La logica dietro le nomine di Trump
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La logica dietro le nomine di Trump

Chi si straccia le vesti per le figure che il presidente in pectore sta designando alla guida dei dicasteri chiave, dimentica i disastri combinati dai "competenti" messi al potere da Biden.

Hanno suscitato un certo scalpore alcune delle nomine recentemente effettuate da Donald Trump. Alcuni commentatori, americani e nostrani, hanno subito iniziato a stracciarsi le vesti, accusando il presidente in pectore di aver selezionato figure inesperte, radicali e troppo fedeli a lui. In particolare, a finire nel mirino delle critiche sono soprattutto stati Pete Hegseth al Pentagono, Tulsi Gabbard alla direzione dell’Intelligence nazionale e Matt Gaetz alla guida del Dipartimento di Giustizia. Già diversi stanno parlando di “fine dell’America”, paventando disastri e collusioni con le dittature. Insomma, uno scenario apocalittico. C’è dunque da chiedersi se le cose stiano veramente così.

Certo, è indubbio che queste nomine abbiano spiazzato, tanto che alcune (soprattutto quella di Gaetz) potrebbero ritrovarsi con la strada in salita per quanto concerne la ratifica in Senato. Un’ulteriore premessa da fare è ovviamente che queste figure andranno giudicate sulla base del loro operato. Le difese preventive quindi vanno evitate. Così come però, dall’altra parte, vanno evitate le critiche a priori. Certe banalizzazioni partigiane che stanno circolando in queste ore non aiutano infatti a capire una serie di elementi di fondamentale importanza.

Cominciamo subito col dire che Trump sta agendo, seguendo un metodo: un metodo che sarà condivisibile o meno, ma che non può essere derubricato alle mattane di uno squilibrato, come qualcuno sta cercando di farvi credere. Il presidente in pectore sta spiazzando tutti esattamente perché vuole spiazzare tutti. Innanzitutto il tycoon ha intenzione di riformare pesantemente alcuni settori chiave degli apparati governativi: Pentagono, Intelligence e Dipartimento di Giustizia. In questo senso, vuole silurare tutta quella filiera di funzionari che risale all’amministrazione Obama. Mira inoltre a snellire i vertici burocratici e, soprattutto, ad abrogare le politiche interne per la diversità e l’inclusione che erano state portate avanti negli apparati dall’amministrazione Biden. Già questo, di per sé, fa capire il senso della scelta di Hegseth, Gaetz e della Gabbard: tutti e tre sono infatti aspri critici del wokeismo nelle istituzioni. Spiazzare, in questo senso, significa quindi preparare lo spoil system, dando al contempo un segnale alla base elettorale.

Un secondo aspetto da considerare è che Trump vuole sparigliare le carte anche per ripristinare la capacità di deterrenza americana nei confronti di Pechino, Mosca e Teheran. Soprattutto Hegseth è un nome poco noto alle cancellerie internazionali e, con lui, il presidente in pectore punta ad aumentare il senso di sorpresa e di inquietudine di cinesi, russi e iraniani. Tra l’altro, le tre nomine di cui stiamo parlando devono essere messe a sistema con le altre. Il segretario di Stato in pectore, Marco Rubio, e il prossimo direttore della Cia, John Ratcliffe, sono infatti, come Hegseth, dei falchi anticinesi e anti-iraniani. Chi oggi sostiene che la nascente amministrazione si avvierebbe a essere amica delle autocrazie, non sa quel che dice. Certo, c’è chi ricorda alcune controverse posizioni della Gabbard in passato: quando, per esempio, incontrò Bashar al Assad nel 2017. Si omette tuttavia di ricordare che quelle posizioni risalgono al lungo periodo in cui la diretta interessata militava nel Partito democratico, così come si omette di dire che, nel 2019, lei stessa condannò poi il presidente siriano. E comunque, nel 2021, Joe Biden nominò come vicesegretario di Stato Wendy Sherman, che era stata tra i principali negoziatori del controverso accordo sul nucleare iraniano nel 2015. Sempre nel 2021, il presidente uscente scelse un altro ex negoziatore di quell’intesa, Robert Malley, come inviato speciale per l’Iran: peccato che sia poi finito sotto indagine dell’Fbi per malagestione di informazioni sensibili che sarebbero finite nelle mani di un attore ostile. Tutto questo, sempre ricordando che i regimi di Teheran e Damasco sono alleati.

Un terzo aspetto da prendere in considerazione e quello della mancanza di esperienza. Da più parti, i critici delle nomine stanno ricorrendo a questo argomento. Ora, è senz’altro vero che Hegseth e la Gabbard non sono dei tecnici né dei funzionari di carriera. Però bisognerebbe chiedersi quali risultati abbiano portato a casa i “competenti” che aveva scelto Biden. Nel 2021, il presidente uscente aveva messo un generale come Lloyd Austin a capo del Pentagono e l’ex vicedirettrice della Cia Avril Haines alla direzione dell’Intelligence nazionale. Ebbene, a maggio 2022 fuoriuscirono documenti riservati sul sostegno che gli Usa avevano fornito a Kiev nell’affondamento dell’incrociatore Moskva. Ad aprile 2023, scoppiò lo scandalo dei Pentagon leaks, che imbarazzò Biden agli occhi di Ucraina, Corea del Sud e Israele. Era invece il mese scorso, quando sono state fatte trapelare informazioni d’intelligence americana sui piani di ritorsione dello Stato ebraico all’attacco iraniano. Insomma, non è che i “competenti” abbiano dato grande prova di sé. Venendo infine a chi accusa Gaetz di essere un profilo fazioso (e quindi inadatto a diventare procuratore generale), andrebbe ricordato che l’attuale capo del Dipartimento di Giustizia, Merrick Garland, ha nominato, nel 2022, il procuratore speciale che avrebbe poi incriminato quello che, allora, era l’avversario elettorale di Biden: quel Biden che, nel 2021, aveva designato a sua volta Garland come procuratore generale. Lo ripetiamo: le figure nominate da Trump dovranno essere giudicate sulla base delle loro azioni. Ma chi oggi si straccia le vesti gridando all’incompetenza, dovrebbe farsi un ripasso dei disastri commessi dagli “esperti” messi al potere da Biden negli ultimi quattro anni.

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Stefano Graziosi