Haley
(Ansa)
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Il senso del disgelo tra Trump e Nikki Haley

I due rivali hanno sotterrato l'ascia di guerra: una distensione che certifica il progressivo avvicinamento tra l'ex presidente e alcuni settori dell'establishment e degli apparati

E alla fine arrivò il disgelo. Nikki Haley ha annunciato che a novembre voterà per Donald Trump. Il candidato presidenziale repubblicano ha ricambiato assicurando che l’ex ambasciatrice “farà parte della nostra squadra”. Insomma, i due acerrimi nemici delle primarie sembrerebbero aver sotterrato l’ascia di guerra. Come si può interpretare questa svolta?

In primo luogo, non è escludibile che la Haley sia in considerazione come candidata vice di Trump. Due settimane fa, Axios News aveva riportato che l’ex presidente la stesse valutando per il ruolo, sebbene il diretto interessato avesse poco dopo nettamente smentito una simile circostanza. Ora, va da sé che, scegliendo eventualmente la Haley come vice, Trump potrebbe federare il Partito repubblicano, esattamente come fece Ronald Reagan nel 1980, optando per il suo vecchio rivale alle primarie di quell’anno, George H. W. Bush. In secondo luogo, l’aspetto forse più importante risiede nel fatto che attorno alla Haley continuano a gravitare alcuni dei suoi grandi finanziatori elettorali. La distensione tra i due potrebbe quindi spingere qualcuno di questi stessi finanziatori ad aprire i rubinetti a favore dell’ex presidente.

E qui veniamo a un punto fondamentale. Non bisogna infatti dimenticare che, durante le primarie, la Haley ha goduto dell’appoggio di alcuni rilevanti ambienti finanziari, oltre alla simpatia degli apparati governativi: a partire da quel Pentagono che, sempre più in rotta con Joe Biden a seguito della crisi afgana del 2021, apprezzava le posizioni proattive in politica estera, propugnate dall’ex ambasciatrice. Ebbene, su entrambi i fronti qualcosa si sta muovendo. Due settimane fa, uno dei principali finanziatori della Haley, Ken Griffin, ha ventilato l’ipotesi di poter sovvenzionare Trump, qualora quest’ultimo scegliesse un candidato vice soddisfacente. Anche il New York Times ha riferito che vari finanziatori dell'ex ambasciatrice starebbero “riconsiderando la loro avversione nei confronti di Trump”. Non solo. È bene infatti sottolineare il progressivo avvicinamento di Elon Musk all’orbita dell’ex presidente. Vale a tal proposito la pena di ricordare che il Ceo di SpaceX vanta vari contratti di appalto con il Pentagono.

Dal canto suo, anche Trump ha teso dei ramoscelli d’ulivo ad alcuni settori dell’establishment. Oltre al recente disgelo con la Haley, l’ex presidente ha de facto dato la sua approvazione al nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, salvando lo Speaker della Camera, Mike Johnson, dal tentativo di estromissione condotto dalla deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene. Senza trascurare che Trump ha avuto recentemente incontri con vari leader internazionali, da Viktor Orban ad Andrzej Duda, passando per il ministro degli Esteri britannico, David Cameron. Una serie di meeting a cui va aggiunta una telefonata con il principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman. Insomma, è chiaro che l’ex presidente sta lavorando alla creazione di un network internazionale articolato. Il che non può essere facilmente scisso dalla sua strategia di una maggiore convergenza con alcuni pezzi di establishment.

Ma quali sono le motivazioni alla base di tale convergenza? Trump ha capito che, in caso di ritorno alla Casa Bianca, non può permettersi nuove fronde da parte degli apparati. Il suo obiettivo è inoltre quello di evitare l’isolamento internazionale. Dall’altra parte, gli stessi apparati e alcuni pezzi importanti del sistema economico non vedono più di buon occhio Biden. Come già accennato, un punto di svolta è stato rappresentato, sotto questo aspetto, dalla disastrosa evacuazione dall’Afghanistan, avvenuta nel 2021. È in questo senso che va dunque letto l’avvicinamento tra Trump e questi mondi. Un avvicinamento che potrebbe trovare nella Haley uno dei propri principali fattori coesivi. L’ex presidente, insomma, potrebbe stavolta rivelarsi politicamente assai più solido rispetto al 2020 e al 2016. E’ per questo che sta crescendo un certo nervosismo tra i democratici.

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Stefano Graziosi