Kiev e Mosca guardano a Trump
Putin e Zelensky hanno compreso l’ambiguità strategica del tycoon. E le loro parole sono messaggi in codice a lui
Donald Trump sta probabilmente ricorrendo a un approccio di ambiguità strategica sulla crisi ucraina. E a confermarlo sembrerebbero stare i discorsi recentemente pronunciati da Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky.
Lo zar si è mostrato particolarmente duro, riferendosi all’autorizzazione, arrivata da Joe Biden, all’uso dei missili Atacms in territorio russo. “Da quel momento, come abbiamo ripetutamente sottolineato, un conflitto regionale in Ucraina, precedentemente provocato dall'Occidente, ha acquisito elementi di carattere globale”, ha affermato lo zar. “In caso di escalation di azioni aggressive, risponderemo in modo deciso e speculare”, ha proseguito, per poi aggiungere: “L'uso di tali armi da parte del nemico non è in grado di cambiare il corso delle azioni militari nella zona dell'operazione militare speciale”. “Ci consideriamo autorizzati a usare le nostre armi contro le strutture militari di quei Paesi che permettono che le loro armi vengano usate contro le nostre strutture”.
“Il mondo deve reagire, Putin va fermato”, ha replicato Volodymyr Zelensky. “Putin ha colpito la nostra città di Dnipro, una delle città più grandi dell'Ucraina. È il secondo passo della Russia verso l'escalation in un anno. Il primo passo del genere è stato il coinvolgimento della Corea del Nord nella guerra contro l'Ucraina, con un contingente di almeno 11.000 soldati”, ha aggiunto.
Probabilmente le dichiarazioni dei due leader vanno lette come messaggi in codice diretti al presidente americano in pectore. Quest’ultimo è infatti rimasto stranamente silenzioso su due elementi della crisi in corso in Ucraina. Primo: contrariamente alla smentita del Cremlino, non ha confermato né negato la presunta telefonata che, secondo il Washington Post, avrebbe avuto con Putin pochi giorni dopo la vittoria elettorale. Secondo: Trump non ha commentato l’ok di Biden all’uso dei missili Atacms in territorio russo. Due silenzi significativi.
Il primo silenzio è un modo per mettere sotto pressione Zelensky, onde convincerlo a sedersi al tavolo delle trattative rinunciando alla sua storica precondizione: quella di un ritiro unilaterale delle truppe russe dal territorio ucraino. E’ come se il tycoon avesse voluto dire a Zelensky: “Se non ti siedi al tavolo, mi accordo senza di te”. Il secondo silenzio mette invece sotto pressione Putin, lanciandogli un monito. Trump punta sull’imprevedibilità per ripristinare la deterrenza prima di ogni possibile negoziato. E non vuole che lo zar creda che lui sia disposto a tutto pur di arrivare a una pace celere. Il presidente russo è rimasto quindi spiazzato dalla mancata condanna di Trump della mossa di Biden sugli Atacms. E adesso si sente probabilmente meno sicuro.
Ecco che quindi le ultime dichiarazioni di Zelensky e Putin vanno lette come delle risposte ai silenzi di Trump. Il leader ucraino, pur avendo ammorbidito recentemente la sua posizione sulla Crimea, ha voluto sottolineare al tycoon il coinvolgimento della Corea del Nord, per dissuaderlo da ogni scenario di accordo bilaterale con la Russia. Putin, nel suo discorso, ha voluto fare la voce grossa per non mostrarsi intimidito dal silenzio di Trump. Guarda caso, durante l’intervento, ha criticato il ritiro degli Stati Uniti dal trattato Inf: trattato da cui Washington si tirò indietro nel 2019, vale a dire ai tempi dell’amministrazione Trump.
Ovviamente non sappiamo se la strategia negoziale del tycoon avrà successo. Va però ricordato che la diplomazia si compone non solo di dialogo ma anche di pressione e minaccia. Trump vuole che Zelensky si sieda al tavolo ma sa al contempo di non potersi permettere un appeasement nei confronti del Cremlino: un simile scenario innescherebbe un effetto domino, che Trump pagherebbe poi in altri contesti (come l’Indo-pacifico). Se l’obiettivo del tycoon era quello di mettere intanto sotto pressione i due belligeranti, almeno al momento sembra esserci riuscito. Vedremo come gestirà il dossier una volta insediatosi.