Il mio 7 ottobre 2023 - terza puntata
Testimonianze e ricordi di Celeste Vichi Presidente dell'Unione di Associazioni pro Israele a un anno dell'aggressione di Hamas a Israele.
Il mio 7 ottobre 2023 è iniziato la mattina alle 8.00, sui social giravano le prime notizie di un attacco che somigliava al consueto lancio di razzi provenienti da Gaza e quella terribile “normalità” cui la guerra a bassa intensità da sempre ci aveva abituato. Con il passare delle ore emergeva, invece, la drammaticità del terrore che si stava consumando al confine sud del Paese: la cattura degli ostaggi, il susseguirsi delle immagini di brutalità e violenza nei kibbutzim, le orride grida festanti della gente e Gaza. Un nuovo pogrom si consumava davanti ai nostri occhi, era proprio vero, era la storia che si ripeteva. All’improvviso ci siamo ritrovati di fronte al cambiamento di un paradigma: Israele, per la prima volta dalla sua fondazione, appariva indifeso, vulnerabile, sembrava venuto meno al contratto sociale per cui era stato fondato, secondo cui mai più gli ebrei avrebbero dovuto essere vilipesi, perseguiti, massacrati.
Alla profonda angoscia dei primi giorni ho provato a dare uno spazio razionale a quanto accaduto. Cercando di andare al di là dei sentimenti e del disorientamento. Il 7 ottobre rappresenta la testimonianza chiara della strategia dell’orrore che stava di fatto lentamente accerchiando Israele. A sud Hamas, una forza terroristica che è andata ben oltre il consolidamento del suo potere e che ha posto in atto il suo primario obiettivo: l’eliminazione dello Stato di Israele e del suo popolo. A nord Hezbollah le milizie sciite, stretta filiazione dell’Iran, vero interprete dell’integralismo islamico che vede nel cancellare Israele dalla carta geografica il senso della sua stessa esistenza. A est la Giudea e la Samaria i territori riconquistati da Israele dopo l’invasione Giordana del 1948. Lì un’Autorità Palestinese corrotta e inconsistente, che non è più in condizioni di controllare quei gruppi terroristici capaci di trasformare l’altipiano che domina la pianura più popolosa di Israele in una base missilistica e di artiglieria dalla quale altri massacri potevano arrivare. Il 7 ottobre ha fatto prendere coscienza che il nemico non agisce con un esercito convenzionale, ma con una strategia che fa delle carneficine, degli stupri, della distruzione l’arma che può cancellare l’identità e la dignità di un popolo.
Cosa doveva fare Israele di fronte a questo assedio? Con chi negoziare di fronte a chi esiste solo per il tuo sterminio? La scelta è stata drammatica e il 7 ottobre ha segnato la fine di ogni soluzione pacifica, poiché il popolo palestinese, come quello libanese, è ostaggio di organizzazioni criminali che non perseguono assolutamente la creazione di uno Stato indipendente, ma dominano nel terrore e col terrore e solo per uno scopo, radicarsi, dominare, distruggere Israele in un disegno che appartiene all’integralismo islamico, che sogna l’espansione del grande califfato e la sottomissione di qualsiasi popolo che non si riconosca nell’Islam. Sicuramente il fronte tra mondo occidentale e l’integralismo passa per Gerusalemme e noi siamo davanti allo scontro tra queste due dimensioni. Non è un caso che due portaerei americane, la Uss Truman e Roosvelt stazionino davanti ad Haifa assieme a un sottomarino nucleare pieno di Tomahawk.
E tuttavia il 7 ottobre è un punto di non ritorno come politica e come strategia che vede anche alleati silenziosi della legittima reazione di Israele. Vi è un mondo arabo che a differenza del 1973, durante la Guerra del Kippur, si è guardato bene dal porre in atto il ricatto petrolifero o qualsiasi altra forma di pressione. Riyhad, che ha iniziato un percorso di normalizzazione dei rapporti con Israele e l’Occidente, prima del 7 ottobre stava per firmare gli Accordi di Abramo ed ha sospeso da più di due anni ogni finanziamento al terrorismo. Barhein EAU, Marocco, Sudan avevano già preso questa direzione di normalizzazione con Israele dal 2020. Per questo mondo islamico l’Iran - che con il suo integralismo utilizza il terrorismo come arma - rappresenta un pericolo per due ragioni: da un lato, può fare leva anche sulle masse arabe, e dall’altro, proprio attraverso il terrorismo e il suo ricatto, rappresenta una minaccia costante per ogni forma di potere strutturato.
Di fronte all’attacco di Israele a Gaza e in Libano molti dicono che all’orrore lo Stato Ebraico risponde con l’orrore, ma non riescono ad accettare che non può esistere nessun accordo possibile con il terrorismo. Accordarsi con il terrorismo è legittimarlo, farlo crescere e permettergli di riorganizzarsi. Un individuo o un popolo che si consegnano al terrorismo, si consegna al martirio: come diceva Sinwar il terrorismo ha bisogno del sangue dei palestinesi. Non si può prescindere da questa lettura.
La posta in gioco non è (solo) la tragica conta dei morti e (solo) il problema della sopravvivenza di Israele, ma il ribaltamento una serie di equilibri di potere che condannerebbero il Medio Oriente all’integralismo islamico e all’arretratezza, come hanno conosciuto tutti quei popoli che invece oggi esultano a vedere eliminati i loro assassini di ieri. In Siria, Libano, Iran la gente comune oppressa da quei regimi festeggia per i successi militari di Israele che va decapitando la leadership terrorista.
E’ stupefacente vedere, invece, come in Occidente e in Italia le piazze, nel loro radicale antiamericanismo, inneggiano ad Hamas ed Hezbollah, con lo slogan “free palestine” e alimentano il vecchio e il nuovo antisemitismo e le fantasie di una congiura sionista. E’ di queste ore mentre si scrive che si sono tenute manifestazioni a Milano evocando l’idea del complotto sionista argomento tipico della propaganda nazista e fascista che aborriva le democrazie pluto giudaico massoniche. La inevitabile reazione israeliana ha riacceso in Europa e nel mondo un sentimento mai sopito di odio contro gli ebrei, dimostrando che la faccia attuale dell’antisemitismo è l’antisionismo, a tal punto che un ebreo o un cittadino italiano che sostiene Israele, come chi scrive, dovrebbe essere messo all’indice e punito perché condivide le scelte strategiche di un altro Stato. L’antisemitismo è un archetipo millenario che appartiene alla nostra cultura, mai sopito e che riemerge violento ogni qualvolta le circostanze socio-politiche ne riattivano il suo portato di odio, che oggi si sostanzia contro Israele e nuovamente contro tutti gli ebrei e i loro sostenitori. Sicuramente se l’antisemitismo è legato a una visione del mondo ebraico come capro espiatorio al quale sono state attribuite le colpe dell’umanità, vedere oggi che Israele ribalta il suo destino difendendosi con lucidità e determinazione è destabilizzante. L’ebreo condannato culturalmente a essere vittima oggi reagisce, oggi non è più Shoà.
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