Le spoglie dei marò, finalmente a casa (con l'impegno di Panorama)
Una cerimonia toccante, lo scorso 13 dicembre al sacrario di Bari, è l’epilogo della vicenda dei soldati italiani uccisi sull’isola di Ossero, in Croazia, nell’aprile 1945. Grazie all’identificazione delle spoglie, ora restituite ad alcuni parenti, si rende onore alla memoria di quei caduti.
Mattia Carta stringe fra le mani la cassetta grigia avvolta nel tricolore. Sopra c’è il cartellino con un nome: Francesco Demuru, 21 anni. «Era la volontà di mio nonno di riportarlo a casa. Ora tornerà in Sardegna, a Posada, nel paese dove è nato». Accanto la madre di Mattia e nipote del caduto, Maria Antonietta Demuru, trattiene a stento le lacrime: «L’emozione è troppo forte». Dalla Sardegna sono arrivati in sei, al sacrario dei caduti d’oltremare di Bari per la consegna delle spoglie terrene di zio Francesco, uno dei giovani marò trucidati a Ossero, oggi in Croazia, dai partigiani di Tito nella notte fra il 21 e 22 aprile 1945. Dopo quasi 80 anni quelle ossa, che erano state catalogate come «caduto ignoto» hanno un nome e un cognome, grazie all’identificazione del Dna reso possibile da Panorama. Demuru è uno degli 11 caduti di Ossero riconosciuti, sui 21 marò della X Mas e 6 militi locali del battaglione Tramontana, riesumati nel 2019 da due fosse comuni dietro il muro della chiesa di Ossero.
«Emilio Biffi, Ettore Brogi, Gino Civolani. Ermanno Coppi, Francesco De Muro, Dino Fantechi, Mangolini Giuseppe Enea Gesualdo, Luciano Medri, Aleandro Petrucci, Iginio Sersanti, Fabio Venturi». Vengono scanditi i nomi di tutti i trucidati a guerra finita al monumentale sacrario di Bari, che custodisce i resti di 75 mila soldati italiani caduti nella Seconda guerra mondiale.
La cerimonia del 13 dicembre, è dedicata alla consegna ai familiari di quattro urne con le spoglie identificate. Le altre sette rimarranno al sacrario, ma nella sezione «caduti noti». Il rullo dei tamburi accompagna i 27 militari che portano tutte le urne dei soldati di Ossero, davanti ad un picchetto d’onore, ai familiari e alle autorità. Quando viene suonato il «silenzio» l’atmosfera è commovente. Il 21 aprile 1945 i marò si erano arresi, sull’isola di Cherso, ultimo lembo d’Italia. I partigiani slavi li hanno sottoposti a una marcia della morte, vessandoli in ogni modo, per poi denudarli e ucciderli senza processo sul bordo della fossa comune che doveva nascondere i corpi e farli dimenticati per sempre. Il primo a svelare la storia celata dei marò trucidati a Ossero è stato il capitano Federico Scopinich. Licia Giadrossi, presidente degli esuli della Comunità di Lussinpiccolo, presente alla cerimonia, ha contattato Panorama nel 2019: «Volevamo dare ai resti un nome e cognome. Grazie alla vostro testata è stata organizzata una raccolta fondi per l’impresa» che ha coinvolto anche il quotidiano la Verità. Con le oltre 300 donazioni, per un totale di 26.293 euro, è partito il progetto che ha coinvolto la Difesa, le università di Bari e Trieste. Riccardo Maculan, ex carabiniere, con una minuziosa ricerca ha rintracciato i familiari dei marò per l’esame del Dna. Il primo passo è stato «analizzare i resti, ricomponendoli, per stabilire le cause della morte» spiega Francesco Introna, docente di Medicina legale a Bari. «Abbiamo trovato i fori dei proiettili alla nuca e anche a colpi di mazza ferrata». Poi una selezione delle ossa è stata presa in carico da Paolo Fattorini dell’università di Trieste: «Per eseguire la comparazione genetica dei resti con il Dna dei campioni che ci sono stati forniti da 14 famiglie». Il successo è insperato: 11 spoglie vengono identificate. Non si tratta di riscrivere la storia o riabilitare la X Mas. Il generale Andrea Rispoli, che guida l’«Ufficio per la tutela della cultura e della memoria della Difesa» afferma alla cerimonia che «garantire una degna sepoltura a tutti i caduti dei conflitti è un dovere morale e civile dello Stato, indipendentemente dal contesto storico o da distinzioni politiche o ideologiche».
Il cappellano militare benedice le 27 cassette avvolte nel tricolore, allineate fra due ali di giovani militari di tutte le armi. Poi il generale dei carabinieri consegna le quattro urne che i familiari vogliono riportare definitivamente a casa. «Questo è mio zio. Lo portiamo nella tomba di famiglia a Gabicce Mare» spiega emozionatissimo Orlando Sersanti, che ha fornito il Dna per il riconoscimento delle spoglie di Iginio. Tarcisio Arca è il nipote di Fabio Venturi, che nel 1945 aveva solo 21 anni. «Rientrerà a Terni, come desidera mia madre ancora in vita» dice. «E chiederemo la medaglia degli infoibati riconosciuta alle vittime dei partigiani di Tito». Ermanno Baldasarri riporta in Toscana le spoglie dello zio, Ermanno Coppi, trucidato a 19 anni. «Lo seppelliremo a fianco dei genitori, che hanno atteso il figlio per una vita. Il monito di questa giornata è riconoscere la bestialità della guerra, che fa a pezzi l’umanità». n
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