Il mondo secondo Trump
Interessi comuni nell’economia e nella difesa. E poi controllo dell’immigrazione. il 47esimo presidente degli Stati Uniti avrà un dialogo necessario con l’europa. Anche per allentare le tensioni con la russia e il medio oriente.
>La vittoria di Donald Trump ha portato alcuni commentatori a ipotizzare scenari apocalittici nei rapporti politici tra gli Stati Uniti e il Vecchio continente. Il presidente americano in pectore viene dipinto come un nemico dell’Europa, pronto ad abbandonarla a se stessa o a spaccarla al suo interno, con il preciso scopo di indebolirla. Davanti a queste previsioni, viene da chiedersi: ma le cose stanno veramente così?
Cominciamo proprio dal nostro Paese. L’Italia potrebbe guadagnare dalla politica estera della nuova amministrazione Trump. Il tycoon ha infatti intenzione di ripristinare la logica degli Accordi di Abramo con il primario intento di promuovere un riavvicinamento tra israeliani e sauditi, rispolverando al contempo la politica della «massima pressione» sull’Iran. Ebbene, non è affatto escluso che il 47esimo presidente degli Stati Uniti possa puntare a estendere gli Accordi di Abramo anche al Maghreb: non dimentichiamo d’altronde che, nel dicembre 2020, il Marocco siglò la normalizzazione dei rapporti con Israele. Guarda caso, ad agosto dell’anno scorso, emerse che il premier del governo di Tripoli, Abdul Hamid Dbeibah, stesse accarezzando l’idea di normalizzare le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. Fece poi marcia indietro a causa delle polemiche interne, ma intanto un’apertura c’era stata. Sempre l’anno scorso, il presidente tunisino, Kaïs Saïed, bloccò un disegno di legge che avrebbe criminalizzato ogni tentativo di normalizzare le relazioni tra la Tunisia e Israele.
Insomma, non si può escludere che, con il ritorno di Trump, Tunisi e Tripoli riaprano a questo scenario, considerando anche il fatto che il tycoon, da presidente, tenne una linea piuttosto ostile nei confronti della Fratellanza musulmana. Ecco che dunque il ruolo del governo di Giorgia Meloni potrebbe rivelarsi quello di un mediatore: un ruolo magari integrabile nel Piano Mattei. Non è del resto un mistero che l’attuale esecutivo italiano abbia stretto significativi rapporti con Tunisia e Libia. Inoltre, Trump potrebbe, più in generale, puntare su Roma come forza stabilizzante per il Nordafrica, visti anche i suoi rapporti non esattamente idilliaci con la Francia di Emmanuel Macron. Senza poi trascurare che il Piano Mattei intende rilanciare l’influenza occidentale sul continente africano anche per arginare la crescente longa manus di russi e cinesi in quest’area strategica. Un aspetto che certo verrà considerato con interesse dalla nuova amministrazione repubblicana, che mira a recuperare influenza in Africa: soprattutto dopo che, durante gli anni di Joe Biden, Washington si è vista costretta a ritirare i propri soldati dal Niger.
D’altronde, il tema della stabilizzazione del Nordafrica e del Sahel è funzionale anche ad arginare i flussi migratori diretti verso le nostre coste. E proprio il contrasto all’immigrazione irregolare potrebbe rappresentare un ulteriore anello di congiunzione tra l’Europa e la seconda amministrazione Trump. Da presidente, il tycoon ebbe parole di elogio per quei governi europei che avevano applicato delle strette all’immigrazione clandestina, anche perché, soprattutto durante la campagna elettorale per le elezioni di metà mandato del 2018, utilizzava la questione in chiave di politica interna. Tale dossier potrebbe quindi rappresentare l’occasione per rafforzare ulteriormente i suoi rapporti, all’interno dell’Unione europea, con l’Ecr e i Patrioti. Non dimentichiamo che, negli scorsi mesi, Trump ha avuto incontri sia con il presidente polacco, Andrzej Duda, sia con il premier ungherese, Viktor Orbán. Inoltre, nel suo entourage, si registra grande simpatia per Giorgia Meloni. Se l’asse tra Trump e la destra europea dovesse saldarsi, Ecr e Patrioti potrebbero rafforzare il proprio peso politico in seno all’Unione europea, soprattutto a fronte del progressivo indebolimento di Macron e del partito socialdemocratico tedesco, quest’ultimo oggi nel mezzo di una crisi di governo gravissima.
Ed è qui che veniamo a un altro nodo: quello della Nato. Chi sostiene che Trump abbandonerebbe unilateralmente l’Alleanza atlantica, fa un grossolano errore di valutazione. Quello che quasi certamente accadrà è che chiederà ai Paesi membri di portare i propri contributi economici alla Nato ad almeno il 2 per cento del Pil: una richiesta che, va ricordato, il primo a formulare fu Barack Obama nel lontano 2014. Certo, qualcuno ricorda che, a febbraio, Trump minacciò di lasciare alla mercé della Russia gli alleati morosi. Tuttavia si omette anche di dire che quelle controverse parole furono pronunciate durante un comizio per le primarie repubblicane in South Carolina, davanti a un elettorato fortemente isolazionista. Tra l’altro, anche volesse, Trump non potrebbe abbandonare l’Alleanza senza l’assenso del Congresso.
Infine, molti ignorano un ulteriore punto: e cioè che la nuova amministrazione Trump non guarderà di buon occhio alle proposte volte a creare un esercito europeo che finirebbe con ogni probabilità sotto la direzione della Francia. Uno scenario, questo, che non sarebbe nell’interesse nazionale italiano. La Meloni, dal canto suo, potrebbe invece giocare di sponda con Trump per rilanciare il fianco meridionale dell’Alleanza atlantica: il che rafforzerebbe enormemente il ruolo di Roma nel Mediterraneo e, al contempo, aiuterebbe la Nato stessa a contrastare l’influenza in Africa di cinesi e russi. La domanda da farsi a questo punto è: come cambieranno, se cambieranno, i rapporti tra Stati Uniti e Russia? Una certa vulgata si ostina a dipingere Trump come un «putiniano». Eppure, anche in questo caso, la narrazione non trova riscontro nella realtà. Da presidente, Trump impose le sanzioni al gasdotto Nord Stream 2, fornì i missili Javelin all’Ucraina e chiuse il consolato russo di Seattle. Non fu quindi esattamente tenero con Mosca. Quello che potrebbe accadere, con il suo ritorno alla Casa Bianca, è che riprenda un dialogo con la Russia per cercare di sganciarla dalla Cina. È anche verosimile che possa tentare la strada diplomatica sul conflitto ucraino, ma è improbabile che si affidi a una politica di appeasement: un’eventualità, questa, che Trump rischierebbe di pagare nel cruciale quadrante dell’Indo-Pacifico (si veda l’approfondimento a pag. 18). Quello che il neopresidente potrebbe semmai fare è avviare dei negoziati dopo aver ripristinato la capacità di deterrenza degli Stati Uniti, azzoppata dal suo predecessore: in altre parole, potrebbe trattare, sì, ma con la proverbiale pistola sul tavolo. Infine, bisogna tener presente che le frizioni tra Usa e Russia riguardano (anche) la fornitura energetica all’Europa. Trump avrà infatti tutto l’interesse a tutelare gli Stati americani che producono ed esportano gas (a partire dalla Pennsylvania). È quindi piuttosto improbabile che, soprattutto su questo punto, si registri un eccesso di armonia con Vladimir Putin.
Come si può vedere, il ritorno di Trump alla Casa Bianca non rappresenta la completa débâcle dell’Europa che superficialmente si preconizza. Certo, trattare con lui potrà non rivelarsi semplice. Ma evocare oscure nubi all’orizzonte non è intellettualmente onesto. Anche perché è stato Biden ha sbattere la porta in faccia agli alleati europei durante il ritiro dall’Afghanistan ad agosto 2021. Ed è stato sempre Biden a siglare l’Inflation Reduction Act, creando degli attriti con la Commissione Ue sul piano commerciale. Senza trascurare che il presidente americano uscente sta lasciando in eredità un Medio Oriente assai più instabile di quello che aveva trovato, creando così non pochi problemi anche al Vecchio continente. Prima di fasciarsi la testa gridando alla sciagura, forse sarebbe meglio guardare dove ci ha portato l’America negli ultimi quattro anni. Siamo troppo ottimisti su Trump? Potrebbe anche essere. Ma di una cosa siamo certi: peggio dell’amministrazione Biden-Harris, il nuovo presidente non potrà fare.