La vita nel Donbass, dove la guerra Russia-Ucraina può scoppiare in ogni momento
Il reportage dell'inviata de La Verità, Daniela Lombardi, nella zona più ad alto rischio, a due passi dalla guerra
da New York, Donbass, Ucraina
Se per guerra si intende l’attacco che doveva scattare da parte di Mosca il sedici febbraio scorso, determinando sconquassi in tutta Europa secondo fonti dell’intelligence americana, in Ucraina non c’è stato e non c’è nulla di questo, al momento. Ma la guerra combattuta a suon di ricatti e minacce reciproche, quella fatta di logoramento di nervi, è palpabile nelle zone di confine, aree di crisi per eccellenza in ogni scontro geopolitico.
Nel Donbass oggi si sparava e i colpi che provenivano dall’altro lato del confine non erano certo di artiglieria leggera. La città che ha tremato a pochissima distanza dalla linea di fuoco è New York. Il nome sembra una beffa, quasi a voler svelare che il vero conflitto in Ucraina è tra Mosca e l’America. E’ proprio nel luogo che richiama alla mente la ben più nota località americana che gli animi sono particolarmente esacerbati. New York è infatti nell’area più calda degli scontri. Nonostante questo problema non da poco, rappresenta una delle città che meglio sopravvivono agli ormai incancreniti combattimenti cominciati nel 2014 nel Donbass.
La sua economia regge ancora. Una fabbrica di naftalina funziona a ritmo pieno e i preparati necessari per la produzione vengono ora utilizzati per la produzione che, purtroppo, ben si adatta alla situazione, quella delle armi. Le case non sono fatiscenti come in altri villaggi abbandonati a causa del crollo dell’economia locale, causato ovviamente dal fatto che nessun investitore – né straniero, né tantomeno locale - vuole azzardarsi a fare affari in un’area così a rischio. A colpo d’occhio, insomma, sembra di trovarsi in una cittadina tranquilla, pulita, sviluppata. Ma New York vive la condizione di quei centri di confine troppo a ridosso delle zone contese: è infatti vicinissima alla città di Donestk, roccaforte dei separatisti filorussi il cui animo si è rinvigorito dopo gli ultimi “venti di conflitto” che spiravano da Mosca.
Qui la guerra, che fortunatamente a livello più ampio può essere definita “fantasma” poiché i paventati attacchi di Putin segnalati dall’intelligence americana non si sono mai verificati, si vede eccome. Come si diceva, qui si è in presenza di un conflitto vecchio che prende forma dalle istanze separatiste e filosovietiche di Donestk e Lugansk, ma in questi giorni registra una recrudescenza che secondo gli ucraini è segnale di pericoli concreti e mai sopiti. In caso di effettiva invasione, se questa avvenisse dal fronte sud-orientale, uno dei primi posti in cui arriverebbe l’esercito russo è proprio New York.
Il particolare nome della città segna la forte volontà ucraina di chiudere idealmente i conti con la Russia, abbandonando la denominazione di epoca sovietica. Pur essendo la singolare omonimia con la città simbolo degli Usa risalente al 1946 (il nome New York era inserito già nelle mappe dell’allora impero russo), nel 1951 si volle sovietizzare anche la toponimia, quindi il centro venne denominato Novhorodske che significa esattamente la stessa cosa, cioè “città nuova”. In seguito, crollato l’Urss, l’amministrazione ha manifestato la voglia di distaccarsi dal passato comunista, tanto è vero che alla commissione parlamentare per le autonomie locali fu presentata la richiesta di tornare al nome originale.
Tale istanza registrò un solo voto contrario ed oltre trecento favorevoli. Stiamo parlando di una città, insomma, che per ironia della sorte si barcamena fin dal nome tra periodi storici di in cui a prevalere erano i sovietici e periodi in cui le simpatie generali si rivolgono maggiormente verso la politica americana e filo-Nato. “Io non ho paura, ormai siamo abituati a passare le giornate con il sottofondo del rumore degli spari. Fa parte della nostra quotidianità, ma le noi vogliamo andare avanti senza abbandonare la nostra terra, le nostre case. Del resto chi abita al confine deve scegliere: o ha modo di andare via o rimane dov’è, stringendo i denti”, spiega un’anziana abitante newyorchese. Ma se gli anziani scelgono quasi sempre di rimanere, i giovani non riescono più a fare affidamento su una realtà così “volatile”, in cui è la disoccupazione a farla da padrona. Qualche famiglia ha dunque deciso di andare via, altre resistono ma si “spaccano” per motivi economici. “Sto andando da mia nonna a farmi lavare i vestiti – spiega una bambina che attraversa una strada poco prima dell’entrata in città – mia madre per lavoro deve andare a Kiev, dove lavora in un albergo, quindi io sono qui, sola con mio padre e la vedo all’incirca ogni sei mesi”.
Quella di New York è una delle situazioni più favorevoli dell’area, nonostante tutto. I servizi essenziali non mancano, le strade sono ben tenute. Tutto intorno, però, i segni di una diatriba nel Donbass che sta compiendo gli otto anni sono evidenti. Strade sommerse dal fango e piene di buche, servizi che non riescono a coprire i fabbisogni dei cittadini caratterizzano altri villaggi di confine. Nella “zona grigia”, lo spazio che separa la linea del fronte dagli abitati considerati a distanza di sicurezza dallo stesso, l’esistenza è difficile. Precaria sotto il profilo della tranquillità ma, soprattutto, per un’economia che sta andando a fondo ogni giorno che passa.
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