Quale futuro per Putin, Prigozhin e la Russia
Due giorni dopo il tentato golpe la situazione in Russia continua ad essere indecifrabile, complessa, e per certi versi anche pericolosa
Che la Wagner da sola non potesse occupare Mosca o affrontare una guerra civile senza l’adesione, la complicità o anche solo l’assenso delle forze armate, era cosa nota a tutti. Dunque, delle due l’una: o il golpista Yegevny Prigozhin ha ricevuto l’assenso di generali scontenti di Putin oppure il capo della Wagner è caduto in una trappola.
C’è anche una terza, suggestiva, ipotesi: cioè, che si sia trattato di un’operazione studiata a tavolino dallo stesso Putin per stanare i veri traditori, coloro i quali ambiscono realmente alla sua sostituzione. L’idea non è peregrina e ha molti precedenti storici, anche ma non soltanto interni alla Russia. Di certo, una spia che ha passato l’intera vita a prevenire tradimenti e complotti, sa che la paranoia è il suo mestiere e anche la sua migliore amica. Poteva Putin non sapere che si stava preparando una ribellione? Sembra di no.
Con il passare delle ore, emergono dettagli e notizie che vanno proprio in questa direzione: persino a Washington pare fossero a conoscenza del progetto golpista wagneriano (dunque, figuriamoci al Cremlino). Il che rende i contorni della vicenda un po’ più chiari: il dissenso intorno alla leadership di Vladimir Putin è reale, ed è ai massimi storici nel Paese e nell’establishment moscovita.
Allo stesso tempo, però, tanto in patria quanto all’estero (vale per gli Stati Uniti ma anche per l’Ucraina) spaventa di più l’idea di una sua sostituzione con mezzi violenti che non una sua permanenza anche solo temporanea al potere. Un conto, infatti, è depotenziare la Russia negoziando accordi (ad esempio, rispetto all’offensiva in Ucraina) con una leadership conosciuta; un altro è assistere all’implosione di un Paese dotato di armi nucleari per colpa di banditi e avventurieri, e vederlo precipitare in una guerra civile.
In definitiva, dunque, le ipotesi sopra menzionate appaiono credibili, ma non necessariamente sono alternative le une alle altre: se è fin troppo evidente, infatti, che la leadership di Vladimir Putin sia criticata all’interno delle élite russe almeno da quando ha mancato la presa di Kiev e ha trascinato in una guerra sporca e inutile un intero Paese, è ancor più evidente che qualcuno abbia ritenuto che fosse il momento di dargli un segnale. E il segnale è sostanzialmente: «Basta con la guerra in Ucraina, perché sarai il primo a pagarne le conseguenze».
Ecco perché Prigozhin si è mosso: a meno di non ritenerlo un pazzo suicida, il capo della Wagner deve aver avuto luce verde da una parte delle forze armate, che prima lo hanno lasciato entrare a Rostov sul Don e poi hanno permesso che marciasse quasi indisturbato fino a Mosca. Dopodiché, non aveva alcun senso andare sino in fondo.
Vladimir Putin ha compreso fin troppo bene il messaggio minaccioso che gli è stato recapitato dal «postino Prigozhin», e dunque adesso si può aprire la vera trattativa: quella per una sua eventuale uscita di scena, che in nessun caso può o deve essere cruenta. Ne va del prestigio della Federazione russa e dello stesso equilibrio mondiale (lo stesso Zelensky non ha approfittato della situazione per infierire su Putin, il che la dice lunga sui timori di una leadership golpista, che si potrebbe rivelare ancor peggiore e guerrafondaia). Il primo tempo è finito così: un sostanziale pareggio tra Putin e chi lo vorrebbe, se non sostituire, almeno commissariare.
Potrebbero aver avuto un ruolo in tal senso figure di spicco come Sergej Surovikin, Capo di Stato Maggiore Generale e comandante delle Forze Aerospaziali russe, sostituito dal comando ma tuttora in prima linea in Ucraina; come il viceministro della Difesa Yunus-Bek Yevkurov; e ancora come il vice capo di Stato Maggiore Vladimir Alexeyev. Senza considerare Nikolaj Patrušev, potente Segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione, e uno dei papabili per la successione; e ancora Sergei Naryshkin, il capo dell’SVR ovvero i servizi segreti esteri, umiliato in diretta tv da Putin all’inizio dell’avventura in Ucraina. Un tempo fedelissimi del presidente, molti di loro godono di grande rispetto tra i militari e nei palazzi del potere. Lo stesso Prigozhin non li ha mai accusati o anche solo criticati, per dire.
Senza tirare in ballo il colpo di Stato del generale Kornilov del 1917 che aprì la strada ai bolscevichi, tutto ciò ricorda quanto avvenuto un secolo dopo in Turchia, quando Erdogan ha dovuto fronteggiare un golpe non meno azzardato nel luglio del 2016, uscendone vincitore grazie alla fedeltà di molti reparti delle forze armate. Erdogan, come noto, è ancora ben saldo al potere, mentre i golpisti sono tutti morti o in galera, in seguito a uno dei più grandi repulisti della Storia contemporanea.
La differenza con il caso russo è che Vladimir Putin è un presidente in guerra, e non la sta vincendo. Lui l’ha decisa e lui la deve risolvere. Ragion per cui dovrà trovare presto una soluzione che piaccia ai suoi detrattori, se non vuole che il secondo tempo di questa vicenda - che lo vede in bilico come mai prima d’ora - si trasformi in una vera e propria destituzione.
In quest’ottica, sarà interessante osservare cosa accadrà adesso tra gli alti comandi militari e politici. Il che ci darà la chiave del vero senso di quest’azione: dall’esito del negoziato con le fazioni che pretendono non tanto la testa di Putin quanto la fine dell’invasione, si capirà chi ha davvero il potere in Russia in questo momento.
Così come sarà interessante conoscere la sorte di Egevny Prigozhin: per il momento ha avuto salva la pelle, e questo elemento è di certo tra i più singolari dell’intera vicenda. Certo, la sua appare più una fuga che non un ritiro programmato e volontario (le montagne di soldi abbandonati in alcuni appartamenti perquisiti dall’Fsb lo dimostrerebbero), ma è anche vero che se gli è stata risparmiata la vita è perché mantiene ancora un certo potere negoziale (quale e per quanto?).
In definitiva, la Russia si prepara così alle presidenziali del 2024, con molte incognite, tutte però convergenti sulla figura del presidente russo. Riuscirà Putin a mantenere saldo il suo potere? Molto, tutto, dipenderà da come e se saprà gestire l’ardita avventura bellica in Ucraina.