Erdogan e Bin Salman, dittatori cattivi ma unici a portare pace tra Russia ed Ucraina
Scambio di prigionieri: Mosca libera i soldati del battaglione Azov, in cambio di altri soldati russi. A gestire lo scambio lo sceicco arabo, come il leader turco, attaccato dall'occidente ma alla fine utile al bene comune
La politica, si sa, oggigiorno vive soprattutto di apparenze e ipocrisie. Come cambia il vento, anch’essa si lascia trasportare. Può negare spudoratamente oggi ciò che ieri affermava come verità incontrovertibile, abiurando a regole e princìpi quando serve, in ragione della convenienza. Prendiamo quanto accaduto stanotte nella regione di Zaporizhia.
Mentre Vladimir Putin sproloquiava di armi nucleari, la concretezza della guerra imponeva ben altre scelte. I russi alle prime luci dell’alba hanno consegnato ai nemici ucraini ben 215 prigionieri in cambio di 55 russi, tra i quali figura l’oligarca ucraino Viktor Medvedchuk, il leader dei filorussi in Ucraina accusato di avere ordito un golpe per rovesciare Zelensky. Medvedchuk era stato catturato dall’intelligence di Kiev mentre fuggiva verso il confine con la Bulgaria travestito da soldato: aveva capito prima degli altri come sarebbe andata a finire quest’avventura militare.
Il Donbass val bene un nazista
Ma quel che più conta è che, tra i duecento ucraini liberati, c’erano proprio quei combattenti «nazisti» che Putin diceva di voler cancellare dalla faccia della terra: già, proprio gli irriducibili comandanti ucraini del battaglione Azov che, a dire di Putin, erano al centro della sua operazione militare speciale mirante alla «denazificazione» del Paese.
Gli stessi che erano stati stanati a Mariupol dopo la durissima battaglia all’acciaieria Azovstal, vinta dai russi e assurta a simbolo e giustificativo delle ragioni di Mosca. Li avevano esibiti vinti e sfiniti davanti alle telecamere di mezzo mondo, come fanno i cacciatori con le prede. Addirittura, in seguito a quella vittoria, i russi avevano accreditato un gruppo di giornalisti internazionali per far loro visitare l’edificio industriale dove si era svolta la battaglia. Avevano mostrato orgogliosi ai reporter le stanze dove i paramilitari erano rimasti intrappolati: «Qui c’erano dei nazisti che noi russi abbiamo stanato in questa nostra gloriosa operazione di denazificazione» dicevano.
Adesso, però, la musica è cambiata. Mosca non riesce più a vincere una sola battaglia, ed è quindi costretta a negoziare e a rivedere certe posizioni. Qualunque cosa significasse la denazificazione, insomma, non è più lo scopo né l’obiettivo principale di Putin. Altrimenti, che senso avrebbe riconsegnati al nemico? Per arrivare ai processi istituiti per punire i crimini dei nazisti – quelli veri –, Israele e le intelligence occidentali hanno inseguito per decenni senza soste i gerarchi del Terzo Reich, e la caccia si può dire sia terminata soltanto pochi anni fa. Di certo, non avrebbero mai scambiato un solo graduato delle SS per un facoltoso imprenditore. Che invece è esattamente ciò che ha fatto Mosca stanotte.
Lo zampino di Erdogan e Bin Salman
Questa vicenda toglie così un altro velo all’ipocrita campagna militare approntata dal Cremlino: la propaganda russa ci ha martellato per mesi accusando il battaglione Azov delle più infami azioni e della necessità di processare un reparto dichiaratamente nazista, per poi nobilitarlo premiandolo con la libertà. Perché si è arrivati a tanto? Ma non erano la prova regina che la Russia aveva fatto bene a invadere l’Ucraina?
In realtà, Mosca si è dovuta piegare ai consigli delle uniche figure che ancora hanno una certa presa sul presidente Putin. Ovvero il collega Recep Tayyip Erdogan e il principe saudita Mohammed Bin Salman. I quali, ironia della sorte, condividono con il leader russo il titolo di «dittatore», e su di loro pesa il discredito internazionale per come gestiscono gli affari e la politica: Erdogan che ricatta l’Ue usando i migranti, che brutalizza i curdi e reprime le piazze che protestano; Salman che arresta i parenti, fa seviziare e uccidere gli oppositori, e gestisce i sudditi come fossero schiavi.
Ma anche loro, per quanto cattivi, come i «nazisti» del battaglione Azov si possono rivelare utili. A sbloccare il grano nei porti, a gestire le «follie dell’imperatore», a favorire le trattative di pace. Che poi è quanto accade giornalmente all’ombra delle opinioni pubbliche. Il governo saudita, ad esmepio, ha annunciato di aver permesso anche un altro scambio di prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina (dieci persone in tutto) grazie proprio alla mediazione del principe ereditario. Nel gruppo, ci sono cittadini americani, britannici, svedesi, croati e marocchini, che hanno fatto ritorno nei rispettivi Paesi.
Dunque, sia Washington sia Londra, che tanto s’indignano e strepitano pubblicamente contro Bin Salman (al punto da isolarlo al G20 e bandirlo dal funerale di Elisabetta II), poi lo ringraziano in segreto per i servigi resi. Senza contare gli affari miliardari che questi Paesi mantengono reciprocamente. Vale allora quanto ebbe a dire a proposito di Erdogan il premier italiano Mario Draghi con estrema franchezza: «Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono, di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell'esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio».
Insomma, la realpolitik prima di tutto. Sono dittatori, sì. Ma a quanto pare se ne ha bisogno. Anche perché sinora le uniche trattative andate in porto in Ucraina recano la firma di questi signori tiranni. Sarà forse che più che le parole e le buone azioni, gli uomini e gli Stati rispettano anzitutto la forza bruta? Altrimenti, non ci resta che pensarla come Arthur Schopenhauer: «Con l’eliminazione del diritto del più forte, si è introdotto il diritto del più furbo». In ogni caso, non è una buona notizia per l’Occidente dei diritti e della democrazia.
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