E' quasi guerra a Taiwan ma, nel caso, per la Cina non sarà una passeggiata
Le esercitazioni di oggi sono un mero esercizio politico-dimostrativo. Perché l'eventuale attacco di Pechino all'isola avrebbe mille difficoltà tecnico belliche
Da ieri e fino a domenica la Cina svolgerà esercitazioni a fuoco intorno a Taiwan. Poi le forze si ritireranno. Questo sperano gli abitanti dell’isola che nella mattinata di oggi (la notte italiana tra il 3 e il 4 agosto), hanno visto la Marina cinese lanciare missili molto vicino alle coste e carri armati anfibi sbarcare su alcune spiagge ricomprese nelle sei aree intorno a Taiwan scelte per queste manovre militari, definite senza precedenti. Il ministero della Difesa di Taiwan ha affermato di stare seguendo da vicino l’evolversi delle esercitazioni senza reagire in alcun modo, ma il pericolo di un incidente è molto elevato, così come un successivo intervento degli Usa nella zona, idea confermata anche dopo la visita del portavoce della Camera Usa Nancy Pelosi, ripartita ieri per Seoul. Grande preoccupazione è stata espressa anche dal governo giapponese, che schiera la sua flotta a protezione delle isole del sud e allerta l’aviazione. Ore dopo che l'Esercito popolare di liberazione cinese (Pla) ha iniziato le sue manovre, Pechino ha dichiarato di aver condotto "attacchi missilistici di precisione" nello Stretto di Taiwan per colpire bersagli definiti realistici a distanze inferiori rispetto alle postazioni difensive dell’ex Formosa. Ovvero superando sempre il limite mediano delle acque territoriali dello stretto che considera sue.
Il governo di Taipei ha affermato che le esercitazioni stanno violando le regole delle Nazioni Unite invadendo lo spazio territoriale dell’isola e che rappresentano una sfida diretta alla libera navigazione aerea e marittima. "Un comportamento irresponsabile e illegittimo”, si legge sull’account Twitter del Partito democratico progressista, oggi al governo, mentre il ministero della Difesa taiwanese ha comunicato che “sosterrà il principio di prepararsi alla guerra senza cercare il conflitto con un atteggiamento che non porti a intensificare le controversie”. Intanto Pechino nella serata di ieri, ha espresso indignazione per la visita dela Pelosi annunciando il via delle operazioni militari nelle acque circostanti, convocando l'ambasciatore degli Stati Uniti e interrompendo diverse importazioni agricole da Taiwan come ritorsione, in particolare agrumi e prodotti ittici, mentre il suo ministero del commercio cinese ha vietato l'esportazione di sabbia naturale verso Taiwan, utile per la costruzione dei microprocessori.
Al momento in cui scriviamo, salvo una decisione di Xi-Jinping di trasformare l’esercitazione in invasione, il maggiore pericolo di scontro è rappresentato da alcuni velivoli militari decollati dall’isola che stanno pattugliando lo spazio aereo per arginare gli sconfinamenti dei jet cinesi e dal lancio di razzi per scacciare alcuni droni che sarebbero stati avvistati vicino a Kinmen, a pochi chilometri dalla capitale. Naturalmente l'esercito di Taiwan ha alzato il suo livello di allerta dichiarando che i movimenti cinesi stanno tentando di minacciare porti e città chiave dell’isola.
L’isola fortificata, incubo di Pechino
L'esercito di Taiwan, circa 170.000 unità, sebbene di dimensioni nettamente inferiori rispetto a quello cinese (2 milioni di uomini) è stato ben addestrato per questo particolare scenario: un'invasione da parte della Cina continentale. Lo Stretto di Taiwan è largo soli 128 km nel suo punto più stretto, una distanza che rende i tempi di movimentazione di una forza d’invasione molto rapidi, ma che al contempo non lascia possibilità di occultare le vere intenzioni dell’invasore. Mentre i ponti aerei possono spostare rapidamente non più di qualche migliaio di soldati e rifornirli, la quantità di forze e rifornimenti necessari per conquistare tutta l’isola, ovvero veicoli corazzati, artiglieria, munizioni, cibo, forniture mediche e carburante - necessari per un'invasione di successo - potrebbero solo essere spostati via mare. Questo per Pechino renderebbe necessario ammassare una flotta enorme, qualche centinaio di navi, senza però agire nel frattempo come sta facendo oggi a scopo intimidatorio, poiché la flotta sarebbe estremamente vulnerabile agli attacchi missilistici e aerei a lungo raggio e agli attacchi dei sottomarini. Dunque, l’invasione rischierebbe di costare alla Cina perdite notevoli, poiché la flotta sarebbe esposta molto prima di raggiungere una posizione tale dalla quale iniziare il suo attacco alla costa taiwanese. Per questo motivo l’invasione vedrebbe innanzitutto l’isola essere presa di mira da attacchi missilistici programmati per colpire contemporaneamente le spiagge, i porti e le postazioni difensive dell'isola al fine di sopraffare le forze prima di muovere le navi. Ma distruggendo i porti lo sbarco sarebbe più lento, dunque utilizzare le strutture catturate e prese rapidamente da azioni preventive sarebbe l’unico modo per velocizzare gli sbarchi, ma anche molto complicato e pericoloso.L'isola, che ha una forma approssimativamente ovale, è costituita da una cresta montuosa ricca di foreste che corre lungo la sua lunghezza, che da nord a sud è di 395 km. A ovest del crinale della montagna si trovano pianure coltivate e le tre grandi città. Taipei, la capitale, si trova a nord, Taichung si trova al centro e Kaohsiung a sud. Ciò crea una barriera difensiva naturale che costringerebbe l'Esercito popolare cinese di liberazione ad avanzare lentamente. I soldati dovrebbero farsi strada attraverso densi insediamenti urbani trasformati in punti di difesa. L'intero lato occidentale dell'isola è invece attraversato da fiumi e canali e sono poche le spiagge adatte allo sbarco di mezzi anfibi e qualsiasi forza dovrebbe immediatamente farsi strada a terra sotto un fuoco proveniente da alti edifici e dalle scogliere che si affacciano sulle spiagge.
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