Il Mali nella morsa del terrorismo islamico
Il paese nel caos. In tre attacchi, attribuiti a "terroristi", sono morti almeno quindici soldati e tre civili, a Kalumba, Sokolo e Mopti (centro e ovest del Paese)
Ogni giorno che passa il Mali sprofonda sempre più nella violenza. Almeno diciotto persone, tra cui quindici soldati maliani e tre civili, sono state uccise mercoledì scorso in tre attacchi coordinati attribuiti a «terroristi» portando il loro numero a undici, in meno di una settimana nel Paese. Secondo un comunicato stampa firmato dal colonnello Souleymane Dembélé, direttore dell'informazione e delle pubbliche relazioni militari a Kalumba, vicino al confine con la Mauritania, il bilancio delle vittime è di dodici morti, tra i quali ci sono tre civili che lavoravano in un'impresa di costruzioni stradali. A Sokolo, nel centro nel Paese, l'esercito segnala 6 soldati morti e 25 feriti, di cui cinque gravemente. L'esercito afferma «di aver ucciso 48 assalitori e neutralizzato tre Pick-up con a bordo terroristi a circa 15 chilometri da Sokolo con occupanti stimati in una quindicina di combattenti e il loro equipaggiamento». Un terzo attacco secondo France 24 è avvenuto a Mopti , senza causare vittime, secondo la stessa fonte. L'esercito ha affermato «di aver sbaragliato gli aggressori».
Questi attacchi sono arrivati a cinque giorni dopo quello di Kati, al centro dell'apparato militare maliano, rivendicato dai jihadisti della Katiba Macina, affiliata ad Al-Qaeda. Questo attacco suicida commesso con due autobombe aveva ucciso un soldato maliano e ferito sei persone, tra cui un civile. Il giorno prima, una serie di raid quasi simultanei attribuiti a jihadisti aveva colpito sei diverse località del Mali, nelle regioni di Koulikoro (vicino a Bamako) oltre a Ségou e Mopti (al centro). Domenica scorsa un nuovo attacco, «sventato» secondo l'esercito maliano, aveva colpito anche il campo della guardia nazionale di Sévaré. È la prima volta dal 2012 che attacchi così coordinati hanno avuto luogo in un numero così elevato, alcuni dei quali vicino alla capitale. Il Mali è uno dei Paesi più poveri al mondo tanto che è al quintultimo posto nella classifica mondiale dello sviluppo umano stilata dalle Nazioni Unite e il 77% della sua popolazione stimata nel 2019 in circa 20 milioni di abitanti, vive con meno di due dollari al giorno. La mortalità infantile è altissima, ma nonostante questo secondo Overland «la quasi metà della popolazione ha meno di 15 anni».
Altro dato impressionante è quello della media di oltre 7 figli per donna un fatto che fa sì che il Mali abbia il secondo tasso di fertilità più alto del mondo. Il Mali, Paese senza sbocco sul mare che si trova nel punto nevralgico del Sahel, è stato teatro di due colpi di stato militari nell'agosto 2020 e nel maggio 2021. La crisi politica va di pari passo con una grave crisi di sicurezza in corso dallo scoppio, nel 2012, di insurrezioni separatiste e sanguinose azioni jihadiste nel nord del Paese. Nonostante la situazione di sicurezza sia sfuggita di mano, la giunta militare si è allontanata dalla Francia e dai suoi partner storici, preferendo affidarsi alla Russia per cercare di arginare la diffusione dello jihadismo.
Secondo Matteo Giusti africanista e saggista: «La situazione in Mali peggiora di settimana in settimana. Ormai nel grande Paese del Sahel nemmeno la regione della capitale è più sicura e i gruppi jihadisti si fanno sempre più baldanzosi. L’attacco alla base di Kati portato dal Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani insieme ai tuareg di Katiba Macina è significativo. Non solo perché la base di Kati è strategica e a solo circa 15 chilometri dalla capitale Bamako, ma soprattutto perché è dove risiede il presidente del Mali il tenente colonnello Assimi Goïta. Tutto il nord del Paese, noto come Azawad, è completamente in mano ai miliziani tuareg e ai gruppi locali affiliati ad al-Qaeda che dopo alcuni anni in cui sembrava cedere spazi allo Stato Islamico è tornata prepotentemente protagonista in Sahel». E che ne è della milizia privata russa Wagner Group per la quale il Mali paga dieci milioni di dollari al mese (che oltretutto non ha e per i quali si indebita ulteriormente) e che nei proclami iniziali doveva proteggere il Paese dai jihadisti? Per Matteo Giusti si tratta di un sostanziale fallimento: «Il Wagner Group non ha la forza necessaria per respingere l’avanzata jihadista, ne come uomini ne come mezzi. Gli sporadici tentativi di attraccare gli islamisti hanno portato a vere carneficine della popolazione civile come nel caso di Moura dovei mercenari russi hanno mitragliato un mercato dagli elicotteri. I russi stanno inoltre smantellando l’esercito maliano per evitare che possa opporsi ad ogni loro decisione, isolando il Paese sempre di più anche dalla missione dei caschi blu della Missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) in modo da causare un ritiro da parte dell’ONU». A questo proposito lo scorso 20 luglio la giunta militare di Bamako ha ordinato l'espulsione del portavoce della Minusma. Secondo un comunicato stampa ufficiale, Olivier Salgado «ha riferito informazioni inaccettabili» sul caso dei 49 soldati ivoriani detenuti per più di una settimana a Bamako. Questa decisione è arrivata in un contesto di relazioni già tese tra il Mali ei suoi partner internazionali. Il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ha concesso solo 72 ore al portavoce della Minusma per lasciare il Mali, secondo il comunicato stampa. Anche qui è evidente come Mosca soffi sul fuoco come ci conferma Matteo Giusti: «La Russia e molto brava a presentarsi come una potenza nuova e anticolonialista. In questo modo hanno accusato la Francia di voler solo sfruttare l’Africa e che con loro le cose sarebbero cambiate. I russi hanno poi addestrato molti giovani ufficiali africani, sia invitandoli a Mosca che con operazioni congiunte in loco. Questi ufficiali sono il grimaldello con il quale scardinano i regimi orchestrando i colpi di stato in Mali, Burkina Faso, Guinea e anche quello fallito in Guinea Bissau». Le autorità di Bamako ora temono che i jihadisti possano puntare sulla capitale, ad esempio, sull’aeroporto tanto è stato annunciato «un rafforzamento delle misure di controllo ai posti di blocco di accesso all'aeroporto di Bamako», inoltre sono stati esortati gli utenti «a ridurre gli spostamenti sui luoghi, salvo casi di necessità». Mercoledì il ministero degli Esteri francese ha collocato tutto il territorio maliano nella «zona rossa», cioè formalmente «sconsigliata ai viaggiatori, per il rischio di attentati e sequestri». Nella zona arancione ora rimane solo la capitale Bamako, vale a dire meglio non andare se non per motivi imperativi.