Le casseforti del terrore
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Le casseforti del terrore

Ci sono banche e organizzazioni caritatevoli gestite per favorire i terroristi. Ci sono trasferimenti di denaro attraverso le più banali piattaforme e l’invio di criptovalute in forma digitale. Ci sono donazioni inconsapevoli, crowdfunding e altro ancora. Ecco da dove e in quale modo arrivano i finanziamenti oscuri, nella ricostruzione di chi li stana.

La Cupola d’oro, forse riferita a quella dorata della moschea al-Aqsa di Gerusalemme, è l’ultimo paravento benefico di raccolta fondi in Italia, non per i bambini vittime a Gaza, ma per Hamas.

L’architetto Mohammed Hannoun, giordano di origine, trapiantato da tempo in Italia, a Genova, è finito sulla «lista nera» americana dei finanziatori del terrorismo. Il 7 ottobre, un anno dopo l’attacco stragista di Hamas che ha scatenato la sanguinosa reazione israeliana a Gaza, il noto attivista è stato messo nel mirino come presidente dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (Abspp), una onlus con sede a Roma. Secondo il Dipartimento del Tesoro americano si tratta di «un ente di beneficenza fittizio che apparentemente raccoglie fondi per scopi umanitari, ma in realtà aiuta a finanziare l’ala militare di Hamas». Hannoun avrebbe inviato, fin dal 2018, almeno quattro milioni di dollari all’organizzazione terroristica. Nel 2021 Unicredit aveva chiuso un conto sospetto aperto da Hannoun. E poi hanno fatto lo stesso Poste italiane, PayPal e gli operatori internazionali compresi Visa, Mastercard e American Express. «Da questa primavera è emersa l’associazione denominata “Cupola d’Oro” pubblicizzata da Hannoun sui social» dice a PanoramaGiovanni Giacalone, esperto di terrorismo di ItsTime dell’Università Cattolica di Milano. «Le accuse provenienti da Washington sono molto serie. Lo indicano come l’uomo di Hamas in Italia. In seguito alle sanzioni gli account social di Hannoun e delle sue associazioni non sono più visibili».

Il caso Hannoun è la punta dell’iceberg del finanziamento a gruppi estremisti o terroristi, la «pista dei soldi» , che l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia (Uif), traccia seguendo le raccomandazioni stabilite dalla Financial Action Task Force (Fatf), organismo intergovernativo che dal 2001 promuove strategie di contrasto e prevenzione del finanziamento al terrorismo. Nella relazione dell’Uif di quest’anno, sull’attività del 2023, si legge che sono arrivate alla Banca d’Italia 297 segnalazioni, da parte «di intermediari finanziari, professionisti e altri operatori». Gli istituti bancari e le Poste hanno mandato 120 segnalazioni di operazioni sospette, note con l’acronimo «Sos». In calo rispetto al 2022, ma «quasi un terzo delle segnalazioni è stato inviato dopo la metà di ottobre, a seguito dell’attentato del 7 ottobre». L’80 per cento (239 sulle 297 totali) proviene dalle regioni italiane centrosettentrionali. La Lombardia ha il primato assoluto di Sos relative al finanziamento del terrorismo (18,3 per cento), seguita da Lazio e Campania. Secondo la Banca d’Italia «le aree meridionali più interessate sono quelle esposte alle rotte migratorie marittime (la costa siciliana e le coste orientali di Calabria, Puglia e Abruzzo, con 21 Sos in totale) oppure con maggiore insediamento di popolazione immigrata proveniente anche da Stati a rischio di terrorismo (per esempio la Campania, con 16 Sos)». Anche nel Nord Italia la maggiore concentrazione di segnalazioni, rispetto alla popolazione residente, riguarda «i punti di accesso dei flussi migratori in Italia (quali Trieste)».

Lo scorso anno sono arrivate alla Uif ben 104 richieste informative dall’estero «relative a fenomeni di sospetto finanziamento del terrorismo». In gran parte riguardano nominativi collegati ad «associazioni del settore non profit, al fine di accertare la presenza di attività anomale di sostegno a gruppi operanti nelle zone del conflitto medio-orientale». Fin dal 2014 l’Onu lanciava l’allarme per «l’abuso delle associazioni non governative, no-profit e delle organizzazioni caritatevoli da parte dei terroristi». Il rapporto annuale della Uif evidenzia l’alto numero di segnalazioni «relative a reti di rimesse effettuate da possibili facilitatori di terroristi attraverso l’uso di money transfer e carte prepagate». Ancora più allarmante il «numero crescente di casi che ha riguardato l’utilizzo di piattaforme attive nell’intermediazione in cripto-assets (valute virtuali, ndr) per effettuare transazioni verso wallets (portafogli digitali, ndr)» collegati a «liste internazionali di soggetti sanzionati».

L’Unità di informazione finanziaria ha acceso i riflettori sui «rischi di contiguità al finanziamento del terrorismo, specie quando i fenomeni criminali coinvolgono il cosiddetto “estero vicino” o rotte di trasferimento di persone o merci che interessano l’Italia (traffico di migranti e riciclaggio)». La Banca d’Italia sottolinea che le rotte migratorie sono «logisticamente funzionali al trasporto di possibili foreign fighters o returnees (volontari jihadisti, ndr), nonché la possibilità che alcuni canali di trasferimento di flussi finanziari (settore money transfer e informali come la hawala) possano essere utilizzati tanto dalle organizzazioni criminali quanto da quelle terroristiche».

Alessandro Locatelli, economista della fondazione Icsa, evidenzia che «le rotte sono più o meno le stesse per tutti i traffici illeciti, soprattutto nella fascia nordafricana e del Sahel. I gruppi terroristici incassano un pedaggio sul tratto che controllano dai trafficanti di esseri umani». Locatelli, però, aggiunge: «Il limite è che la Banca d’Italia esercita controlli soltanto sul territorio nazionale. Il grosso del finanziamento ai terroristi arriva dai traffici di droga e del petrolio sfruttato soprattutto dall’Isis. Un business meno pericoloso per i gruppi jihadisti è quello delle sigarette e pure degli animali protetti commerciati principalmente in Asia, oltre alla razzia del patrimonio culturale».

Nell’ultimo rapporto del Gruppo di azione finanziaria dell’ottobre 2023 si elencano i casi che svelano la parte sommersa del finanziamento al terrorismo. Illuminante il capitolo sullo «Sfruttamento di iniziative umanitarie, caritatevoli o senza scopo di lucro» che si basano soprattutto sul crowdfunding, raccolta fondi di massa. Nel luglio 2023, la Polizia canadese ha accusato Khalilullah Yousuf e alcuni complici di gestire una rete di sostegno e reclutamento dell’Isis Khorasan, che pianificava attentati alle ambasciate a Kabul. «Yousuf ha realizzato svariate campagne di raccolta fondi su una piattaforma di crowdfunding fingendo di raccogliere denaro per scopi di beneficenza» si legge nel rapporto. Nel processo, ancora in corso, è risultato che «gli imputati hanno raccolto e trasferito circa 35 mila dollari in criptovalute e altri strumenti elettronici su portafogli e conti in bitcoin» per finanziare l’Isis. Noccioline in confronto all’organizzazione no profit parigina, che ufficialmente era nata «per migliorare le interazioni tra giovani francesi con culture diverse e organizzare viaggi a fini di apprendimento linguistico». In 18 mesi è stato versato sui suoi conti bancari in Francia «un milione di euro attraverso piattaforme di servizi di pagamento internazionali», altri 40 mila grazie al crowdfunding, 200 mila in contanti, 700 mila con assegni di singoli o imprese. Parte dei fondi erano dirottati a un movimento islamico radicale grazie agli stretti legami di tre membri del consiglio di amministrazione della no profit.

Un altro caso scoperto dal Faft-Gafi riguarda il «crowdfunding tramite voucher prepagati anonimi», che hanno permesso di raccogliere 250 mila euro in 10 mesi. I fondi servivano per far fuggire le jihadiste dell’Isis detenute nei campi curdi in Siria. La Financial Action Task Force ha una lista nera di Paesi per riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo. I primi tre sono Iran, Corea del Nord e Myanmar seguiti però da una «lista grigia» con ben 21 nazioni dal Venezuela alla Croazia fino alla Siria, lo Yemen e il Vietnam.

Icsa, la fondazione sulla cultura dell’intelligence e l’analisi strategica, ha scoperto che gli attentati terroristici sul suolo europeo degli anni del Califfato «non sono stati dispendiosi. Bastavano importi di poche migliaia di euro, che non necessitano di finanziamenti dalla “casa madre” e possono provenire da prestiti personali e stipendi o dai profitti di attività microcriminali». Una quarantina di attacchi jihadisti sono costati una media di novemila euro. Per l’attentato più complesso di Parigi del 2015, che ha provocato 138 morti, sono bastati 30 mila euro. Amedy Coulibaly, che sequestrò degli ostaggi a Parigi, aveva finanziato l’operazione con un prestito di 15 mila euro grazie a false buste paga. Non solo: «I prestiti agli studenti si sono rivelati un modo conveniente per finanziare i viaggi dei foreign fighters in Siria» sottolinea l’Icsa. Hezbollah ha addirittura fondato una banca, Al-Qard al-Hassan, che il 20 ottobre è stata bombardata dagli israeliani a Beirut e in tutto il Libano dove c’erano filiali.

Avichay Adraee, portavoce delle Forze di difesa dello stato ebraico, ha accusato la banca di «finanziare le operazioni del terrore di Hezbollah acquistando equipaggiamento militare e pagando i salari della costola militare». Nei caveau sotterranei erano custoditi milioni di dollari, molto oro e gioielli, pegno dei clienti per i prestiti. Dal 1983 la banca ha sostenuto con 4,3 miliardi di dollari famiglie ed imprese. L’attacco ad Al-Qard al-Hassan, che significa «prestito benevolo» avrebbe mandato in fumo fra il 30 e 40 per cento della cassa di Hezbollah. «La rete finanziaria del Partito di Dio, però, va ben oltre il Libano ed è attiva anche in America Latina» rivela Giacalone «con forte presenza sia in Venezuela che nella “Triple Frontera” tra Brasile, Argentina e Paraguay. E pure in Europa».

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Fausto Biloslavo