«La guerra ha dimostrato che l'Ucraina come nazione esiste»
Un convegno all'Università Statale di Milano ha analizzato il conflitto in tutte le sue componenti. E ha messo in guardia sui rischi di destabilizzazione nei Balcani.
- «La guerra ha dimostrato che l'Ucraina come nazione esiste»
- Il conflitto russo-ucraino nella prospettiva storica
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«L'invasione russa ha fatto ricompattare l'Ucraina». La professoressa Giulia Lami, docente di Storia dell'Europa orientale, tira le conclusioni della giornata di studio che ha organizzato ieri, 5 maggio, all'Università Statale di Milano. Intitolato «Cause e conseguenze della guerra in Ucraina», il convegno ha analizzato il conflitto in tutte le sue componenti: dalla storia al diritto internazionale, dall'arte alla religione. All'evento hanno partecipato i più autorevoli studiosi di Ucraina e di spazio post-sovietico, ivi compreso il professor Serhii Plokhii, dell'Ukrainian Research Institute dell'Università di Harvard, del cui intervento pubblichiamo qui sotto l'abstract.
Professoressa Lami, intende dire che la guerra di Putin ha fatto ricompattare il Paese?
«Sì, lo ha fatto ricompattare, dimostrando che in questi 30 anni la società ucraina è cresciuta. Ormai effettivamente esiste un sentimento comune, al di là delle differenze di lingua e di posizioni politiche, che ha portato il Paese ad agire unitariamente. In altre parole, l'invasione russa ha mostrato che l'Ucraina esiste veramente come nazione, intesa come il senso di un'appartenenza condivisa».
In quest'ottica, la guerra per Vladimir Putin è stata un fallimento. Perché se prima dell'invasione diceva che l'Ucraina non esiste, ora esiste più di prima...
«Non solo esiste più di prima, ma ha anche dimostrato che è una nazione contraddistinta da un senso di appartenenza civica a un insieme. Questo spiega pure il fenomeno del volontarismo ucraino, che ha colpito un po' tutti i settori della popolazione, anche al di là dell'esercito, nella difesa del Paese e dell'identità».
Questo è emerso dal convegno?
«Senz'altro: le varie relazioni hanno illustrato proprio quest'evoluzione, dal punto di vista civico-culturale. Nella giornata di studio è emersa la profonda dimensione storica, giuridica e culturale attraverso la quale può essere vista la guerra russo-ucraina, dando risposta a tanti dubbi sui termini del contendere».
Qual è stato il primo aspetto affrontato?
«La prima sezione è stata dedicata ai “Trent'anni dal crollo dell'Urss”, dove si è visto cosa è stata la concezione europea della sicurezza, intesa come evoluzione della Nato e accrescimento dell'Unione europea, nel periodo compreso fra la fine dell'Urss di Mikhail Gorbaciov e la nascita del mondo post-sovietico. In quel periodo ci fu un deciso cambio di passo che, nella logica del momento, voleva riempire il vuoto che si era creato in Europa, coinvolgendo sì la Russia, ma solo fino a un certo punto. In una dialettica imperfetta, che poi ha potuto essere strumentalizzata, nel periodo aperto dalla presidenza Putin, come un'esclusione della Russia dalle decisioni importanti a livello europeo e mondiale. La coda inaspettata di questo problema è stato il cosiddetto revanchismo russo».
Poi è intervenuto il professore di Harvard.
«Serhii Plokhii ha mostrato come il nazionalismo vecchio tipo sia proprio più russo che ucraino. La sua tesi è che è la Russia a essere sfasata dalla storia più che l'Ucraina e questo spiega tante contraddizioni di questo conflitto. Sulla stessa linea possiamo ricordare l'intervento di Marco Puleri: “La transizione post-sovietica come esperienza plurale: il caso dell'Ucraina”. Esperienza plurale perché l'Ucraina viene da un insieme di eredità, come ha dimostrato Simona Merlo».
Quindi, come si dice, esistono tante Ucraine?
«Diciamo che esiste un'Ucraina complessa perché frutto di eredità diverse: austro-ungarica, zarista, ottomana, sovietica... Ma sempre con un'apertura alla cultura europea, che Maria Grazia Bartolini ha illustrato molto bene con l'intervento sulla letteratura ucraina del Seicento. Sulla stessa linea Kseniia Kostantynenko, che ha parlato di arte».
Poi c'è l'aspetto religioso...
«Sì. l'Ucraina si contraddistingue per il pluralismo religioso, in un panorama contrassegnato dalla presenza di più denominazioni cristiane: ci sono la Chiesa greco-cattolica, la Chiesa ortodossa (anche nelle sue divisioni specificamente ucraine, non solo di osservanza moscovita), la Chiesa cattolica romana e una forte presenza di protestanti, specialmente nel periodo post-sovietico. Ma c'è pure una tradizionale comunità ebraica, anche post Olocausto, e persino una componente islamica, specialmente quando la Crimea era ancora Ucraina. Per non parlare delle minoranze magiare, rumene e quelle di origine tedesca e armena».
Al convegno avete guardato anche al futuro, in particolare al rischio di destabilizzazione nei Balcani.
«Ne ha parlato Emanuela Costantini, secondo la quale il rischio per ora è contenuto, ma vi sono alcuni Paesi divisi al loro interno fra filo-occidentali e filo-russi, la cui posizione risente anche del conflitto in Ucraina».
E qual è il Paese più a rischio?
«La Bosnia-Erzegovina, dove la pacificazione post Dayton presenta comunque delle linee di divisione. È una situazione abbastanza in stallo, dove l'impatto di un evento come la guerra ucraina può portare, anche solo ai fini della politica interna, divisioni per differenti posizioni rispetto alla Russia o all'Occidente. La novità del convegno è che, grazie a Marco Pedrazzi e Federica Favuzza, per gli scenari post-bellici ci siamo posti il problema di quali lezioni trarre dalla presente crisi per il diritto internazionale. Nei loro interventi sono state messe a nudo l'inadeguatezza della comunità internazionale (e dell'Onu) nel gestire le crisi internazionali, la difficoltà nel tutelare le vittime dei conflitti e soprattutto come le difficoltà a condurre, a guerra ancora in corso, le inchieste per capire se sono stati commessi o meno crimini di guerra».
Nel convegno non si è parlato di un argomento molto dibattuto: il battaglione Azov e gli ipernazionalisti ucraini.
«Non è emerso un discorso sull'ipernazionalismo ucraino perché da molti studiosi viene considerato un fenomeno marginale rispetto alla crescita di un nazionalismo civico, in cui l'Ucraina aggredita sembra essersi ritrovata unita. Comunque, io non posso evitare di pensare che in un secondo momento possano saltare fuori delle disunioni. E che, se Volodymyr Zelensky è troppo accomodante, non arrivi, magari da qualche frangia estrema, qualcuno molto più intransigente di lui. Diciamo che noi studiosi non abbiamo l'esatta percezione di quale possa essere la forza sul terreno degli ipernazionalisti, al di là dei risultati parlamentari. E non possiamo neanche sapere quale effetto di traino potrà avere sulla popolazione un eventuale sacrificio eroico del reggimento Azov. Di questi fenomeni hanno maggiore percezione i giornalisti e soprattutto quelli che sono sul terreno. Noi ci occupiamo più della prospettiva di lungo periodo e siamo un po' avulsi da quello che invece possono vedere i reporter a Mariupol o a Zaporizhzhia».
Peraltro, la situazione sul campo cambia rapidamente...
«Esatto. È per questo che sulla consistenza e sulla forza politica latente degli ultranazionalisti noi non ci siamo espressi».
Il conflitto russo-ucraino nella prospettiva storica
Qui di seguito, l'abstract dell'intervento presentato al convegno milanese dal professor Serhii Plokhii, dell'Ukrainian Research Institute dell'Università di Harvard.
L'attacco della Russia all'Ucraina e l'inizio del più grande conflitto europeo dalla fine della seconda guerra mondiale è stato uno choc per tutto il mondo. Nonostante i continui avvertimenti della Casa Bianca, tutti si sono posti la stessa domanda: perché Vladimir Putin avrebbe attaccato? Non c'era una buona risposta. Le spiegazioni di Putin sulla minaccia posta alla Russia dalla Nato - questo in un momento in cui la Nato non aveva alcun appetito per un'ulteriore espansione o intenzione di portare l'Ucraina nei suoi ranghi - non aveva senso per il mondo in generale.
La dichiarazione di guerra de facto di Putin all'Ucraina, consegnata insieme al suo riconoscimento ufficiale dell'indipendenza degli Stati fantoccio creati dalla Russia nell'Ucraina orientale, è stata definita una lezione di storia, e pochi osservatori al di fuori della Russia potevano darle un senso. Le accuse di Putin che l'Ucraina, guidata dall'unico presidente ebreo al mondo al di fuori di Israele, era governata da nazisti e nazionalisti avevano ancora meno senso.
Perché, allora, Putin ha iniziato la guerra, e perché ha proceduto in modi che nessuno poteva immaginare, con gli ucraini che resistevano, l'Occidente che serrava i ranghi, la Russia che veniva isolata, e una nuova Guerra fredda che bussava alla porta dei politici e dei contribuenti mentre il budget della difesa della Germania e le forze armate della Polonia raddoppiavano?
Nella mia presentazione rintraccerò le origini dell'attuale guerra, così come il conflitto tra la Russia e l'Occidente, fino al crollo sovietico, sottolineando l'importanza dell'Ucraina per la caduta pacifica dell'Urss. La superpotenza sovietica fu dissolta una settimana dopo il referendum ucraino del dicembre 1991, in cui il 92% degli elettori ucraini votarono per l'indipendenza del loro Paese. Né Mikhail Gorbaciov né Boris Eltsin potevano immaginare l'Unione Sovietica senza l'Ucraina, la seconda più grande repubblica sovietica dopo la Russia. Dato il ruolo decisivo dell'Ucraina nel crollo dell'Urss, sarebbe anche cruciale in qualsiasi progetto di reintegrazione dello spazio post-sovietico.
La Guerra fredda, che si è conclusa in Europa centrale e quasi ovunque nel mondo con la caduta del muro di Berlino, non è mai finita nello spazio post-sovietico. La Russia non si è mai riconciliata con l'espansione verso Est dell'Unione Europea o, ancora meno, con l'espansione della Nato. Washington e Mosca non hanno raggiunto un'intesa sul futuro delle ex repubbliche sovietiche come l'Ucraina: sarebbero state libere di scegliere le proprie forme di governo e condurre politiche estere indipendenti? Gli americani credevano che i nuovi Stati dovessero diventare pienamente sovrani, mentre i russi insistevano su una sfera di influenza per se stessi e per una sovranità limitata per le ex repubbliche. Questo disaccordo irrisolto è diventato un fattore chiave che ha scatenato l'attuale guerra.
È stato spesso affermato che Putin vuole ripristinare l'Urss. Questo è un presupposto sbagliato. Come Putin ha dimostrato nel suo discorso di guerra del febbraio 2022, non è un seguace di Vladimir Lenin, il fondatore dello stato sovietico, poiché rifiuta l'ideologia comunista e la struttura pseudo-federale dell'ex Urss. Crede invece nella versione della mitologia imperiale russa che definisce russi, ucraini e bielorussi come membri di una grande nazione russa. Nel 1990, uno degli scrittori russi preferiti da Putin, Aleksandr Solzhenitsyn, ha proposto la creazione di un nuovo stato slavo orientale sulle rovine dell'Urss.
Questo Stato, che si sarebbe chiamato Russia, avrebbe dovuto includere Russia, Ucraina, Bielorussia e parti del Kazakistan. La retorica di Putin su russi e ucraini che costituiscono un unico popolo si adatta alla visione di Solzhenitsyn di una futura Grande Russia, aiutando a spiegare il pensiero del governante del Cremlino e un'altra importante causa della guerra. La visione della Grande Russia di Putin trova uno stretto parallelo nella Grande Germania di Adolf Hitler, mentre l'annessione della Crimea nel 2014 è parallela all'Anschluss austriaco del 1938.
Serhii Plokhii