La casa di Naor Hasidim e della sua fidanzata Sivan Elkabets,  assassinati dai terroristi nell’ala giovanile del kibbutz il 7 ottobre 2023.
Dal Mondo

Il mio 7 ottobre 2023 - quinta puntata

Testimonianze e ricordi a un anno dell'aggressione di Hamas a Israele.

È il 12 febbraio 2024. Sono nel kibbutz di Kfar Aza dove dei 950 abitanti 63 sono stati uccisi e 19 rapiti. Di questi, mentre scrivo cinque sono ancora nelle mani dei miliziani di Hamas. Entro dentro la piccola casa di Naor Hasidim e della sua fidanzata Sivan Elkabets, entrambi ventitreenni, entrambi assassinati dai terroristi nell’ala giovanile del kibbutz quel 7 ottobre 2023. Un giorno nero per Israele, e per il resto del mondo. La coppia, cresciuta ad Ashdod, stava insieme da quando, ancora adolescenti, si incontrarono al liceo.

Man mano che avanzo tra i detriti e vedo le loro fotografie che li immortalano felici e sorridenti, mi tremano le gambe. Non c’è un centimetro della casa che non sia crivellato dai buchi dei proiettili, che sono centinaia. Penso al suono di quei colpi ripetuti, più acuti di un martello penumatico, e mi domando cos’abbiano pensato Naor e Sivan quando si sono resi conto di quello che stava per accadere loro, e non riesco a respirare. I genitori di questi ragazzi hanno voluto che i giornalisti documentassero l’orrore e la furia sadica che ho percepito a Kfar Aza, dove 24 corpi di donne e ragazze sono stati trovati spogliati, legati, mutilati - a volte tutte e tre le cose insieme - secondo i referti di ben otto medici volontari e due soldati israeliani accorsi sul posto.

Il tempo qui si è come fermato. Rimangono i giardini in fiore tra le case sventrate e bruciate, tra i detriti delle bombe a mano lanciate a caso contro civili inermi. Altre centinaia di fori di proiettili e macchie di sangue decorano muri, soffitti e porte delle case. Fuori i familiari hanno stampato manifesti con le foto delle vittime: quasi tutti volti di ragazzi e ragazze, giovani coppie morti o rapiti che qui a Kfar Aza avevano iniziato a convivere, per fare di questo piccolo kibbutz un angolo di paradiso privato.

Quella mattina, invece, tutto è stato spazzato via dalla furia sadica dei combattenti, cui si sono aggiunti dei «civili palestinesi», se così si può dire, arrivati a decine «per finire il lavoro»: cioè portare via con sé i cadaveri come trofei a Gaza city, e rubare tutto ciò che manca loro nella Striscia. Per gli abitanti dei kibbutz quanto accaduto è una beffa atroce, perché gli assalitori si sono accaniti contro dei pacifisti convinti e tendenzialmente di sinistra, gli stessi che passavano la loro vita a portare aiuti nella Striscia di Gaza. Aiutavano quelle stesse persone che una mattina sono entrate nelle loro case per ammazzarli. Oggi, infatti, gli abitanti di Kafr Aza ti dicono cose come: «Ci fidavamo di loro e li aiutavano, ma ora non più possibile, è una sensazione nuova con la quale dobbiamo convivere. Noi vogliamo restare qui in sicurezza, ma adesso sappiamo cosa accade fuori da qui. Non potremo mai dimenticare».

Scatto il maggior numero di fotografie affinché possa raccontare che cosa è stato fatto in questo bellissimo luogo. Un massacro cieco e sistematico di ogni essere vivente, ebreo o meno, israeliano o thailandese, neonato o anziano. L’Idf, le forze armate israeliane, hanno rinvenuto opuscoli religiosi che spronavano all’azione e mappe per guidare i terroristi nelle numerose aree di operazione. Ogni villaggio era suddiviso in zone operative e il massacro affidato a unità distinte. Segno di una lunga e complessa pianificazione. Gli stessi palestinesi che pochi giorni prima si abbracciavano con gli agricoltori che fornivano loro verdure e sementi, li hanno freddati in nome di una faida ormai quasi secolare, che neanche capiscono più bene. La terra, dicono. Ma qui a terra ci sono solo sangue e polvere.

Esco dall’ennesimo edificio, sono stomacato e non riesco trattenere la commozione. Piango. Il 7 ottobre 2023 è stato compiuto un massacro nel sud di Israele da parte delle organizzazioni terroristiche palestinesi, per volere di Hamas, che qui torreggia e tiene in pugno una popolazione tra le più povere e disperate al mondo. In tutto, nei raid sono state assassinate 1.200 persone di ogni età. Oltre 240 persone sono state rapite, compresi neonati, bambini, donne e anziani: saranno merce di scambio fino alla fine dei combattimenti. Molti di loro non torneranno mai a casa dai propri cari.

Dopo che il governo di Israele ha iniziato a reagire, riversando tutta la sua rabbia sulla Striscia di Gaza, il conflitto si è allargato al Libano, alla Siria e ha coinvolto persino lo Yemen, dove si saldano le istanze delle milizie sciite fedeli all’Iran con la strategia di Teheran, che qui in Medio Oriente gioca un ruolo pericoloso da potenza regionale, finanziando Hamas come Hezbollah, le milizie libanesi, e sostenendo il regime siriano degli Assad.

Sono loro ad aver fornito i mezzi e a volte coordinato direttamente gli attacchi contro Israele a colpi di mortai, razzi, missili anticarro e da crociera, in alcuni rari casi anche utilizzando vettori balistici. Altrove nel mondo, le reazioni sono state le più disparate: in alcuni casi, come negli Stati Uniti e in Francia, si sono verificati episodi di antisemitismo, più di mille in tutto il mondo in poco meno di tre mesi. Mai avrei potuto immaginare di vedere le piazze europee, persino quelle italiane, piene di persone inneggianti ad Hamas e alle altre organizzazioni jihadiste; e lo stesso valga per il clamoroso silenzio delle donne, che insistono a manifestare in favore di un’ideologia che le vorrebbe ridotte alla schiavitù e al silenzio, loro che invece possono essere libere e indipendenti in questa pur imperfetta democrazia. Donne che non dicono una sola parola sulle bambine stuprate e trucidate quel giorno, come se in realtà tutto questo non fosse mai esistito.

C’è persino chi ha accusato Israele di aver lasciato correre intenzionalmente questo eccidio, altri che ritengono che i soldati di Gerusalemme abbiano contribuito direttamente alle stragi e dunque che il governo abbia complottato contro il suo stesso popolo, sostenendo Hamas per un non meglio definito obiettivo finale: poter muovere guerra nella Striscia cancellandola definitivamente. Ma la terra non si cancella, l’orrore resta indelebile, la morte non si aggiusta.

La certezza che ricavo da questa pur limitata esperienza è che un Medio Oriente pacificato e prospero, così come le intese sui «Patti di Abramo», o ancora un futuro di amicizia tra questi popoli confinanti non può avvenire in questa regione. Non senza una nuova guerra. Perché Hamas è uno strumento in mano al governo dell’Iran. E l’Iran degli ayatollah (non certo quello delle nuove generazioni che lottano contro il loro potere) vuole soltanto generare caos, ed è ormai fin troppo evidente come il 7 ottobre 2023 abbia lanciato intenzionalmente una jihad globale che punta contemporaneamente al predominio sciita del Medio Oriente, e alla riduzione di Israele in cenere.

Da Ottobre nero. Il dilemma israeliano da Hamas all’Iran (Paesi edizioni)

@riproduzione riservata

I più letti

avatar-icon

Stefano Piazza