Georgia divisa: proteste di piazza e crisi istituzionale infiammano il Paese
(Ansa)
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Georgia divisa: proteste di piazza e crisi istituzionale infiammano il Paese

Aumentano le proteste di piazza, che si fanno più violente. Nel frattempo lo scontro politico fra la Presidente e il governo rischia di portare il Paese nel caos.

Neanche due mesi dopo il voto parlamentare del 26 ottobre la Georgia pare sull’orlo di una crisi istituzionale. Con un conflitto politico aperto fra la Presidente della repubblica Salome Zourabichvili e il governo guidato da Irakli Kobakhidze. Il tutto condito da proteste di piazza che si fanno di giorno in giorno più violente. Ma cosa sta succedendo in Georgia? Riavvolgiamo il nastro.

Le elezioni parlamentari di ottobre hanno visto trionfare con il 53,93% dei voti il partito di governo Sogno georgiano, guidato in parlamento dall’attuale Primo ministro Kobakhidze e fuori da esso dal miliardario Bidzina Ivanishvili. Il partito è uno dei pochi nel panorama politico georgiano non apertamente europeista e filo-atlantista. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina la Georgia ha mandato aiuti umanitari a Kiev, ma si è rifiutata di inviare aiuti militari o di imporre sanzioni economiche alla Russia. Di indirizzo molto più euroatlantico la Presidente Zourabishvili (in Georgia il Presidente della repubblica ricopre un ruolo più che altro cerimoniale), che fin dai primi giorni dell’invasione è diventata il punto di riferimento della consistente fetta di popolazione georgiana, residente principalmente nelle grandi città, che anela all’ingresso nell’Unione europea e nella Nato.

Proprio all’indomani delle elezioni del 26 ottobre Zourabichvili ha tenuto una conferenza stampa in cui proclamava l’illegittimità delle elezioni a causa di non meglio precisate “Interferenze russe” e asseriva di essere l’unica istituzione del Paese ancora indipendente. Iniziavano così le proteste di piazza, svoltesi a cadenza regolare (anche se a bassa affluenza) nella piazza antistante l’edificio del Parlamento georgiano a Tbilisi.

Sempre nei giorni successivi al voto è stato svolto il riconteggio parziale e casuale delle schede ad opera della Commissione elettorale centrale georgiana, che ha nuovamente certificato la vittoria del partito di governo. Nel frattempo continuavano gli attacchi della Presidente Zourabichvili al partito Sogno georgiano. A cui facevano seguito la richiesta di nuove elezioni e il proseguimento delle proteste di piazza. Giova ricordare che fino a questo punto le manifestazioni erano state ad affluenza medio-bassa e si erano svolte in maniera pacifica.

Tutto è cambiato a partire da giovedì scorso. Il 28 novembre è stato inaugurato il nuovo parlamento, dove si è segnalata l’assenza dei partiti di opposizione che hanno deciso di boicottare la nuova legislatura per cercare di togliere ogni parvenza di legittimità. È stata inoltre formata la nuova squadra di governo, con Irakli Kobakhidze richiamato ha svolgere il ruolo di Primo ministro. Lo stesso giorno il Parlamento europeo passava una risoluzione in cui chiedeva il ritorno alle urne sotto supervisione internazionale e chiedeva alla Commissione europea di imporre sanzioni ai leader di governo georgiani. La sera stessa Kobakhidze ha annunciato in una conferenza stampa che i negoziati con l’Ue relativi all’ingresso georgiano nell’Unione sarebbero stati sospesi fino al 2028, denunciando i tentativi dell’Europa di istigare una rivoluzione nel Paese.

La crisi istituzionale si è nel frattempo aggravata, con la Presidente Zourabichvili che ha annunciato le sue intenzioni di non abbandonare il suo ruolo di Presidente alla scadenza del mandato (il 29 dicembre) se prima non si terranno nuove elezioni parlamentari. La risposta del governo non si è fatta attendere: il 14 dicembre è stata fissata la data per l’elezione del nuovo Presidente (che dal 2017 non è più eletto con voto popolare), mentre il Primo ministro ha affermato che il 29 dicembre la Presidente Zourabichvili “dovrà andarsene”.

Dal 28 novembre le proteste di piazza in Georgia sono aumentate sia per numero di partecipanti che per le azioni dimostrative svolte: i continui presidi davanti al Parlamento si sono trasformati in “assalti al palazzo del potere”, con vetri rotti, muri imbrattati e tentativi di sfondare i cordoni di sicurezza della polizia ed entrare nell’edificio. Il tentativo di creare sit-in permanenti tramite tendopoli ha visto lo sgombero forzato da parte della polizia antisommossa. Mentre giusto nella giornata di ieri sono spuntati video in cui i manifestanti hanno utilizzato per la prima volta le famigerate “bombe” Molotov contro la polizia, che ha risposto con gli idranti.

Sullo sfondo della crisi istituzionale il nuovo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, la estone Kaja Kallas, ha dichiarato che “l'Unione Europea è ovviamente al fianco del popolo georgiano nella scelta del suo futuro: è chiaro che l'uso della violenza contro i manifestanti pacifici non è accettabile". L’uso del termine “pacifici” appare quantomeno discutibile, ad ogni modo Kallas ha continuato: “dobbiamo discutere come procedere da qui in poi perché è chiaro che il governo georgiano non sta rispettando la volontà del popolo quando si tratta del futuro europeo. E credo che non dovremmo permetterglielo". Due giorni fa anche gli Stati Uniti hanno sospeso la loro partnership strategica con la Georgia, additando come motivazione le "ripetute violazioni antidemocratiche del partito Sogno georgiano", condannando inoltre l’interruzione del processo di integrazione euroatlantica.

Le prossime settimane promettono insomma di essere decisive per il futuro del Paese.

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Simone Mesisca