​Florida, Usa, protesta anti aborto
Ansa
Dal Mondo

Le elezioni presidenziali americane si giocano in Florida. Sull'aborto

In questo Stato, cruciale per la vittoria alle presidenziali, Kamala Harris e Donald Trump si scontrano sul tema che spacca tutto il Paese. Con posizioni apparentemente opposte (ma senza escludere calcolati compromessi).

In Florida si trova una delle chiavi che per Donald Trump e Kamala Harris apre lo Studio ovale. Nell’ultimo scorcio di campagna elettorale, tra attentati falliti, propaganda e teorie del complotto, qui dovranno far valere le proprie ragioni. E per convincere il terzo elettorato più ampio degli Stati Uniti (quasi 14 milioni di persone) l’argomento «sposta-voti» il prossimo 5 novembre sarà l’aborto. Il repubblicano Trump, alla terza elezione presidenziale di fila, è «pro-life», contrario all’interruzione di gravidanza. Il lascito del suo mandato è la nomina di tre dei giudici della Corte Suprema che, nel 2022, ha vietato il diritto federale all’aborto e consentito ai 50 Stati di regolarlo a loro discrezione. La democratica Harris, vicepresidente di Joe Biden, è «pro-choice», per l’accesso legale a questo servizio medico. In questa amministrazione gestisce il dossier sull’interruzione di gravidanza per superare le limitazioni frutto della decisione della Corte Suprema.

La Florida non è più l’ultimo bastione nella tutela dell’aborto nel Sud. Per volere del governatore repubblicano Ron DeSantis, dal 1° maggio è vietato abortire dopo la sesta settimana di gestazione (nel 2023, il 40 per cento dei casi) alle sette milioni di donne residenti, oltre che per quelle dei nove limitrofi nei quali è illegale. In confronto al 2020, nel 2024 più di cinquemila donne si sono recate in Florida (+11 per cento); nel 2023 gli aborti sono stati 84 mila, e il «Sunshine State» ha registrato il secondo maggiore aumento. Tale scenario, però, potrebbe essere stravolto dagli elettori. Tra un mese, l’aborto sarà pesantemente «alle urne», perché oltre che sul presidente qui si dovranno pronunciare sull’Emendamento 4. Così, se almeno il 60 per cento votasse sì, il diritto all’interruzione di gravidanza sarebbe ripristinato fino alla 22ª-24ª settimana, come prima che la Corte Suprema ribaltasse la sentenza «Roe contro Wade» che, nel 1973, introdusse la protezione di questa pratica medica nella Costituzione Usa.

Secondo l’ultimo sondaggio di Florida Atlantic University e Mainstreet Research, il 56 per cento è favorevole e il 21 per cento è contrario. Nello Stato «pro-life» e «pro-choice» quindi si scontrano duramente. Il primo fronte è guidato da DeSantis, che governa la Florida da sei anni è alla testa della crociata anti-woke. Ha approvato la legge «Don’t Say Gay», che limita l’insegnamento fino alla terza elementare di temi legati a razza, orientamento sessuale e identità di genere, e per cui è in rotta di collisione con il gigante economico Disney. Una sfida sulla libertà d’espressione giunta in tribunale. Sull’aborto, DeSantis s’è scagliato contro i giudici della Corte suprema statale - cinque su sette sono su sua nomina - per non aver impedito il voto sull’Emendamento 4. Al suo fianco è schierata la Florida Conference of Catholic Bishops, voce non partitica dei vescovi cattolici delle diocesi della provincia di Miami: «La vita umana è sacra, ma nel nostro Stato è distrutta ripetutamente dall’aborto» dice a Panorama Tammy Fecci, membro della Conferenza. «L’Emendamento 4 promuove l’idea che i bambini siano “usa-e-getta”. Vogliamo proteggerli assieme alle donne. Questa pratica sanitaria è una minaccia». Sull’altro fronte, tra i «pro-choice» c’è la League of Women Voters of Florida, che si occupa di assistenza sanitaria, diritti riproduttivi ed educazione sessuale: «Ogni cittadino merita la libertà di prendere decisioni mediche senza intrusioni governative. L’Emendamento 4 è la strada per mitigare la crisi sanitaria nel Sud-est e riportare il potere nelle mani delle persone» ribatte Blake Summerlin, responsabile della comunicazione dell’organizzazione.

Nell’unico dibattito tv del 10 settembre scorso, Trump e Harris si sono confrontati duramente sull’interruzione di gravidanza: otto minuti di botta-e-risposta. Hanno dedicato più tempo solo alle rispettive ricette economiche. Durante il suo mandato, «The Donald» ha appoggiato la libertà degli Stati di legiferare autonomamente sull’aborto, ma non ha escluso la firma di un divieto federale fino alla 20ª settimana di gravidanza. In questa campagna elettorale ribadisce la prerogativa degli Stati, eppure rimprovera i governatori repubblicani anche per la severità delle limitazioni. Alcune settimane fa, però, si è lasciato alle spalle le precauzioni elettorali per non scontentare né la fetta del suo elettorato più intransigente, i protestanti evangelici bianchi, né quella dei più flessibili, le elettrici, target in cui ha meno sostegno. Smarcandosi anche dal suo vice «in pectore», J.D. Vance, contrario all’aborto persino in caso di stupro o incesto. Pur criticando la legge firmata da DeSantis («un terribile errore»), nel seggio a Palm Beach Trump boccerà l’Emendamento 4.

Harris, dal canto suo, non potrà votare a favore del provvedimento ma lo sostiene. L’aborto è in cima alla piattaforma del «ticket» democratico formato con il suo vice designato, Tim Walz, primo governatore (in Minnesota) a renderlo «diritto fondamentale». Alla convention del partito hanno dato spazio alla testimonianza di una ragazza che per abortire ha abbandonato la Florida perché i medici non l’hanno assistita a causa delle restrizioni. Da questo stesso Stato, la vice-Biden ha avviato il tour «Lotta per la libertà riproduttiva», su cui preme per mobilitare i votanti. Spera che si ripetano i successi delle tornate nelle quali la protezione dell’interruzione di gravidanza è stata al voto in fortini repubblicani. Al pari dell’avversario, Harris ha modificato la posizione per fini elettorali. Nel 2019 ha proposto infatti di far vagliare al Dipartimento della Giustizia ogni legge statale; oggi promette di rendere di nuovo l’aborto un diritto federale. Il «come» è ignoto, e sarà un’impresa riuscirci per la probabile composizione del Congresso, a maggioranza repubblicana. «L’interruzione di gravidanza ha spaccato i repubblicani e reso Harris più competitiva di quanto lo sarebbe stato Biden in Florida» analizza con Panorama Aubrey Jewett, docente della Scuola di Politica, sicurezza e affari internazionali nell’Università della Florida Centrale. «Ma i pro-life sostengono Trump e la forza repubblicana è cresciuta dalla pandemia in parte per merito di DeSantis, che si è opposto a mascherine e vaccini obbligatori. Non so se la posizione sull’aborto permetterà all’attuale vicepresidente di vincere qui». «The Donald» proverà ad allargare il vantaggio - attualmente in calo - attribuitogli dai sondaggi (Silver Bulletin: media +3,4 per cento) e ostacolare gli sforzi di Harris per strappargli, dopo otto anni, uno tra gli Stati più popolosi, ricchi, mutevoli e divisi d’America, teatro di «guerre culturali». In palio 30 Grandi elettori dei quali, in 64 anni, solo tre futuri presidenti hanno potuto fare a meno. L’ago della bilancia sarà l’aborto: imprescindibile per i duellanti, che sia per convinzione o convenienza.

I più letti

avatar-icon

Pietro Piga