La guerra di Putin in Ucraina è la semplice regola del più forte
Il leader russo ha fatto quello che nessuno si aspettava con un piano preciso in testa che l'occidente, debole, non può fermare
Panico in Europa. La guerra è infine cominciata. La Russia ha iniziato la campagna d’Ucraina. «L’ora più scura» l’hanno definita in contemporanea Londra e Bruxelles, senza neanche consultarsi. Alle 5:51 ora di Mosca, le truppe russe hanno passato il confine da più fronti: Donbass, Crimea, Kharkiv e Bielorussia. La mossa, cui fino alla fine i diplomatici europei non hanno voluto credere, ha preso corpo e ha còlto di sorpresa tutta l’Unione Europea, che si trastullava ancora con blande sanzioni economiche e dichiarazioni felpate per non «offendere» il signore dal gas.
Va detto che, al contrario, per una volta gli americani avevano fiutato il pericolo. Gli avvertimenti dell’intelligence Usa avevano pieno fondamento e Washington per una volta non aveva enfatizzato con numeri inventati e immagini satellitari artefatte. Non ha però intercettato il messaggio registrato di Putin con cui il presidente della Federazione russa dichiarava l’attacco contro «i terroristi» ucraini, che gli ha dato un vantaggio tattico di almeno una settimana nelle operazioni.
Lo Speciale sull'invasione dell'Ucraina
Del resto, non ci si poteva aspettare troppo dall’intelligence Usa: è la stessa che, nell’ora altrettanto buia della ritirata dall’Afghanistan, valutava che il governo di Kabul avrebbe resistito all’inconsistenza dei talebani per almeno sei mesi (i talebani, invece, hanno preso il controllo del Paese in una manciata di giorni). Però, ha il merito di aver puntato il dito sulla Russia, mentre le agenzie d’intelligence europee guardavano altrove.
Tutti abbiamo sentito il Cremlino affermare che le preoccupazioni Usa erano solo «propaganda occidentale», «fake news», eccetera. Oggi, però, Vladimir Putin ha rotto gli indugi e gettato infine la maschera: dopo aver de facto assorbito la Bielorussia commissariando il governo di Minsk, ora vuole prendersi anche Kiev, dove già stamani mig russi sorvolavano minacciosi la città, mentre le sirene suonavano l’allarme per l’imminenza di un possibile bombardamento.
Si vedrà come intende farlo. Intanto, il presidente Zelensky ha imposto la legge marziale al grido di «gloria all’Ucraina», proprio mentre piovevano i primi bombardamenti sulle infrastrutture-chiave un po’ in tutto il sudest del Paese, senza che Kiev potesse far alzare in volo i propri mezzi aerei.
In ogni caso, l’attacco russo è di grande portata, una manovra concentrica che punta a stritolare l’ex satellite russo in breve tempo: un blitzkrieg, una guerra lampo che sancisca una «gloriosa vittoria» per l’uomo forte del Cremlino, senza però determinare per questo un’invasione totale. Dal Donbass a Odessa, il progetto è mettere in sicurezza le aree russofone e ridurre l’Ucraina a un’enclave innocua, che faccia da cuscinetto al blocco Nato con un governo fantoccio eterodiretto dal Cremlino.
Vladimir Putin vuole determinare la caduta dell’attuale governo filo-occidentale di Kiev e provocare un classico regime change, che installi un suo fedelissimo nel palazzo presidenziale. Lo stesso palazzo che fu preso d’assalto nel 2014, quando i ribelli di «Euromaidan» scesero in piazza fino a costringere alla fuga l’ex presidente filorusso Viktor Yanukovich. Putin non ha certo dimenticato quell’affronto, ed esattamente otto anni dopo si sta prendendo la sua vendetta.
«Deponete le armi» ha intimato alle forze armate ucraine. «La storia è con noi» ragiona il presidente russo, sempre più fiero della sua strategia. Che al momento appare vincente perché impressionante nei numeri e nella capacità operativa. Ma, si sa, dopo lo choc iniziale, c’è sempre una fase di lucidità e ragionamento. Ed è quello che più conta adesso: una risposta lucida e sensata alla prova di forza di Mosca va pur data. Anzitutto, analizzando il diritto internazionale.
Svincolando ciò che accade da presunti paletti etici di diritto internazionale, va ricordato che, invero, questa non è «la prima guerra in Europa dalla seconda guerra mondiale», come sostengono molti commentatori e analisti in queste ore. La Nato ha mosso guerra alla Serbia nel 1999 nel contesto della guerra del Kosovo che, a parti invertite, rassomiglia molto a quanto sta accadendo tra Russia e Ucraina.
All’epoca, infatti, - siamo negli anni Novanta - con la disgregazione dell’ex Jugoslavia la Serbia volle cogliere l’occasione storica per realizzare il progetto di una Grande Serbia, e rispose alla proclamazione di indipendenza delle repubbliche di Slovenia e Croazia con la guerra: i vertici militari serbi, guidati da Slobodan Milosevic erano determinati a capeggiare la regione. Ma quando anche gli autonomisti del Kosovo di origine albanese dichiararono la volontà di rendersi indipendenti, i serbi scatenarono anche nei loro confronti una durissima repressione, che colpì soprattutto i civili.
Fu a quel punto che intervenne la Nato, imponendo alle truppe jugoslave di lasciare il Kosovo per essere sostituite da forze di pace internazionali a garanzia che si mettesse fine alla «pulizia etnica» da parte di Milosevic e che i profughi potessero tornare alle loro case. E lo fece con durissimi bombardamenti sulla Serbia, fino a piegarla. Eppure, ancora oggi il confine kosovaro è il punto debole d’Europa, un colabrodo attraverso cui migranti e criminali passano impunemente e dove i negoziati sotto l’egida dell’Onu per la definizione dello status del Kosovo, non hanno ancora portato a nulla di definitivo.
La Nato parlava allora di smilitarizzare il Kosovo come oggi Putin parla di «de-militarizzazione e de-nazificazione» dell’Ucraina? È ciò che pensano in molti al Cremlino e non soltanto. Chi ha ragione? Il problema è tutto nel fatto che difficilmente possono trovare pace quei Paesi nati con un tratto di penna segnato sulla carta geografica all’indomani di una guerra: tanto per restare in Europa (senza tirare in ballo le solite Siria e Iraq), vale per la Cecoslovacchia e appunto l’Ucraina, un’entità e un’etnia per metà polacca e metà russa. Nessuno ricorda mai la divisione della Cecoslovacchia, soltanto perché è avvenuta pacificamente, mentre c’è da credere che ricorderemo a lungo il disfacimento dell’Ucraina.
Se le frontiere della seconda guerra mondiale erano in parte irrealistiche, e un nazionalista come Putin non può soprassedervi, quel che più conta e preoccupa è ora la consapevolezza che riportare la guerra in Europa non è comunque un fatto da poco.
Il presidente russo ha messo la Nato e l’Unione Europea spalle al muro. Che fare? Sanzioni senza precedenti, come dice la presidente della Commissione europea Von Der Leyen? O risposta militare? We stand by Ukraine, «Siamo al fianco dell’Ucraina» sono corsi a dichiarare i vertici politici dell’Unione. Ma è davvero così? «Senza ambiguità», dicono le cancellerie europee. Eppure, la sensazione è che staremo tutti a guardare Vladimir Putin che impone le proprie ragioni con le armi e con il dinamismo bellico. E che per questo riesce a prevalere. È la dura e incontrovertibile legge del più forte.