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(Ansa)
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Fentanyl, il vero dramma sociale negli Usa con una «regia» internazionale

San Francisco, Philadelphia, cresce il numero delle città che hanno come prima vera ed unica emergenza quella della nuova droga. L’esperto: «Dietro alla diffusione c’è una ‘geopolitica delle droghe’ che potrebbe riguardare da vicino anche l’Italia»

Li riconosci subito i moderni “zombie”, camminando per le strade, soprattutto quelle di periferia, lontano dalle downtown. Può accadere a Philadelphia dove, se ci si allontana dalla famosa “scalinata di Rocky”, sempre piena di turisti che si cimentano con la classica corsa sui gradini che termina con le braccia al cielo, si possono notare “loro”, i giovani che si trascinano ciondolando, con lo sguardo perso. A volte sono accasciati lungo le panchine e, se si chiede alla polizia di passaggio di controllare, gli agenti alzano le spalle con un’espressione che tradisce la pressoché impossibilità a intervenire.

La strage silenziosa. Sono le vittime del fentanyl, che negli Stati Uniti sta uccidendo 100mila persone all’anno. Un esercito di giovani che cascano nella rete della cosiddetta “droga degli zombie”, ma lo fano in silenzio. Mentre in Italia, infatti, aumenta il numero di notizie che riguarda sequestri di sostanze “tagliate” con il fentanyl o i possibili allarmi per la diffusione della sostanza, negli States non è così visibile sulle prime pagine dei giornali. Se ne parla poco anche in tv, nonostante sia entrato nell’agenda del presidente Joe Biden. C’è come il timore di renderlo un argomento di dominio pubblico, come se rimanesse un tabù. Eppure i numeri delle vittime sono impressionanti.

L’emergenza da San Francisco a New York. San Francisco è una delle città più colpite dall’emergenza. Il sindaco London Breed sta mettendo in campo misure straordinarie: «Lo spaccio potrebbe portare ad accuse di omicidio», ha dichiarato, mentre in città si fa ricorso alla doppia strategia della repressione e sorveglianza a livelli mai visti in precedenza. È stato anche istituito lo Street Response Team, una squadra di pronto intervento per casi di overdose sempre più frequenti. Spostandosi sulla costa est, a New York, la situazione non migliora. «I decessi per overdose hanno raggiunto livelli senza precedenti», avverte il Dipartimento per la Salute degli Stati Uniti, mentre il commissario per la salute, Ashwin Vasan, parla di un morto per fentanyl ogni tre ore solo nella Grande Mela.

Un problema anche geopolitico. Ma per capire le dimensioni del fenomeno, che va oltre le statistiche, occorre allargare lo sguardo, come è stata costretta a fare anche l’Amministrazione Biden. Il tema è entrato a piena diritto nell’agenda internazionale tanto che a discuterne, ad aprile, è stato il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, in visita a Pechino. Prima ancora lo stesso Biden a fine 2023 ne aveva parlato con Xi Jinping, in California, perché la maggior parte delle forniture di fentanyl arriva proprio dal Paese del dragone, dove la droga è prodotta e da cui spesso è commercializzata tramite il mercato online. Finora Washington ha seguito un doppio binario: da un lato la ricerca di una collaborazione con le autorità cinesi per fermare i flussi, dall’altra però non sono mancate accuse esplicite di corresponsabilità e complicità. Per questo alcuni esperti parlano di “nuova guerra dell’oppio”.

La nuova guerra dell’oppio. In un articolo pubblicato sul cinese Quotidiano del Popolo, uscito a inizio 2023, si leggeva: «Attaccare e diffamare la Cina non curerà il problema cronico dell’abuso di droga, ma non farà altro che ritardare il problema del controllo della droga in America», causando «una crisi sociale più grave». «Negli Usa ci sono da tempo molti centri specializzati nella disintossicazione, ma in caso di fentanyl la situazione è molto più complicata. Occorre una fortissima volontà delle persone che lo assumono per uscire dalla dipendenza», dice oggi Graziano Pinna, neuroscienziato, professore associato alla University of Illinois Chicago. «La disponibilità massiccia di questo prodotto (e delle sue versioni illegali) sul mercato non facilita una soluzione del problema. Il problema si è accentuato nel periodo della pandemia, tanto da parlare di una ‘pandemia nella pandemia’ per via dell’aumento dell’uso di alcol, marijuana e appunto oppioidi», aggiunge Pinna.

Perché il fentanyl preoccupa tanto. «Il caso del fantanyl è particolarmente drammatico: è un farmaco antidolorifico approvato dalla Food and Drug Administration statunitense, 50 volte più forte dell’eroina, 100 rispetto alla morfina. Questo lo rende anche causa di morti per overdose se usato come droga. Negli Usa si registrano in media 152 vittime al giorno. Se nel 2011 c’erano stati 2.600 morti, dal 2012 al 2021 se ne stimano 250mila – ricorda il neuroscienziato – Dà problemi di dipendenza perché come altre sostanze stupefacenti attiva il cosiddetto reward system, una gratificazione all’assunzione con un effetto di rilassamento e apparente benessere. Come antidolorifico è prescritto dopo interventi chirurgici o cancro ma, in caso di abuso, può dare effetti anche molto gravi, specie perché spesso si associa al consumo di alcol, marijuana e cocaina, oppure è unito ad altre molecole che ne aumentano la pericolosità». I sintomi sono quelli classici da overdose: «Costrizione delle pupille, difficoltà a rimanere svegli, perdita di conoscenza e respiro debole o assente, arrivando ad abbassamento della temperatura corporea con una colorazione pallida della pelle», spiega ancora Pinna.

Perché si è diffuso così rapidamente. «A differenza di altre droghe, all’origine non c’era alcuna domanda, non aveva neppure un nome particolare in gergo, nessuno tra i giovani cercava espressamente il fentanyl. La sua diffusione è stata voluta da parte delle organizzazioni criminali di trafficanti, compresi i narcos messicani e ha diversi motivi, che coinvolgono anche paesi come l’Afghanistan e appunto la Cina. Di sicuro all’origine della circolazione dell’oppioide ci sono facilità di produzione e bassi costi», spiega Riccardo Gatti, medico, psichiatra, esperto di droghe, chiamato già negli anni ’80 negli Usa a studiare il fenomeno della diffusione di crack e cocaina, insieme a un gruppo di esperti internazionali. Oggi Gatti è coordinatore del Tavolo tecnico sulla Dipendenze della Regione Lombardia, ma continua a guardare “l’osservatorio americano” e sottolinea: «Spesso di dice che quello che accade negli Usa poi si replica in Italia, per questo non va sottovalutato il problema e occorre conoscerne le dinamiche».

Da farmaco a droga degli zombi. Gli esperti non hanno dubbi: ad agevolarne la circolazione come droga è stato un problema che in passato ha interessato la vendita di farmaci negli Stati Uniti. Di fronte a un eccesso di prescrizioni ‘facili’ di oppioidi da parte dei medici americani, con un aumento anche di casi di overdose, le autorità avevano posto restrizioni. Ma l’effetto è stato che i pazienti si sono rivolti al mercato clandestino online. Oggi il maggior produttore è proprio la Cina. A favorirne il passaggio da medicinale a sostanza stupefacente è stato poi il bassissimo costo e la facilità di produzione: non è legato, infatti, ad alcuna coltivazione, perché è una droga sintetica, realizzata in laboratorio. Inoltre, essendo molto potente, ne bastano quantitativi minimi per disporre di molte dosi. Infine è facilmente trasportabile e occultabile, anche dai narcos, che hanno intuito il potenziale economico dello spaccio.

Un mercato potenzialmente globale. «I cartelli di Sinaloa in Messico e le mafie internazionali stanno creando una sorta di mercato globale, che non è più locale o regionale come lo erano una volta quelli dello spaccio. La produzione è cinese, la sintesi avviene in Messico, la distribuzione – per ora – è soprattutto in Nord America. Ma ricordiamo che il punto di partenza delle droghe che arrivano in Europa e in Italia è soprattutto il sud America, come nel caso della cocaina. Già lo scorso autunno l’allora Commissario all’interno dell’Ue, la svedese Ylva Johansson, aveva incontrato i Interni dei paesi latinoamericani paventando il rischio di accordi preliminari tra i cartelli dei produttori di fentanyl e le organizzazioni criminali», commenta Gatti.

I mix letali che spaventano. A preoccupare le autorità americane, per ora, è anche un'altra caratteristica del fentanyl. Oltre a creare dipendenza, dunque a spingere i giovani a un consumo da cui è difficilissimo uscire, l’oppioide non è un prodotto che si compra “tal quale”: in genere lo si trova in mix insieme ad altre sostanze, come cocaina o eroina, che unite si potenziano l’una con l’altra. Basti pensare al cantante Prince, scomparso nel 2016 proprio a causa di un cocktail di sostanze che comprendeva anche il fentanyl. Adesso, però, lo si trova nei farmaci contraffatti venduti online e in questo caso il rischio di effetti nocivi è ancora maggiore perché potrebbe coinvolgere anche persone ignare di ciò che stanno assumendo, che acquistano magari prodotti da mercati ‘paralleli’ via internet.

Un rischio anche per i non tossicodipendenti. In Italia è cresciuta l’attenzione al fenomeno, specie dopo i recenti sequestri di droghe “tagliate” con il fentanyl. «È un segnale preoccupante. Il timore è che si tratti quasi di un test su un nuovo prodotto da spacciare. In questo caso il rischio è di trovarsi in una situazione analoga a quella del Nord America, dove circolano prodotti che sono dei composti di fentanyl unito ad altre sostanze. Questo sarebbe ancora più preoccupante perché il consumo di questi prodotti non è limitato alla classica e vecchia immagine del tossicodipendente, ma sono pensati per tutta la popolazione. Il fatto che si chiami ‘droga degli zombie’ non significa che sia consumata solo in zone degradate. La sua natura stessa di sostanza sintetica, inoltre, porta ad allargare lo sguardo. In Afghanistan, ad esempio, i talebani hanno smesso di produrre papavero da oppio. Questo porta a una carenza di prodotto immagazzinato, che quindi va rimpiazzato: da qui l’interesse per l’eroina tagliata con altri prodotti sintetici», spiega il medico.

La geopolitica delle droghe: un’arma impropria? «Un altro aspetto riguarda anche gli attuali conflitti, che aumentano l’instabilità mondiale e rendono più difficile anche il traffico internazionale di stupefacenti dai Paesi produttori. Una sostanza come il fentanyl, facile da realizzare in laboratorio, semplifica la gestione da parte dei narcotrafficanti. Infine, è utile porsi una domanda: che interesse può esserci a smerciare illegalmente una droga così pericolosa, che miete tante vittime e dunque potenziali consumatori e acquirenti?», si interroga l’esperto. «Il discorso si sposta sul piano degli equilibri di forza a livello di potenze globali, come per l’appunto Usa e Cina. Perché discutere di fentanyl? Perché si è diffuso in Nord America? C’è chi ritiene che possa persino essere una sorta di arma impropria. Il problema, comunque, non è solo la Cina da cui proviene la maggior parte dei precursori della sostanza o la sostanza stessa.

Anche l’India pronta a produrre fentanyl. «Ammesso che Pechino smetta di produrre fentaynl, potrebbe essere sostituita da altri concorrenti, come l’India, che ha grandi capacità di produzione di farmaci e risorse umane capaci di farlo. Quindi il problema non sarebbe più solo la diffusione di una sostanza pericolosa, ma i cambiamenti nel mondo degli stupefacenti (con nuovi tipi di prodotti) e il significato dello spaccio, i motivi per cui le organizzazioni criminali potrebbero avere interesse a uccidere 100mila o più clienti all’anno».

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Eleonora Lorusso

Nata a Milano, laureata in Lettere Moderne all’università Cattolica con la specializzazione in Teoria e Tecnica dell’Informazione, è giornalista professionista dal 2001. Ha lavorato con Mediaset, Rai, emittenti radiofoniche come Radio 101 e RTL 102,5, magazine Mondadori tra i quali Panorama dal 2011. Specializzata in esteri e geopolitica, scrive per la rivista di affari internazionali Atlantis, per il quotidiano La Ragione e conduce il Festival internazionale della Geopolitica europea dal 2019. Dal 2022 vive negli USA.

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