crisi (MAE-UC). Questa divisione ha fatto una simulazione di evacuazione a marzo del 2023 dei 2800 Italiani che lavorano in Libano nel caso di un'invasione da parte di Israele. Il protocollo di evacuazione adottato per i militari e i civili italiani all'estero segue standard rigorosi e ben definiti, progettati per garantire una risposta rapida e organizzata in caso di emergenze gravi, come conflitti armati o invasioni. Il piano di evacuazione prevede un protocollo dettagliato che consente di lasciare l'area di crisi entro un massimo di 48 ore dall'attivazione dell'allerta. Questo piano include una serie di fasi operative, come la pianificazione delle rotte di evacuazione, la preparazione dei mezzi di trasporto e il coordinamento con le autorità locali e internazionali. Ogni base italiana all'estero in zone a rischio, non solo in Libano, ha una procedura di evacuazione simile, adattata alle specifiche esigenze e circostanze locali. Durante una crisi, l’italian Joint Force Headquarters, insieme ai team di supporto logistico e alle autorità diplomatiche, gestiscono l'intero processo. Questo include l'attivazione di centri di raccolta per i civili e i militari, la protezione dei punti di estrazione e l'organizzazione dei trasporti aerei e navali verso territori sicuri. Il piano tiene conto anche delle necessità di assistenza medica e supporto psicologico per i partecipanti all'evacuazione. La simulazione condotta a marzo 2023 ha avuto lo scopo di testare l'efficacia di queste procedure in scenari realistici, assicurandosi che tutte le parti coinvolte possano operare in modo sinergico e tempestivo. Questo esercizio ha servito a identificare e risolvere eventuali lacune nel piano, migliorando la preparazione complessiva per una possibile emergenza».

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Linda Di Benedetto