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(Ansa)
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Macron-Le Pen, la Francia divisa al voto

Testa a testa nei sondaggi alla vigilia delle attese elezioni presidenziali

Salvo sorprese eclatanti, il primo turno delle elezioni presidenziali francesi di domenica porterà a un nuovo duello tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Secondo i sondaggi pubblicati da Le Parisien, il presidente uscente resta al momento in testa con il 26,5 % dei consensi. La leader del Rassemblement National lo tallona al 23%, sfruttando tra l’altro un trend favorevole che le starebbe permettendo di accorciare le distanze in questi ultimi giorni. Di molto staccati risultano invece gli altri candidati principali, con Jean-Luc Melenchon al 16,5% ed Eric Zemmour appaiato a Valerie Pecresse all’8,5%. Se quindi il primo turno dovesse –come sembra– portare Macron e la Le Pen al ballottaggio, la domanda da porsi è come sceglierà di schierarsi l’elettorato francese nel momento decisivo.

Innanzitutto è plausibile attendersi un’affluenza non troppo alta: già nel 2017, pur restando comunque considerevole, fu significativamente inferiore rispetto alle elezioni presidenziali del 2012 e del 2007. Un secondo fattore abbastanza prevedibile è che Macron cercherà di sfruttare la dinamica della “santa alleanza” contro la rivale: un fattore, questo, che lo portò alla vittoria cinque anni fa. Il terzo elemento da considerare è come si comporterà il campo della destra che, come noto, risulta profondamente frastagliato. Il fatto che, secondo i sondaggi, dovrebbe essere alla fine la Le Pen a prevalere in quell’area dimostrerebbe che i Repubblicani hanno sbagliato ad affidarsi a un profilo eccessivamente centrista come quello della Pecresse. Zemmour, dal canto suo, viene probabilmente visto invece più come un candidato di bandiera un po’ velleitario (se non addirittura una serpe in seno, lanciata appositamente per disarticolare il fronte della destra). La domanda da porsi è quindi la seguente: i voti dei tre candidati conservatori sono o non sono sommabili in vista del ballottaggio? Al momento, la risposta non è molto chiara.

Sull’exploit della Le Pen bisogna inoltre andare con i piedi di piombo. Già alla vigilia delle ultime elezioni regionali si preconizzavano significativi successi per il Rassemblement National, che registrò poi tuttavia dei risultati piuttosto deludenti. È pur vero che voto locale e voto nazionale seguono delle logiche differenti. Bisogna tuttavia ancora capire se Marine Le Pen punti realmente all’Eliseo o se il suo obiettivo sia quello dell’opposizione perenne (come sembrò quasi lasciare intendere dal disastroso duello televisivo che ebbe con Macron nel maggio del 2017).

Macron, dal canto suo, resta un presidente politicamente debole, con un consenso vacillante. Già non brillò in termini di voti cinque anni fa. Inoltre – in questi anni – ha mostrato numerosi limiti. Si pensi ai problemi di gestione in materia di immigrazione e sicurezza, senza poi trascurare una politica estera improntata a una Grandeur fondamentalmente velleitaria (che non gli ha risparmiato di prendere sonori schiaffi, come accaduto di recente nel Mali). Tra l’altro, pur restando in testa, i sondaggi stanno fotografando difficoltà crescenti per il presidente uscente. Nonostante ciò, Macron resta al momento il favorito, perché può contare sulla difficoltà di disarcionare un presidente in carica (difficoltà che non va confusa tuttavia con l’impossibilità, come insegna la sconfitta di Nicolas Sarkozy nel 2012 e quella di Valery Giscard d'Estaing nel 1981). Ma non è solo questo il punto. Macron può infatti anche contare su una destra divisa e su una sinistra che – oltre all’eventuale 16% di Melenchon – di fatto non esiste.

Insomma, è probabile che, con queste nuove elezioni, si inneschi il paradosso di una (debole) vittoria macroniana, nell’ambito di un Paese in cui l’elettorato continua tuttavia a spostarsi sempre più a destra. Certo: forse le cose andranno diversamente, nessuno del resto ha la palla di vetro. Ma non siamo esattamente sicuri che il variegato mondo conservatore francese abbia lavorato adeguatamente per mandare a casa un presidente politicamente debole come Macron.

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Stefano Graziosi