Crisi ucraina: Trump sceglie l'ambiguità strategica
(Ansa)
Dal Mondo

Crisi ucraina: Trump sceglie l'ambiguità strategica

Il presidente in pectore continua a dare segnali ambivalenti: un modo per lanciare segnali in codice a Zelensky e a Putin

Donald Trump sta confermando la sua linea di ambiguità strategica sulla crisi ucraina. Domenica, il consigliere per la sicurezza nazionale americano in pectore, Mike Waltz, ha tenuto un intervento piuttosto articolato, parlando a Fox News.

Da una parte, non ha preso esplicitamente le distanze dalle ultime mosse dell’amministrazione Biden sul dossier ucraino. “Jake Sullivan e io abbiamo avuto delle discussioni, ci siamo incontrati. Per i nostri avversari là fuori che pensano che questo sia un momento di opportunità, che possono mettere un'amministrazione contro l'altra, si sbagliano”, ha dichiarato. Dall’altra parte, ha tuttavia aggiunto: “Il presidente in pectore è stato molto preoccupato per l'escalation e per dove sta andando”. “Dobbiamo porre fine a tutto questo in modo responsabile. Dobbiamo ripristinare la deterrenza e la pace e anticipare questa escalation, piuttosto che reagire a essa”, ha proseguito.

Insomma, con le sue parole, Waltz ha probabilmente lanciato due segnali: uno a Vladimir Putin e un altro a Volodymyr Zelensky. Allo zar ha fondamentalmente comunicato che, sulle ultime mosse relative alla crisi ucraina, l’amministrazione entrante non sembra essere in disaccordo con quella uscente: ricordiamo che Joe Biden ha recentemente dato a Kiev l’autorizzazione a usare i missili Atacms in territorio russo. Trump, in altre parole, vuole mettere Putin sotto pressione, facendogli capire di non essere disposto a una pace a qualunque costo. Se vuole arrivare realmente alla fine del conflitto, il presidente americano in pectore sa però di non potersi permettere un appeasement: un simile scenario finirebbe infatti col pagarlo caro in altri contesti, come l’Indo-pacifico. Trump punta, cioè, a evitare un effetto domino.

Dall’altra parte, però, Waltz, parlando a Fox News, ha sottolineato le preoccupazioni del tycoon per l’escalation e la sua volontà di arrivare a una pace. Un segnale, questo, rivolto invece a Zelensky. Trump vuole infatti che il presidente ucraino si segga al tavolo delle trattative, rinunciando alla precondizione da lui ripetutamente posta: e cioè quella del ritiro unilaterale delle truppe russe dal territorio ucraino. Una precondizione che Trump considera fondamentalmente irrealistica. Il presidente americano in pectore vuole, in altre parole, che il leader ucraino non creda a un sostegno incondizionato da parte degli Stati Uniti. D’altronde, già a dicembre 2023, uno dei principali consiglieri di Trump per la sicurezza nazionale, Keith Kellogg, aveva ipotizzato di subordinare l’invio di ulteriore assistenza militare a Kiev alla sua disponibilità a sedersi al tavolo delle trattative.

Non a caso, la linea di Trump può essere riassunta in queste parole di Waltz: “Dobbiamo ripristinare la deterrenza e la pace e anticipare questa escalation piuttosto che reagire a essa”. La pace non può esserci senza deterrenza: il che significa trattare, sì, ma con la proverbiale pistola poggiata sul tavolo, scongiurando ogni scenario di appeasement. Parole, quelle di Waltz, in cui si intravvede, qui sì, una velata critica a Biden, che ha gestito la crisi ucraina senza esercitare adeguatamente la deterrenza, cercando di chiudere la stalla una volta che i buoi erano ormai scappati.

Del resto, che il presidente in pectore stia seguendo una linea di ambiguità strategica era abbastanza chiaro da alcuni suoi significativi silenzi degli scorsi giorni. Non aveva commentato la mossa di Biden sugli Atacms. Inoltre si era rifiutato di confermare o smentire la presunta telefonata che avrebbe avuto con Putin pochi giorni dopo aver vinto le elezioni. Anche in quel caso, Trump aveva lanciato messaggi in codice per mettere sotto pressione i due belligeranti. Non condannando gli Atacms, aveva fatto capire allo zar di non essere disposto alla pace a tutti i costi. Non confermando né negando la telefonata con Putin stesso, aveva instillato il dubbio a Zelensky di poter essere pronto a negoziare senza di lui, qualora non avesse accettato di sedersi al tavolo delle trattative.

In vista dell’insediamento, Trump non vuole scoprire le sue carte. Ma è chiaro che punta a far sì che i due belligeranti non diano nulla per scontato sulle sue intenzioni. L'imprevedibilità, d'altronde, è una componente essenziale della deterrenza. Ed è forse questo il senso più profondo dell'ambiguità strategica del presidente in pectore.

I più letti

avatar-icon

Stefano Graziosi