Occhio a Glenn Youngkin: il trumpista democristiano che sogna la Casa Bianca
Se il duello tra Trump e DeSantis dovesse portare a uno stallo nelle primarie repubblicane, il governatore della Virginia potrebbe approfittarne
Durante una convention presidenziale, i due candidati più forti finiscono col creare una situazione di stallo. E, per romperla, alla fine si punta su un terzo. È questa, in estrema sintesi, la trama de “L’amaro sapore del potere”: film del 1964, tutto proteso a scandagliare le complicate (e talvolta paradossali) dinamiche elettorali statunitensi. Una situazione, questa, che, forse, potrebbe replicarsi alle prossime primarie presidenziali repubblicane. Vi sembra strano? Aspettate a giudicare troppo velocemente
Partiamo da un dato. Al momento, lo scenario che appare più probabile è quello di un duello tra l’ex presidente, Donald Trump, e il governatore della Florida, Ron DeSantis. Sebbene quest’ultimo non sia ancora ufficialmente sceso in campo, le sue ambizioni presidenziali sono arcinote. Non a caso, Trump ha iniziato a bersagliarlo da settimane, intensificando i suoi attacchi negli ultimi giorni. Ora, lo scontro tra i due è principalmente di carattere generazionale. Inoltre, il governatore punta molto sul fatto che l’ex presidente è oggettivamente gravato da numerosi processi giudiziari. La questione diventa invece più sfumata e problematica, quando si passa al piano ideologico.
Sia DeSantis sia Trump sono infatti fondamentalmente dei trumpisti. E, del resto, il trumpismo – inteso come maggiore attenzione alla working class e alle minoranze etniche – è ormai diventato un orientamento dominante in larga parte del Partito repubblicano: non solo tra la base ma anche a livello di establishment. Il punto su cui verte il dibattito interno non è quindi tanto il tipo di agenda politica da adottare, quanto – semmai – chi debba farsi carico di questo compito. Non è d’altronde un mistero che gli esponenti repubblicani apertamente e visceralmente antitrumpisti – come l'ex deputata Liz Cheney – non godano, almeno per ora, di alcun vero seguito elettorale. Eppure, sebbene la partita tenda a giocarsi tutta nel campo ideologico del trumpismo, alcune differenze tra Trump e DeSantis iniziano ad emergere.
Trump, come nel 2016, sta coprendo più le istanze “di sinistra”, presentandosi come il baluardo della previdenza sociale e della sanità pubblica. E’ d’altronde in quest'ottica che l’ex presidente sta tacciando i propri avversari interni di liberismo selvaggio. Una strategia, quella di Trump, che punta ad accattivarsi le simpatie degli Stati operai della Rust Belt (Michigan, Pennsylvania e Wisconsin): Stati, senza il cui appoggio, i repubblicani non sono oggi in grado di conquistare la Casa Bianca. DeSantis, dal canto suo, è un trumpista più “di destra”: si sta infatti presentando come il candidato della libertà economica, puntando inoltre molte delle proprie carte sul contrasto all’ideologia progressista nella sanità e nella scuola. È chiaro che, con questi due differenti orientamenti, l’ex presidente e il governatore mirano a contendersi il voto della base repubblicana. Certo: è pur vero che, su questo fronte, i sondaggi danno attualmente Trump in netto vantaggio. Tuttavia va anche specificato che è ancora molto presto. E che la situazione potrebbe mutare nei prossimi mesi, dopo la candidatura ufficiale di DeSantis (che è attesa entro quest’estate).
Ebbene, in una tale situazione, il grosso rischio è che, durante la campagna elettorale per le primarie repubblicane, possa delinearsi uno stallo, dovuto al duello tra Trump e DeSantis. Che cosa accadrebbe allora? Due scenari. O l’elefantino si spacca. Oppure emerge un terzo candidato. E chi potrebbe essere questo terzo candidato? Andrebbe forse monitorato con attenzione il governatore della Virginia, Glenn Youngkin. Che anche lui nutra delle ambizioni presidenziali, non è mai stato un segreto. Ma l’aspetto interessante è un altro. Secondo quanto riportato da Politico mercoledì, anziché iniziare ad attaccare i suoi potenziali avversari, il governatore della Virginia li ha elogiati. Di DeSantis ha detto che “ha fatto un gran lavoro”, mentre di Trump ha detto che ha compiuto “cose estremamente buone”. Vale inoltre la pena ricordare che, a novembre del 2021, Youngkin ha vinto le elezioni governatoriali in uno Stato ostico come la Virginia, riuscendo a federare le varie anime del Partito repubblicano: dai trumpisti ortodossi agli ambienti più freddi nei confronti dell’ex presidente. Un ex presidente che, in quell’occasione, aveva comunque dato a Youngkin il proprio endorsement.
Ebbene, anche il governatore della Virginia è un trumpista. Ma, differentemente da quello “di sinistra” dello stesso Trump e da quello “di destra” di DeSantis, potremmo dire che il suo è un trumpismo “di centro”: un trumpismo democristiano, per capirci. Younking certamente non può contare sul carisma che contraddistingue i suoi due altri potenziali rivali, ma può giocarsi la carta del federatore: una carta che, a conti fatti, potrebbe anche risultare vincente in un Partito repubblicano sempre più balcanizzato. E, c’è da giurarci, sembrerebbe essere proprio questa la sua strategia: scommettere su un estenuante duello fratricida tra Trump e DeSantis, per poi presentarsi come pacificatore interno. Certo: come già detto, è ancora troppo presto per fare previsioni. Ma bisogna fare comunque attenzione. E’ infatti improbabile che il governatore della Virginia se ne resterà con le mani in mano.