Elezioni Usa, Trump è spacciato (o forse no)
I sondaggi danno l'attuale Presidente in netto svantaggio, ma ci sono segnali che vanno in controtendenza
Donald Trump sembra spacciato. Tutti i principali sondaggi a livello nazionale attribuiscono vantaggi bulgari al suo sfidante, Joe Biden. Secondo una rilevazione condotta da Abc News e dal Washington Post, l'ex vicepresidente è avanti di 12 punti. Fox News e YouGov hanno invece rispettivamente registrato un vantaggio del 10% e del 9%. Davanti a questi dati impressionanti, la Cnn ha dichiarato che la performance sondaggistica di Biden sia la migliore per uno sfidante presidenziale dal 1936. Insomma, Trump sembra veramente nei guai. E, come molti ripetono, ci vorrebbe un "miracolo" per vederlo riconfermato a novembre. Ora, che la situazione per l'inquilino della Casa Bianca non sia rosea, è oggettivo (e – d'altronde – quando mai si è trovato in situazioni rosee in campagna elettorale?). Guardando tuttavia con attenzione, si possono scorgere dei segnali che, se letti con la dovuta pazienza, mostrano come questa vulgata del Biden vincitore sia molto più traballante di quanto sembra.
Cominciamo con il ricordare che – visto il particolare sistema elettorale degli Stati Uniti – un vantaggio in termini di voto nazionale non garantisca automaticamente la conquista della Casa Bianca. Esempi, in tal senso, li abbiamo potuti constatare non solo nel 2016, ma anche nel 2000. È allora ai singoli Stati che bisogna guardare per cercare di capire come questa campagna elettorale stia realmente andando. Qualcuno già obietterà: il problema non si pone, perché nei principali Stati Biden è avanti a Trump. Affermazione vera, ma che non tiene tuttavia debitamente conto dei trend elettorali. Prendiamo la situazione in tre aree assolutamente dirimenti per le prossime presidenziali: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Se è vero che in questi tre Stati Biden sia attualmente avanti, è altrettanto vero che il vantaggio da lui tenuto al momento sia inferiore a quello di Hillary Clinton quattro anni fa. Come evidenzia la media sondaggistica di Real Clear Politics, al 9 ottobre del 2016 la Clinton in Pennsylvania era avanti di 9,4 punti, mentre – al 9 ottobre del 2020 – in loco Biden aveva un vantaggio di 7,1 punti. Discorso analogo per il Michigan. L'11 ottobre del 2016, l'ex first lady sopravanzava lì Trump di 7,3 punti, mentre l'11 ottobre del 2020 Biden aveva un vantaggio di 6,7 punti. Infine, il 7 ottobre del 2016, Hillary in Wisconsin era avanti di 5,7 punti, laddove Biden – esattamente quattro anni dopo – disponeva di un vantaggio pari a 5,5 punti. Vale la pena di ricordare che, nel novembre del 2016, Trump fu alla fine in grado di espugnare – per quanto d'un soffio – tutti e tre questi Stati: ottenne la Pennsylvania con uno scarto dell'1%, il Michigan con uno dello 0,2% e il Wisconsin con uno dello 0,8%.
Andando poi al di là della Rust Belt, è interessante anche il dato di un altro Stato conteso: la North Carolina. Qui, l'8 ottobre del 2016 Hillary Clinton era avanti di 2,6 punti, mentre – all'8 ottobre del 2020 – Biden disponeva di un vantaggio dell'1,4%. Alla fine, quattro anni fa, Trump riuscì a conquistare questo Stato con un margine del 3,6%. Dove semmai il presidente deve fare estrema attenzione è in Florida: uno Stato che per l'inquilino della Casa Bianca è assolutamente fondamentale per essere riconfermato (è dal 1924 che un candidato repubblicano non riesce a ottenere la presidenza, senza prima espugnare il cosiddetto Sunshine State). Qui – secondo la media sondaggistica di Real Clear Politics – Biden ha un vantaggio di 0,8 punti superiore a quello che Hillary aveva, quattro anni fa, nello stesso periodo. Non è un caso che il presidente stia facendo fortemente campagna in quest'area, puntando principalmente su economia, anticastrismo e minoranze etniche. Va tuttavia sottolineato che, differentemente da quattro anni fa, quest'anno Trump in estate aveva raccolto uno svantaggio maggiore: svantaggio che, a partire da settembre, ha iniziato progressivamente a colmare. Al 20 agosto scorso, Biden aveva in loco una leadership di 5 punti: leadership attualmente ridottasi a 3,7. Senza poi trascurare che, tra gli ispanici, Trump stia guadagnando non poco terreno: quegli stessi ispanici che hanno invece spesso mostrato una certa freddezza nei confronti del candidato democratico.
Al di là delle intenzioni di voto nei singoli Stati, un altro dato interessante da prendere in considerazione è la registrazione degli elettori. In Pennsylvania, nel 2008, i democratici registrati furono 1.236.467 in più dei repubblicani e Barack Obama vinse infine con 620.000 voti di scarto. Nel 2012, i democratici registrati furono 1.135.173 in più dei repubblicani e Obama vinse con 390.000 voti di scarto. Nel 2016, i democratici registrati furono 916.000 in più dei repubblicani e Donald Trump vinse con un margine di 44.000 voti. Al momento, nel 2020, i democratici registrati in Pennsylvania sono 717.000: un dato che certo non depone a favore di Biden, se si confermasse il trend appena esposto. Un trend che, tra l'altro, si sta verificando anche in North Carolina.
Ulteriore dato da prendere in considerazione è quello dell'entusiasmo. Il suddetto (e recentissimo) sondaggio, condotto da Abc News e dal Washington Post, mette in evidenza come il 75% degli elettori di Trump si dica fortemente entusiasta nel sostenerlo, laddove appena il 60% degli elettori di Biden dice altrettanto. È pur vero che, rispetto ai mesi scorsi, l'ex vicepresidente abbia guadagnato alcuni punti sul fronte dell'entusiasmo. Ma va anche detto che, Trump abbia incrementato a sua volta rispetto al 2016, quando il grado di entusiasmo da lui suscitato era del 47%. Ora, qualcuno potrebbe ritenere che la misurazione dell'entusiasmo sia qualcosa di sostanzialmente irrilevante, rispetto a quella delle intenzioni di voto. Eppure non è esattamente così. Quattro anni fa, a pochi giorni dalle presidenziali di novembre, Hillary Clinton era generalmente data avanti nelle intenzioni di voto a livello nazionale, ma indietro sul fronte dell'entusiasmo. Abbiamo poi visto come è andata a finire. Del resto, il candidato maggiormente in grado di suscitare fervore ha più possibilità di mobilitare l'elettorato e – soprattutto – è potenzialmente in grado di coinvolgere anche elettori indecisi.
Inoltre, al di là di queste considerazioni generali, il minore entusiasmo che si registra sul fronte democratico costituisce probabilmente un campanello d'allarme per la situazione interna all'asinello. Non dimentichiamo infatti che, nonostante si dica spesso il contrario, il Partito democratico americano continui ad essere profondamente spaccato al suo interno. Le correnti vicine a Bernie Sanders non hanno mai digerito la candidatura di Biden ed è tutto da dimostrare che il 3 novembre andranno a votare in massa per l'ex vicepresidente. Ricordiamo che, nel 2016, una manciata di sandersiani andò alla fine a votare in alcuni Stati chiave (come la Pennsylvania e il Michigan) proprio per Trump, pur di non sostenere l'odiata Hillary. Si dice a tal proposito che Biden risulti meno impopolare dell'ex first lady. Questo è senz'altro vero a livello personale, ma – in fin dei conti – l'attuale candidato dem rappresenta esattamente quel mondo e quei poteri che, all'epoca, sostenevano Hillary: da Wall Street alla Silicon Valley. Non sarà un caso che, da mesi, Trump stia corteggiando gli elettori di Sanders. Elettori che, se non digeriscono il presidente sul tema dell'ordine pubblico, mostrano comunque maggiore affinità nei suoi confronti su questioni come il commercio internazionale. Quindi, prima di dire che il Partito democratico sia compatto dietro a Biden, andiamoci piano. Perché quello scarso entusiasmo l'ex vicepresidente potrebbe pagarlo proprio all'interno di quelli che teoricamente dovrebbero essere i suoi ranghi. Trump è senza dubbio in forte difficoltà. Ma la strada in salita per lui non implica automaticamente una strada in discesa per il suo avversario. L'esito di queste elezioni è ancora tutto da scrivere. E non è improbabile che, sotto sotto, sia proprio il campo democratico quello maggiormente preoccupato. Era l'ottobre del 2016 quando spuntò quel video sessista che, secondo molti all'epoca, avrebbe decretato la morte politica di Trump. Una morte evidentemente preconizzata un po' troppo presto.