Sempre più persone decidono di ricorrere alla dolce morte. I nuovi dati riguardano l’Olanda, ma il dibattito sull’eutanasia sta investendo anche l’Italia. E prima o poi toccherà farci seriamente i conti. Si parte da una notizia di cronaca. Nei Paesi Bassi i casi di suicidio assistito sono aumentati del 10% nell’ultimo anno. Un altro passo verso il progresso è stato compiuto? La discussione è aperta. Tuttavia, è bene non scadere nelle semplificazioni. I Paesi del nord Europa di certo non posso essere tacciati di oscurantismo. Anzi, sulle questioni relative ai diritti civili sono sempre arrivati prima rispetto al resto del mondo.
La tematica è spinosa. E giudicare la sofferenza altrui può condurre spesso in un vicolo cieco. Nella maggior parte delle circostanze, ci si trova di fronte a malati terminali. La quotidianità diventa l’alternarsi di dolori atroci e sofferenze. Una situazione che può andare avanti per anni, dove il vivere si degrada sempre di più in mero sopravvivere. Quindi, cosa si fa? La tentazione è quella di staccare la spina, mettere il punto a situazioni divenute insostenibili.
Eppure, quando si parla di eutanasia è la cautela che deve guidare il nostro operato. In particolare, in contesti come quello dei Paesi Bassi. Dove una legge consente ai dottori di porre fine alla vita di una persona se questa “soffre in modo insopportabile, senza prospettive di miglioramento”. Ma nella categoria vi si possono far rientrare anche coloro che sono affetti da problemi psichiatrici. E qui il rischio di derive è dietro l’angolo. “Sebbene i numeri assoluti siano ancora bassi, si è registrato un enorme aumento delle richieste e delle eutanasie eseguite su pazienti con disturbi psicologici, soprattutto tra i giovani sotto i 30 anni”. A riferirlo è Damian Denys, professore presso l’Amsterdam University Medical Center. Che si dice profondamente preoccupato. Perché in quei frangenti non è possibile stabilire con certezza se un “giovane con un cervello in via di sviluppo voglia sicuramente morire”. Ricorrere al suicidio assistito in Olanda è possibile dal 2002. Secondo la normativa vigente, solamente i medici hanno il potere di mettere fine alla vita di qualcuno. Tuttavia, devono essere rispettati dei criteri ben precisi. La richiesta del paziente deve essere volontaria e non deve sussistere alcuna “alternativa ragionevole” alla sua situazione. Tendenze simili si riscontrano anche in Canada.
Ma in generale è tutto l’Occidente che viene investito dal tema. Pro o contro l’eutanasia? È questo il dilemma delle società post-moderne. Ricerca dell’edonismo sfrenato e consumi si alternano a sintomi depressivi e burnout. La morte viene cancellata dalla riflessione, rimossa una volta per tutte dal nostro orizzonte di pensiero. Mentre legami sociali e comunitari sempre più deboli svuotano di significato la figura dell’Altro. Che, quando è malato viene percepito come un peso. Il dibattito recentemente si è riacceso anche in Italia. L’11 febbraio la Toscana ha deciso di legalizzare il suicidio assistito. Salutato come una vittoria dalle compagini politiche progressiste, anche regioni a guida centrodestra vogliono compiere un passo simile. Ma siamo sicuri che sia la strada giusta da percorrere? O è solo uno stratagemma per coprire altre carenze? Come, ad esempio, il ricorso alle cure palliative. A cui la maggior parte dei malati si vede negato l’accesso. Sorge quindi un dubbio. Che la dolce morte diventi una facile e comoda scorciatoia. E che la vita umana sia misurata attraverso un mero calcolo economico. I malati costano troppo, meglio sbarazzarsene. Se questo è il progresso…