La fuga di Assad tra aeroplani spariti nel nulla e basi russe
Con il quasi certo aiuto di Mosca l'ormai ex Presidente siriano è riuscito a lasciare il Paese inosservato.
La fuga del presidente siriano Bashar al-Assad è degna di essere raccontata in un film. Da quanto si apprende da varie fonti, l'arrivo della famiglia di Assad all'aeroporto di Damasco sarebbe avvenuta con molto anticipo rispetto alla presa dell'infrastruttura da parte dei ribelli, abbastanza per consentire a un volo cargo di prepararsi e decollare verso una destinazione sconosciuta alle 4:55 ora locale. Si trattava dello Ilyushin Il-76T (marche YK-ATA) operato dalla compagnia Syrian Air come SA9218, dapprima diretto verso est, ovvero verso il confine tra Siria e Iraq, quindi abbassatosi di quota per poi virare verso la costa mediterranea della Siria, ma anche verso la base russa di Tartus, ovvero una postazione logistica e strategica che Mosca mantiene operativa da un decennio, quando già accorse in aiuto del regime siriano.
Stando alle prestazioni di salita rilevate dai siti di tracciamento, si evince che il velivolo non fosse stato riempito alla massima capacità consentita, che si avvicina alle 40 tonnellate, ma che anzi, fosse relativamente leggero. Ma non per questo era un volo sicuro: dopo la salita e la rotta in quota, l'aeroplano ha sorvolato la città di Homs, già in mano ai ribelli. Qui, se i rivoltosi avessero avuto le giuste informazioni e l'accesso a missili antiaerei, avrebbe potuto essere compiuta un'azione di abbattimento. Invece tutto tranquillo, tanto che i fatti fanno pensare che la Difesa russa abbia agito in modo preventivo con una “bonifica” delle possibili minacce allo spazio aereo, oppure da Mosca stessero controllando attentamente i movimenti e le dotazioni dei ribelli. Lo Il-76T ha proseguito poi verso nord-est prima di invertire bruscamente la rotta quando ha raggiunto la catena montuosa costiera della Siria, dove pareva tornare verso Homs prima di scomparire del tutto dai siti di tracciamento dei voli, alle 5:32 locali, ovvero meno di un'ora dal decollo, in una posizione non lontana dalla base aerea siriana di Al-Qusayr.
Difficile, in questi casi, dare fiducia ai dati del Gps (che in quell'aerea viene disturbato), tuttavia nei 20 minuti precedenti alla scomparsa della traccia, l'indicazione di un rateo di discesa pronunciato di 2.430 piedi al minuto (750 metri al minuto), ma non eccessivo o irrealistico per quel tipo di aeroplano, e la diminuzione della velocità da 442 nodi (819 km/h) a meno di 90 nodi (166 kmh), fino quasi a 35 nodi (65), se inizialmente aveva portato taluni media a pensare all'atterraggio d'emergenza e finanche all'abbattimento, potrebbe invece indicare l'atterraggio su una pista non indicata, forse neanche preparata (probabilmente in terra battuta), per consentire l'appuntamento con un velivolo o un trasporto differente. Oppure, più probabile, che il segnale Gps sia stato deliberatamente soppresso per far sparire il volo, unitamente ai transponder di bordo, mentre questo virava per la sua vera destinazione, volando lungo le valli che portano al Mediterraneo. Anche perché Al-Qusayr, a 35 km da Homs, è vicina al confine con il Libano e protetta da montagne, pertanto un aeroplano che vola a bassa quota è meno rilevabile dai radar. Difficile dire se da quel momento Assad e la sua famiglia hanno quindi potuto salire su un elicottero per sorvolare la Siria occidentale coprendo i circa 135 km fino ad atterrare presso la base aerea di Hmeymim (Latakia), oppure se ci siano arrivati a bordo dello stesso Ilyushin YK-ATA, ma in quel caso i satelliti avranno gioco facile a rilevare un grande velivolo come lo Il-76T fermo al parcheggio.
Sulla base di Latakia sono presenti i russi che effettuano collegamenti continui verso Mosca e altre destinazioni, non stupisce quindi il fatto che, qualche ora dopo, i siti di tracciamento abbiano rilevato un volo con codice militare che proprio da questa pista è decollato per arrivare direttamente fino a Mosca, ovviamente evitando lo spazio aereo ucraino e, anzi, percorrendo una rotta sicura, sviluppata il più possibile sopra il territorio turco e poi russo. La notizia sarebbe stata confermata anche da un alto funzionario israeliano, dopo che l'intelligence statunitense aveva ipotizzato una fuga di Assad verso gli Emirati Arabi Uniti. Dalla notizia della fuga da Damasco fino alla dichiarazione russa di arrivo a Mosca, i tempi sono compatibili con quelli dell'operazione aerea descritta, con l'equipaggio siriano che pare abbia seguito le istruzioni dei russi volando sotto la loro guida. Invece, nella caduta di Damasco è stata centrale la figura di Hakan Fidan, ex numero uno dei servizi segreti turchi (che ha guidato dal 2010 al 2023), e oggi ministro degli Esteri. Suo, guarda caso, il primo annuncio della fine del regime siriano e la dichiarazione che Ankara fosse già in contatto con i ribelli da giorni per “garantire la sicurezza” nel Paese. Proprio lui, insieme con il ministro della Difesa Yaşar Güler, avevano predisposto un'operazione di controllo dello spazio aereo dalla serata di venerdì 6 dicembre, quando i caccia turchi avevano intensificato le missioni di pattugliamento ai confini con la Siria, mentre i droni effettuavano continue missioni nel cielo delle regioni dell'Anatolia dell'est e del sudest, nonché del Mar Nero. Ovvero lungo la potenziale rotta di un volo che da Damasco volesse dirigersi direttamente verso la Russia.