Dibattito usa 2024
(Ansa)
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Usa 2024: il primo dibattito tra i candidati repubblicani

Si impongono Ramaswamy e Pence, DeSantis tentenna troppo. Male Christie

Non è stato un dibattito televisivo particolarmente memorabile quello tenutosi a Milwaukee tra i candidati alla nomination presidenziale repubblicana. L’assenza di Donald Trump, che ha deciso di non partecipare visto il suo significativo vantaggio nei sondaggi, si è fatta sentire. Sono comunque emersi alcuni elementi interessanti.

Probabilmente la performance più decisa è stata quella del businessman Vivek Ramaswamy. La sua strategia è risultata subito chiara: imitare il Trump del dibattito presidenziale dell’agosto 2015. Un dibattito, ricordiamolo, che lanciò di fatto l’ascesa politica dell’ex presidente, che fino ad allora non era stato preso granché sul serio sulle sue intenzioni per la corsa verso la Casa Bianca. Ramaswamy ha quindi puntato tutto sulla critica al professionismo politico e ha assunto alcune posizioni particolarmente battagliere: ha definito l’agenda sul cambiamento climatico una “bufala” e si è esplicitamente opposto a un incremento dei finanziamenti all’Ucraina. È inoltre stato il candidato meno esitante nel sostenere che supporterebbe Trump anche da condannato, qualora fosse l’ex presidente a conquistare la nomination.

Certo: si è attirato qualche fischio (soprattutto per la sua posizione sulla crisi ucraina) e ha battibeccato con molti dei contendenti (dall'ex governatore del New Jersey, Chris Christie, all’ex vicepresidente Mike Pence, che lo ha definito spregiativamente un “novellino”). Tuttavia è probabile che, con la sua performance televisiva, Ramaswamy confermerà un trend positivo nei sondaggi: un trend che era emerso già negli ultimissimi mesi. La domanda a questo punto è: a che cosa sta mirando il giovane businessman di origine indiana? È stato indubbiamente il più trumpista della serata. Quindi o spera di diventare vicepresidente in un’eventuale seconda amministrazione Trump oppure, nel caso l’ex presidente dovesse per qualche ragione abbandonare la corsa, il suo ambizioso obiettivo potrebbe essere quello di far convogliare i suoi voti su di sé. Ce la può fare? Al momento è molto difficile dirlo. Piacciano o meno le sue posizioni politiche, Ramaswamy è stato il candidato più efficace del dibattito. È tuttavia evidente che gran parte della sua performance era studiata con l’intento di imitare lo stile di Trump del 2015. Il tempo ci dirà se, oltre a ottime doti di comunicatore, il businessman abbia anche sostanza politica.

Piuttosto deludente si è invece rivelato Ron DeSantis. Negli ultimi due mesi, il governatore della Florida ha registrato un significativo calo nei sondaggi. Il dibattito di ieri era quindi molto importante per rilanciare la sua candidatura, ormai appannatasi. I risultati tuttavia non sono sembrati particolarmente brillanti. DeSantis è andato forte nei temi a lui più congeniali (come la lotta all’indottrinamento liberal nelle scuole). Tuttavia è apparso tentennante sui dossier più spinosi. Ha di fatto glissato sulla questione di un eventuale divieto federale dell’aborto, mentre – quando è stato chiesto a tutti se avrebbero sostenuto eventualmente Trump come candidato in caso di condanna – ha alzato la mano timidamente e, soprattutto, dopo che lo avevano fatto quasi tutti gli altri contendenti. Più in generale, il governatore è apparso piuttosto preimpostato e poco incline a entrare nella mischia. Il che è un problema, perché – in questo modo – DeSantis rischia di non trovare una propria dimensione politica, mentre le primarie si avvicinano.

Più incisivo si è invece rivelato l’ex vicepresidente, Mike Pence. Ha rivendicato vari successi dell’amministrazione Trump (dall’immigrazione alla politica militare), difendendo al contempo con forza il suo operato durante il 6 gennaio del 2021. L’ex vicepresidente è stato probabilmente il principale antagonista di Ramaswamy: se quest’ultimo ha attaccato frontalmente il professionismo politico, Pence ha presentato sé stesso tutta la sera come il candidato più esperto sul palcoscenico. “Penso di essere senza dubbio il più preparato”, ha dichiarato. “Ora non è il momento per la formazione sul posto di lavoro”, ha aggiunto, riferendosi a Ramaswamy. D’altronde, a dividerlo dal businessman di origine indiana non è stata soltanto la questione del professionismo politico ma anche la politica estera: Pence è infatti favorevole a un deciso sostegno a favore di Kiev contro Mosca. Differentemente da DeSantis, l’ex vicepresidente ha scelto inoltre di adottare una linea più decisa sul tema del contrasto all’aborto, dicendosi esplicitamente favorevole a un divieto federale. Una mossa con cui Pence punta principalmente a diventare il punto di riferimento del voto evangelico: si tratta d’altronde di un bacino che l’ex vicepresidente sta da mesi contendendo sia a Trump sia allo stesso DeSantis. Resta comunque il fatto che, in queste primarie, i margini di manovra a disposizione di Pence continuano a risultare limitati: l’ex numero due della Casa Bianca ha contro di sé parte significativa della base repubblicana. Inoltre, ha scelto uno stile retorico-comunicativo molto tradizionale (e forse un po’ obsoleto), che si presta alle critiche dei candidati più antiestablishment.

Dal canto suo, Nikki Haley si è mossa su una linea non facile. Ex ambasciatrice all’Onu ed ex governatrice del South Carolina, non poteva certo adottare la strategia di Ramaswamy contro il professionismo politico. Dall’altra parte, la Haley ha puntato molto sulla necessità di una nuova generazione di politici, che sia in grado di voltare pagina rispetto al passato. L’ex ambasciatrice si è quindi dovuta barcamenare tra Scilla e Cariddi, finendo spesso oscurata dallo scontro tra Pence e Ramaswamy. Un problema, questo, che ha riguardato anche il senatore Tim Scott, che ha fatto oggettivamente fatica ad emergere nel corso del dibattito. Piuttosto male è infine andato Chris Christie. Già uscito azzoppato dalle primarie repubblicane del 2016, l’ex governatore del New Jersey è stato spesso fischiato per le sue posizioni assai critiche nei confronti di Trump, mentre – al di là di qualche battuta polemica – pare aver perso la sua (un tempo) famosa abilità nel dibattere.

Insomma, di sorprese eclatanti se ne sono viste ben poche. Al momento, Trump sembra continuare a dominare la folta schiera dei candidati alla nomination presidenziale repubblicana. Difficilmente questo primo dibattito porterà quindi a grossi sconvolgimenti nella campagna elettorale in corso.

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Stefano Graziosi