von der leyen
(Ansa)
Dal Mondo

Dopo la «Cop 29»: sul Green il clima è cambiato

La Conferenza di Baku ha mostrato come ormai la «transizione» proceda a due velocità. Con i Paesi più inquinanti che privilegiano l’economia, e l’Europa che sta entro i vincoli verdi ma mette a rischio posti di lavoro e futuro. Una situazione non sostenibile.

Dal Sea boulevard non si vede il «raggio verde»: quel lampo di magia che solo chi è mite di cuore può percepire quando il sole si spegne nel mare. Sulle rive del Caspio s’innalzano altri bagliori: i pennacchi dei pozzi di metano e passeggiando lungo quei 20 chilometri che celebrano la potenza di Baku si avverte «profumo» di greggio. Sono andati in Azerbaigian ad annunciare per la ventinovesima volta la fine del mondo per l’eccesso di CO². Sono andati là con i loro jet privati a raccontare la favola della rana bollita: l’umanità non lo sa, ma la temperatura sale, inesorabile. E le catastrofi si ripeteranno a intervalli sempre più brevi.

I toni della Cop 29, la conferenza sui cambiamenti climatici, sono stati come quelli di Salvatore, il frate dolciniano che ne Il nome della rosa recita ossessivamente il monito dell’eresia apostolica: «Penitenziagite», fate penitenza. È però poco credibile se a pronunciarlo sono coloro i quali si «attovagliano» al Caspian Waterfront per gustare caviale, storione in salsa di yogurt con il miglior Syrah del mondo prodotto sulle colline del Karabakh. È una delle contraddizioni dell’Azerbaigian a cui gli occidentali conviene non fare caso: il vino in un Paese musulmano prodotto da una terra dove da decenni si va in armi contro gli armeni. E un valore come la coerenza? Che gli fa: Baku è una città che anela l’Europa e tanto basta. Hanno costruito, accanto al museo del tappeto, la Crystal Hall per l’Eurovision song contest, regolarmente la bandiera azera (ce n’è una gigantesca al termine del Sea boulevard) sventola nelle competizioni europee. Qui del Vecchio continente hanno un’idea molto precisa: si chiama «Eu-roba». È il lusso, è la più alta concentrazione di Ferrari e Lamborghini del mondo, sono le griffes che popolano le boutique del boulevard. La Cop 29 è venuta qui - e l’anno scorso era a Dubai - dove i pozzi diventano giacimenti di quattrini a cercare sponsor per affermare che i combustibili fossili sono la rovina del mondo. È la sagra dell’ipocrisia elevata a profezia mondiale.

Ci sono rimasti male quando dal palco Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaigian, ha scandito: «Il petrolio e il metano sono doni di Dio e bisogna aumentare la produzione per salvare il mondo». Non si sono accorti che la grandezza di Baku è celebrata dalle Flame Towers due giganteschi grattacieli a forma di fiamma che ardono di milioni di display colorati. Non sanno che a una ventina chilometri da Baku c’è lo Yanar Dag: la collina di fuoco che arde perennemente con fiamme alte tre metri alimentate da un immenso giacimento di metano. È la montagna sacra degli zoroastriani, gli adoratori del fuoco e qui Zarathustra è venerato da mille anni prima di Maometto. Sono andati a predicare di spegnere il mondo nella terra dove Ahura Mazda è ancora la massima divinità: il creatore col fuoco del mondo. Risultato? La Cop 29 è stato un fallimento. Il mainstream ecologista si è affrettato a dire che la colpa è di Donald Trump che pure a Baku non c’era, come neppure Joe Biden. È vero che il neopresidente ha detto che gli Stati Uniti usciranno dall’accordo di Parigi, ma come andavano le cose lo ha capito prima di tutti Greta Thunberg: «Non vengo a Baku perché non voglio essere complice di questa massima ipocrisia». Senza raggio verde e priva dell’impermeabile giallo, Cop 29 è come la favola di Hans Christian Andersen: ora il mondo sa che «il Re», o forse sarebbe meglio dire il dittatore verde, è nudo.

I cosiddetti scienziati dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico hanno profetizzato la catastrofe imminente si sono sgolati: siamo già oltre il grado e mezzo di innalzamento di temperatura che la conferenza di Parigi ha posto come limite invalicabile. Il segretario dell’Onu Antonio Guterres, da cui l’Ipcc dipende, ma che non ha risorse per sostenerla, sollecita i potenti del mondo: servono mille miliardi. L’ex segretario dell’Onu Ban Ki-moon e la segretaria di Ipcc Christiana Figueres hanno scritto una lettera che è un atto d’accusa: «Ormai qui ci sono più lobbisti che scienziati, le Cop non sono più in grado di perseguire gli scopi per cui sono nate». Una presa d’atto di fallimento che non è però indolore. E non perché il mondo morirà per un insulto di febbre - anche se i catastrofisti misurano in cento milioni le vittime attuali del riscaldamento globale - ma perché si allunga lo spettro povertà sulla fu Europa motore dello sviluppo. A Baku non si sono fatti vedere né Xi JinpingNarendra Modi: Cina e India i due principali inquinatori. Ma l’assenza più inquietante per noi è quella di Ursula von der Leyen. Colei che ha costretto l’Europa a subire il Green deal, che sta mettendo a rischio il lavoro di milioni di europei e che ha confermato al 2025 le sanzioni alle case automobilistiche se non producono almeno un terzo di auto elettriche che sempre meno persone vogliono acquistare, colei che vuole scaricare sui cittadini il prezzo della transizione con le case verdi, con i cibi sintetici, non si è fatta vedere.

Forse ha capito ciò che la finanza mondiale sa da tempo: il Green non ha futuro. Sono già stati ritirati 14 miliardi di investimenti, gli Esg (i fondi verdi) sono stati abbandonati da tutti i maggiori operatori e negli Usa, nel New Hampshire, c’è una proposta di legge per cui dovrebbe essere reato investire secondo i criteri Esg. Nel suo appello Guterres ha sollecitato il G20 che si è svolto a Rio de Janeiro dove, ironia di calendario, si svolgerà l’anno prossimo la Cop 30, a sborsare i soldi per la transizione verde dei Paesi più poveri. La risposta è eloquente: dalla risoluzione finale del vertice delle maggiori economie - quelle venti nazioni valgono l’80 per cento del Pil mondiale - è sparita anche la generica dizione già siglata a Dubai e cioè l’impegno per «una transizione giusta, ordinata ed equa dai combustibili fossili nei sistemi energetici». Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva un impegno lo ha strappato: mettere i soldi per sfamare i poveri del mondo. Un accordo a cui ha aderito con entusiasmo Giorgia Meloni. L’afflato verde, nonostante Von der Leyen obblighi l’Europa ad aderire a questa fantomatica transizione, si è attenuato.

A Baku e a Rio s’è celebrato il flop del politicamente ed ecologicamente corretto. La ragione? La spiega il professor Alberto Prestinizi - già ordinario di Geologia applicata alla Sapienza di Roma - che firma con altri 1.600 scienziati il manifesto «There is not climate emergency». Ha spiegato in una recente intervista a Startmag: «I dati analizzati mostrano che non c’è un’emergenza climatica». I «report» di Ipcc sono firmati dagli economisti e non dagli scienziati: quella è politica e affarismo. I 27 Paesi europei nel 1990 contribuivano all’8 per cento delle emissioni globali (l’Italia 0,8). L’Europa nel 2021 ha prodotto lo 0,09 per cento del contenuto di CO² in atmosfera. Tutti sono concordi nel dire che delle 420 parti per milione di CO² presenti in atmosfera l’uomo è responsabile di 120 parti per milione. La riduzione imposta dall’Ue del 40 per cento di emissioni inciderebbe a livello globale per lo 0,036 per cento, che rapportato alla quantità di CO² prodotte dall’uomo è pari a 43 parti per miliardo, una quantità che non è strumentalmente misurabile».

A Baku il presidente azero della Cop, Mukhtar Babayev, ha concluso sconsolato: «Un accordo sul clima è oggi impossibile». Gli Stati in via di sviluppo - Cina in testa - chiedono 1.300 miliardi di dollari all’anno a fondo perduto per la transizione verde. Come ha ripetuto il commissario europeo all’Energia, Wopke Hoekstra «è una richiesta insostenibile soprattutto se Pechino non fa la sua parte e non si coinvolgono i privati». L’Europa torna a parlare di tasse climatiche, ma non ci sono le condizioni e il nostro ministro per l’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha affermato: «Ci limitiamo a un accordo politico». «I costi stanno schizzando per tutti» ha confessato l’agenzia dell’Onu per il clima, l’Unfcc, «potrebbero salire a 340 miliardi all’anno nel 2030, raggiungendo 565 miliardi nel 2050». Viene il sospetto che abbia ragione Prestinizi: volutamente si scambia inquinamento con cambiamento climatico per guadagnarci facendo leva sulla paura. L’Europa dovrebbe rileggere Friedrich Nietzsche in Così parlò Zarathustra: «Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a coloro i quali vi parlano di sovraterrene speranze! Sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no».

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Carlo Cambi