Cop28:la contraddizione di un mondo contro i combustibili fossili a casa dei produttori degli stessi
La Cop28 di Dubai pare essere sempre di più l'ennesimo tentativo fallimentare per combattere la crisi climatica. La presidenza ha pubblicato quello che ha definito un “riassunto” dei primi giorni di negoziati, nel quale evita accuratamente di parlare di “uscita” dalle fonti fossili. Ma il dilemma rimane: diminuzione o eliminazione?
La Cop28 di Dubai assume sempre più le sembianze di un fallimento. Siamo a oltre metà del cammino (la conferenza si concluderà il 12 Dicembre) e in nessun documento relativo alle riunioni trascorse si fa cenno al bando totale di combustibili fossili. Il dilemma è tutto lì: “phase out” o “phase down”, cioè, “eliminazione” o “riduzione”?
La terminologia del testo finale, che darà forma agli impegni che 197 nazioni dovranno mantenere entro il 2025 per contenere entro un grado e mezzo il riscaldamento globale, sarà cruciale. La presenza del termine “phase out” sarebbe il segnale per i mercati e l’industria che l’era dei combustibili fossili è finita e che siamo alla vigilia di una rivoluzione copernicana sull’approvvigionamento energetico.
Non c’è alcun segnale che questo accadrà. Anzi. Il ministro dell’industria degli Emirati Arabi Sultan Al Jaber, presidente di Cop28, ha appena dichiarato che non c’è alcuna evidenza scientifica a supporto del fatto che un’uscita dai combustibili fossili scongiurerebbe la soglia di un grado e mezzo. Dal canto suo, qualche giorno prima, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres aveva dichiarato: « L’evidenza scientifica è chiara: il limite di un grado e mezzo è possibile solo se smettiamo subito di bruciare combustibili fossili. Non ridurre, non abbattere. Ma eliminare totalmente».
Ci sono più che cento nazioni a volere il phase-out, rappresentanti di gran parte dell’Africa e dell’Europa, oltre agli Stati Uniti e alle isole dei Caraibi e dell’oceano Pacifico. Tra le nazioni che si oppongono, la Cina, la Russia e l’Arabia Saudita. Non si può non notare che Sultan Al Jaber è anche a capo della Abu Dhabi National Oil Company, la dodicesima compagnia petrolifera per produzione di petrolio. Ma non è solo una questione di interessi. Bisogna anche considerare che l’uscita dai combustibili fossili è complicata dal fatto che c’è molta incertezza sulle tecnologie di cattura della CO2. In questo momento, queste ultime non sono così affidabili da poter sperare che gli abbattimenti funzionino su una scala ragionevole.
Una notizia consolante è che il fondo “loss and damage” che deve compensare gli stati poveri è stato approvato già il 30 Novembre. Darà sollievo a tutti quelli colpiti dal riscaldamento globale e verrà amministrato dalla Banca Mondiale. Già ci sono promesse di donazioni di cento milioni di dollari da parte degli Emirati Arabi Uniti, la Germania e l’Italia come pure di 24,5 milioni da parte degli Stati Uniti, 75 milioni da parte del Regno Unito e dieci milioni da parte del Giappone.
L’insuccesso probabile di Cop28 si deve al fatto che il costo della vita, l’inflazione e le guerre in Ucraina e Gaza rendono politicamente troppo costoso l’obiettivo zero emissioni. I politici pensano che aiutare il pianeta non contribuirà a farli rieleggere. D’altra parte stanno fingendo di fare qualcosa, perché non fare nulla sarebbe troppo.
Quello che dovrebbero fare è investire di più sulla tecnologia. Quella attuale non è sufficiente per garantire approvvigionamento conveniente e affidabile con una sufficiente riduzione delle emissioni di carbonio. Le domande cruciali per Cop28 dovrebbero essere: cosa dobbiamo fare per migliorare la tecnologia? E, una volta disponibile, come la potremo rendere disponibile in fretta? Come possiamo incentivare il passaggio alle tecnologie del futuro? Il termine “phase-out” sul documento finale renderebbe indispensabile rispondere in fretta a queste domande. Ma è improbabile che ci sarà.