Un mese fa il via alla guerra Israele-Hamas. Ecco chi tra i protagonisti ha fatto bene e chi no
Tel Aviv, Gaza ma anche USa, Iran, Russia, Turchia e persino l'informazione e l'opinione pubblica. Cosa ne è di questo primo mese di guerra in Medio Oriente
Sono passati trenta giorni da quella mattina del 7 ottobre, quando Hamas con le Brigate Izz al-Din al-Qassam iniziarono «l’operazione alluvione Al-Aqsa» in Israele. A morire decapitati, sgozzati, accoltellati oppure sotto i colpi degli AK47 sono stati almeno 1.400 israeliani tra i quali tanti bambini e neonati sorpresi nei loro letti e nelle culle, mentre i feriti sono più di 2.400. I terroristi hanno anche preso almeno 242 ostaggi che sono nei loro piani una sorta di assicurazione sulla vita tanto che proseguono sull’asse Doha- Washington-Gerusalemme delicate trattative per il loro rilascio. Un abominio quello messo in atto dai jihadisti di Hamas che non potrà mai essere dimenticato e che di fatto cambierà il volto del Medio Oriente e non solo.
Dopo il durissimo colpo sferrato da Hamas, Israele ha reagito prima bombardando le roccaforti dell’organizzazione terroristica, poi con operazioni di terra «mordi e fuggi» ed ora con l’operazione di terra denominata «Spada di Ferro». Un primo bilancio fatto dal ministero della Salute di Gaza parla di almeno 9.700 morti palestinesi ma su queste cifre ci sono molti dubbi come dichiarato dal presidente americano Joe Biden: «Non ho alcuna idea che i palestinesi dicano la verità su quante persone sono state uccise. Non ho fiducia nel numero che i palestinesi stanno usando». In ogni caso la popolazione civile di Gaza, usata come scudo umano dai terroristi di Hamas che impediscono ai civili di andarsene, sta pagando il prezzo più alto. Finora aviazione, marina ed esercito israeliani hanno colpito più di 2.500 obiettivi nella Striscia. Israele fino ad oggi ha lasciato cadere nel vuoto ogni appello di cessate il fuoco con il premier israeliano Benjamin Netanyahu che domenica scorsa ha affermato: «Non ci sarà cessate il fuoco fino al ritorno dei nostri ostaggi. Lo abbiamo detto ai nostri amici e nemici. Andremo avanti finché non li avremo sconfitti». L’obbiettivo dichiarato la cui cattura o uccisione potrebbe forse anticipare la fine dell’assalto terrestre è il leader di Hamas a Gaza Yahya Sinwar, mentre gli altri capi dell’organizzazione terroristica vivono come nababbi in Qatar. «Lo prenderemo e lo elimineremo» ha affermato sabato il ministro della Difesa Yoav Gallant. Poi domenica si è rivolto al popolo palestinese: «Se lo ammazzate prima che lo facciamo noi, questo renderà più breve la guerra».
Al termine dell’offensiva militare israeliana nell’enclave palestinese gli Stati Uniti in accordo con Gerusalemme vogliono istituire «una nuova realtà di sicurezza con una terza parte che se ne assuma la responsabilità». Sabato ad Amman (Giordania), il segretario di Stato americano Antony Blinken ha presentato il suo piano che prevede in primo luogo l’eliminazione da Hamas da Gaza, poi l’intervento di una forza di pace dell’Onu con la presenza certa di militari arabi per garantire la sicurezza e la gestione di Gaza post conflitto, infine l’affidamento all’Autorità nazionale Palestinese (ANP) del governo della Striscia. Previsto anche l’incentivo economico con lo scongelamento di tutti i finanziamenti stanziati ai quali accederebbe anche la Cisgiordania. Se ciò avvenisse la strada per un negoziato di pace sarebbe spianata, così come potrebbe essere realtà il «due popoli, due Stati». I ministri degli Esteri dei principali paesi arabi coinvolti nel conflitto hanno riconosciuto che un ritorno allo status quo prima del 7 ottobre sarà impossibile. Trenta giorni di guerra bastano per fare un primo bilancio e ci consentono di fotografare le mosse di tutti gli attori coinvolti.
Hamas
L’organizzazione terroristica aveva messo in conto la reazione di Israele ma certamente non credeva che gli israeliani arrivassero fino a questo punto e ormai il suo destino nella Striscia è segnato. I Paesi arabi a parte l’Iran, si sono limitati finora ad una serie di dichiarazioni infuocate anche per placare le piazze fanatizzate dalla propaganda tuttavia, non hanno seguito Hamas nella folle avventura della guerra totale ad Israele. Hamas ha commesso l’errore che fece Osama Bin Laden con l’11 settembre 2001: colpì al cuore l’America ma la sua organizzazione venne militarmente distrutta e non è mai più stata la stessa e Bin Laden dovette fuggire dall’Afghanistan dove viveva protetto dai Talebani, per essere ucciso in Pakistan dove viveva in povertà (lui che era stato multimilionario), dai Navy Seals americani il 2 maggio 2011. Un’organizzazione terroristica anche se ben armata, finanziata e organizzata non potrà mai vincere contro uno Stato e lo stesso varrà per Hamas che certamente perderà molti dei finanziamenti che riceve ogni anno perché ormai quasi tutti i suoi hub finanziari sono stati scoperti. Il Qatar grande finanziatore di Hamas dovrà necessariamente fare un passo di lato, così come i leader di Hamas dovranno lasciare il Paese in direzione Teheran dove non si vive bene come a Doha. Tutte cose che gli americani hanno fatto sapere agli emiri di Doha che stavolta non potranno fare spallucce.
Israele
L’attacco del 7 ottobre scorso e la successiva reazione di aviazione, marina ed esercito israeliani che hanno colpito più di 2.500 obiettivi nella Striscia di Gaza serviranno a distruggere Hamas ma la storia di Israele nato nel 1948 avrà un prima e un dopo il 7 ottobre. Nulla sarà come prima e non solo nei rapporti con i palestinesi e il mondo arabo. I clamorosi errori di valutazione della minaccia terroristica da parte del governo con in testa il premier Benjamin Netanyahu sanciranno la fine della sua carriera politica e con lui se ne andranno tutti i capi militari e quelli dell’intelligence che hanno commesso errori drammatici. La popolazione con in testa i familiari degli ostaggi vuole le dimissioni di Netanyahu e di tutti coloro che hanno sbagliato. E così sarà. Dopodiché l’intera partita postbellica verrà gestita da una nuova leadership che si troverà di fronte un compito gigantesco. Per questo andrà sostenuta e aiutata nei passaggi più delicati vedi il rapporto con l’ANP.
Iran
Gli ayatollah sono i veri mandanti della guerra e hanno agito così perché temevano che l’Arabia Saudita aderisse formalmente ai Patti di Abramo. L’Iran sapeva che sauditi e israeliani da mesi discutevano anche con gli Usa, degli assetti futuri nella Striscia che non prevedevano di certo Hamas. Attraverso i suoi proxy continua a far lanciare missili dalla Striscia, dallo Yemen, dal Libano contro Israele, così come fa attaccare le basi Usa in Iraq. È un gioco pericoloso attaccare gli USA nell’area e di questo potrebbero presto pentirsi così come non è da sottovalutare il fronte interno che ribolle da mesi.
Hezbollah
La milizia sciita che condiziona la vita del Libano, continua a lanciare razzi contro Israele e minaccia la guerra totale come da input di Teheran. Lo scorso 4 novembre il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha tenuto un discorso che era molto atteso perché in molti pensavano che avrebbe dichiarato guerra ad Israele. In diverse capitali regionali, da Beirut a Damasco, da Sana’a a Baghdad, erano state organizzati luoghi pubblici per poter ascoltare il discorso del leader libanese. Alla fine però la delusione è stata palpabile perché Nasrallah è stato accusato di non avere coraggio. Il giorno dopo il principe saudita Abdulrahman bin Mosaad ha attaccato il leader di Hezbollah, dopo che il leader del terrorismo libanese aveva tenuto un discorso in cui elogiava Hamas e minacciava Israele e gli Stati Uniti. Tuttavia, il principe saudita ha respinto l’idea di un «Asse della Resistenza» guidato dall’Iran, anti-israeliano e anti-americano, considerandola una grande menzogna. «Non c’è dubbio che l’Asse della Resistenza sia una grande menzogna. I 100.000 missili e le enormi armi di cui Hezbollah dispone non hanno nulla a che fare con il sostegno alla causa palestinese», ha affermato Mosaad. Il principe saudita ha poi accusato il regime degli ayatollah di sfruttare il conflitto di Gaza come strumento politico per promuovere la propria agenda e la propria influenza in tutta la regione del Medio Oriente. «Il cosiddetto Asse della Resistenza si occupa da anni della questione palestinese ed è solo un mezzo per attuare l'agenda iraniana nella regione», ha aggiunto Mosaad. Lo scontro tra sauditi e iraniani è dunque iniziato.
Qatar
Per decenni ha finanziato Hamas e le altre organizzazioni terroristiche ma ora si trova con le spalle al muro perché il 7 ottobre 2023 non verrà mai dimenticato. Ora ha l’occasione per tagliare il cordone ombelicale con il terrorismo ma non sarà semplice visto che gli emiri di Doha proteggono la Fratellanza mussulmana organizzazione terroristica globale che in accordo con gli ayatollah ha voluto la guerra. Se Doha continuerà a schierarsi con Hamas e quindi con l’Iran, pagherà un prezzo altissimo con la possibilità che con i sauditi tornino gli screzi del recente passato.
Autorità Nazionale Palestinese (ANP)
Il vecchio leader Abu Mazen ha l’occasione insperata che cercava. Con la fine di Hamas ha la possibilità di dare un nuovo corso alla storia del Medio Oriente e del popolo palestinese. A lui coglierla ma non sarà certo semplice vincere le resistenze interne ma oggi non c’è nessun altro che può svolgere questo compito.
Russia
Da chi ha invaso l’Ucraina non ci si poteva aspettare nulla di buono e così è stato. Vladimir Putin in chiave anti-occidente si è schierato con Hamas facendo arrivare persino i leader dell’organizzazione terroristica a Mosca ricevuti al ministero degli Esteri. Poi ha rilasciato una serie di dichiarazioni grottesche nelle quali ha parlato di diritti umani a proposito della popolazione di Gaza e lo stesso ha fatto Sergej Lavrov suo ministro degli Esteri.
Turchia
Recep Tayyip Erdogan, a sua volta fratello musulmano, dall’inizio della crisi si è subito proposto come il grande difensore del popolo palestinese davanti alle folle musulmane e per questo ha anche aizzato la sua popolazione contro Israele lanciando attacchi verbali contro Benjamin Netanyahu e contro gli Usa. Era quindi molto atteso l’incontro di ieri ad Ankara tra il Segretario di Stato americano Antony Blinken e il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan. La nota stampa dello staff di Blinken dice testualmente: «Il Segretario Blinken e il ministro degli Esteri Fidan hanno discusso del conflitto Israele-Hamas, inclusa la necessità di prevenire la diffusione del conflitto in tutta la regione. Entrambi hanno concordato sull’importanza fondamentale di proteggere i civili e di garantire che l’assistenza umanitaria raggiunga i civili a Gaza. Il Segretario e ministro degli Esteri Fidan hanno sottolineato l'importanza della cooperazione di lunga data tra Stati Uniti e Turchia come alleati della NATO e le priorità di sicurezza euro-atlantiche, compresa l'adesione della Svezia alla NATO». Si direbbe che l’astuto Erdogan nelle piazze grida mentre si mostra conciliante lontano dalle telecamere. Forse ha capito che i paesi arabi non lo riconoscono come guida? Difficile dirlo ma presto lo capiremo.
Media
Come visto più volte, le stragi del 7 ottobre 2023 in Israele sono state presto dimenticate e da settimane ormai la narrazione dominante è quella palestinese che è infarcita di bugie, video falsi e ogni genere di mistificazione. La vicenda del missile lanciato dalla Jihad islamica caduto nel parcheggio dell’ospedale al-Shifa di Gaza City che secondo alcuni aveva fatto «500 morti palestinesi» non è servita a nulla. Per capirlo basta accendere la televisione ogni sera, leggere alcuni giornali, oppure leggere le cronache che raccontano con accondiscendenza le manifestazioni di sostegno ad Hamas in tutto il mondo. E la pace quando arriverà? Golda Meir quarto premier d'Israele e prima donna a guidare il governo del suo Paese disse: «La pace arriverà quando gli arabi ameranno più i loro bambini di quanto odino noi».