“Georgia is not Russia”: Tbilisi insorge contro l’ombra del Cremlino
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“Georgia is not Russia”: Tbilisi insorge contro l’ombra del Cremlino

La vittoria del partito filorusso riaccende il sogno europeo. Con il Paese sospeso tra Mosca e Bruxelles, le strade di Tbilisi si riempiono di voci che chiedono indipendenza e libertà. Il Caucaso trattiene il respiro, mentre la Georgia affronta il suo momento decisivo

Tbilisi si risveglia in un’alba tesa e sospesa, il cielo grigio quasi a riflettere l’incertezza che avvolge la città. Il verdetto elettorale esplode come un tuono: con il 54,23% dei voti, la Commissione Elettorale Centrale proclama la vittoria del partito filorusso Sogno Georgiano, fondato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili e al potere dal 2012. Il partito è accusato di spingere la Georgia verso l’orbita russa, allontanando il sogno europeo che molti cittadini ancora coltivano con tenacia e speranza.

Con lo scrutinio del 99,3% delle schede, il trionfo di Sogno Georgiano si consolida, segnando un solco profondo nella fragile democrazia georgiana. Alle sue spalle, la Coalizione per il Cambiamento raccoglie il 10,8%, seguita dal Movimento Nazionale Unito (MNU) dell’ex presidente Mikheil Saakashvili al 10,1%, Georgia Forte con l’8,8% e Gakharia per la Georgia al 7,8%. Le opposizioni, indignate, rifiutano di accettare i risultati e denunciano brogli, contestando apertamente la legittimità del voto.

La tensione cresce, sostenuta dai racconti diretti di osservatori sul posto. Igor Boni della delegazione di Europa Radicale, descrive scene di corruzione e manipolazione inquietanti: «A Tbilisi, come ovunque, tutti hanno visto le scene di schede pre-votate infilate forzatamente nelle urne». Le piazze si riempiono rapidamente di manifestanti, sventolando bandiere europee e scandendo lo slogan ‘Georgia is not Russia’. «È un grido di libertà», afferma Boni, «che richiama il sacrificio di Antonio Russo, il giornalista italiano ucciso nel 2000 per aver documentato i crimini russi in Cecenia. Oggi i crimini di Putin li vediamo ogni giorno in Ucraina. Se il mondo non avesse girato la testa nel 1999, forse la storia sarebbe diversa», conclude lo storico esponente radicale.

Mentre l’ombra di queste elezioni avvolge una giornata che sembra ormai sospesa nel tempo, il futuro del Paese appare ancor più incerto. Transparency International, l’organizzazione non governativa internazionale con sede in Germania, denuncia alla chiusura dei seggi oltre 150 casi di schede non validate, circa 100 violazioni del segreto del voto, 350 episodi di presenze non autorizzate all’interno dei seggi, almeno 100 casi di minacce e violenze fisiche, e oltre 160 limitazioni al lavoro degli osservatori. Sono state inoltre presentate più di 250 denunce di violazioni, segnali di un clima elettorale tutt’altro che limpido.

La Georgia è ora divisa tra due visioni opposte: da un lato, Sogno Georgiano si appella alla pace; dall’altro, esponenti dell’opposizione alzano i toni, denunciando il voto come “rubato”. La leader di MNU, Tina Bokuchava, non usa mezzi termini: «Il voto è stato rubato. La vittoria è stata sottratta al popolo georgiano, e con essa il futuro europeo». Nika Gvaramia, a capo della Coalizione per il Cambiamento, rincara: «Queste elezioni sono un colpo di stato costituzionale».

Le opposizioni promettono proteste permanenti contro un governo che definisce illegittimo, ma Kakha Kaladze, sindaco di Tbilisi e segretario generale di Sogno Georgiano, minaccia una “reazione molto dura”, accrescendo i timori sul futuro democratico del Paese. Mentre il governo si appella alla stabilità, i partiti filo-occidentali chiedono apertamente l’annullamento delle elezioni, in una sfida che vede Ivanishvili accusarli di voler trascinare la Georgia in guerra, etichettandoli come “il partito della guerra globale” e invocando persino “processi di Norimberga” contro i suoi oppositori.

La Georgia sembrerebbe trovarsi sull’orlo di un possibile conflitto interno con conseguenti nuove tensioni internazionali. Nella capitale, la tensione è palpabile, ma ciò che è davvero in gioco non è solo un’elezione, bensì il destino stesso di un Paese sospeso tra Oriente e Occidente. La Russia, appena oltre il confine, rafforza la sua presenza in Abcasia e Ossezia del Sud, territori secessionisti che molti georgiani considerano parte integrante della nazione. Nel frattempo, l’Ucraina, già impegnata a resistere all’aggressione russa, teme di restare isolata diplomaticamente, vedendo sgretolarsi attorno a sé il blocco dei Paesi contrari all’influenza di Mosca.

Sebbene sia stata eletta nel 2018 con il sostegno del filo-russo Sogno Georgiano, la presidente Salome Zourabichvili ha lanciato un messaggio netto e inequivocabile: «La Georgia europea vince, nonostante i tentativi di truccare le elezioni e senza i voti della diaspora». Una dichiarazione che sottolinea il profondo desiderio della popolazione di guardare all’Europa, oltre gli ostacoli interni che, secondo lei, mirerebbero a mantenere il Paese sotto l’influenza russa.

Stabilità o rivoluzione, pace o repressione, indipendenza o sottomissione? Di fronte a queste domande cruciali, la Georgia si prepara a plasmare il proprio futuro, consapevole che la posta in gioco è altissima e che l’intero Caucaso attende di vedere quale strada sceglierà di percorrere.

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Lara Ballurio

Giornalista, Esperta in comunicazione, Analista geopolitica, Ghostwriter

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