Monda: «Alle elezioni di Midterm di fatto hanno perso tutti»
Il noto scrittore, giornalista ed intellettuale commenta quanto ha detto l'elezione molto temuta dai democratici che, alla fine, hanno fermato l'onda di Trump (che non c'è stata)
Mentre prosegue lo spoglio dei voti all’indomani delle elezioni di Midterm, un dato risalta immediato: l’avanzata dei Repubblicani alla conquista della Camera bassa, mentre il Senato resta ancora in bilico in attesa dell’esito di alcune sfide testa-a-testa. E così, all’indomani delle elezioni di Midterm -l’appuntamento elettorale che cade a metà esatto di ogni mandato elettorale, quando i cittadini americani sono chiamati a rinnovare gran parte del Congresso, determinando il destino dell’agenda della Casa Bianca nei due anni successivi e in vista delle presidenziali successive - Antonio Monda, giornalista, scrittore e intellettuale italiano di casa a Manhattan, non ha dubbi: «è andata molto meno bene del previsto per Trump: ancora c’è da attendere per il risultato finale della Georgia, ma la temuta “ondata Rossa”, ovvero l’affermazione maggioritaria dei Repubblicani, non si è verificata».
Antonio Monda è sicuramente l’italiano che meglio conosce la vicenda americana contemporanea: scrittore, docente presso il “Film and Television Department” della New York University, ci restituisce uno spaccato della New York dei nostri giorni, un vero e proprio manifesto politico-culturale che interpreta la vicenda contemporanea della capitale di questo Stato-Continente, due anni dopo l’elezione di Joe Biden a Presidente, primo inquilino di una Casa Bianca chiamata a rappresentare gli oltre 330 milioni di cittadini della più grande potenza economico-politica del mondo occidentale.
Monda risponde alle domande di Panorama.it dalla sua casa di Manhattan, con vista su Central Park: ne esce fuori una conversazione carica di sfumature, di aneddoti e di dubbi (per la gioia dei suoi lettori, sicuramente…), la cui soluzione affidiamo alla sua ben nota frequentazione del mondo a “stelle e strisce”.
Professore, i suoi connazionali hanno appena votato per le Midterm…
«Parto da un dato illuminante. Quando nell’autunno del 2016 Donald Trump venne eletto 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, a New York raccolse circa il 19% dei consensi, ottenuti principalmente a Staten Island, uno dei cinque quartieri della città, in cui ebbe il 48%. A Manhattan Trump era invece sotto l’8%. Se ci spostiamo ad analizzare il punto di vista dei contenuti, risalta immediato come queste elezioni abbiano evidenziato che sarà il tasso di inflazione a deciderle, ancora di più dell’aborto e l’elezione della nuova Corte Suprema. Temi certamente importantissimi, ma che per la grande maggioranza degli americani passano insecondo piano rispetto a quanto costi la benzina, il pane o altri beni di prima necessità».
Monda, lei è di parte: a New York abita e lavora, e alla sua città ha dedicato molti romanzi…
«Ho un rapporto epidermico con la Grande Mela, come negarlo! Sin dal mio arrivo nel 1994, per ben cinque anni ho lavorato come super, una sorta di portiere, di uomo tutto fare, all’interno di uno stabile dell’Upper East Side, il quartiere più esclusivo di Manhattan».
A proposito di romanzi, ognuno è ambientato in un decennio diverso
«Già, con personaggi ricorrenti. Il primo romanzo della serie è L’America non esiste, ambientato negli anni cinquanta a cui ha fatto seguito La casa sulla roccia (anni sessanta), Ota Benga (anni dieci), L’indegno (anni settanta), L’evidenza delle cose non viste (anni ottanta), Io sono il fuoco (anni quaranta) e Nel territorio del Diavolo (anni novanta), Il principe del mondo (anni venti) e Il numero è nulla (anni trenta), che uscirà il prossimo marzo. Sono legati da temi etici e spirituali, e dal il tentativo di riflettere sul senso ultimo dell’esistenza, senza mai abbandonare il contatto con la realtà…».
Ritorniamo a parlare dei risultati politici, partendo da New York.
«Non dimentichiamo che è la città di origine proprio di Donald Trump, originario del Queens, il secondo più popoloso distretto della città. A New York non hanno preso bene il suo già annunciato ritorno sulla scena politica nazionale, a due anni dalle presidenziali del 2024 che lo vedranno probabile candidato per i Repubblicani: per essere realisti, il suo ritorno annunciato è visto come una jattura assoluta, e lo penso anche io».
Antipatia personale o c’è qualcosa di più sostanzioso?
«È un barbaro, rozzo e violento, che disprezza le persone, in particolare le donne, e le istituzioni. Tornando ai risultati, l’unico presidente che è riuscito a vincere prima le Midterm nel 1982 e poi le presidenziali del 1984 con la percentuale del tasso di inflazione superiore al 7% -quindi un valore simili a quello di oggi- è stato Ronald Reagan: anch’egli era detestato a New York come lo erano i due George H. e George W. Bush, ma c’è una differenza di fondo, nessuno dei presidenti repubblicani del passato, come anche Richard Nixon, si era mai spinto al punto di essere l’ispiratore di un assalto a Capitol Hill».
Per i newyorchesi quella collina è praticamente sacra…
«Capitol Hill sorge vicino al centro del Distretto di Columbia: la storia americana ci racconta che quando iniziò a sviluppare il suo piano per la nuova capitale federale, nel 1791, l’architetto e urbanista Pierre Charles l’Enfant, parigino di nascita naturalizzato statunitense, scelse di collocare la sede del Congresso, ossia il Campidoglio, esattamente sulla cresta della collina, in un luogo che identificò come un “piedistallo in attesa di un monumento”. La sua storia è ammantata dal mito, ed è un luogo che ha una dimensione sacra non solo per i newyorkesi ma per tuti gli americani».
I commentatori internazionali hanno notato la particolare violenza verbale di Trump nei confronti del governatore della Florida Ron DeSantis.
«La frase pronunciata da Trump nei confronti del giovane DeSantis (“Evita il 2024, so cose di te poco lusinghiere”) è sicuramente segno di nervosismo in vista della campagna per le presidenziali del 2024, quando i due si affronteranno probabilmente per le primarie del partito repubblicano: il giovane governatore potrebbe scalzarlo dalla corsa finale alla Casa Bianca».
Quell’espressione sa tanto di minaccia!
«Lo è e la dice lunga su chi è Trump. Si deve anche ricordare l’appoggio che l’ex-presidente gli offrì all’epoca della campagna elettorale per il governatorato della Florida nel 2019. In realtà non è una novità il tono acceso, minaccioso e spesso volgare che connota la campagna elettorale americana: gli aneddoti si sprecano…».
Beh, ci racconti qualche episodio, allora…
«Nel 1977, alle primarie del partito democratico per le elezioni alla carica di sindaco della città di New York si sfidavano Ed Koch che poi avrebbe vinto e sarebbe rimasto in carica sino al 1989, e Mario Cuomo, che tra il 1983 e il 1994 sarebbe stato governatore dello Stato di New York. Il primo era omosessuale, ed affrontò la campagna elettorale senza averlo rivelato. Ebbene, sapete cosa usò Cuomo per i suoi poster elettorali? La scritta “Vote Cuomo not the Homo” (“Votate Cuomo, non l’omosessuale”). Stiamo parlando di un uomo politico di qualità, che è stato un ottimo governatore, eppure, in campagna elettorale si abbassò sino ad arrivare a questa meschinità. Già 45 anni fa la violenza verbale connotava la vita politica americana».
Lei prima ha citato Ronald Reagan, presidente repubblicano per due mandati consecutivi, tra il 1980 ed il 1988. Altro stile…
«Trump non rappresenta una conseguenza logica nell’evoluzione politica del partito repubblicano, quanto la sua degenerazione. I Repubblicani hanno avuto grandi presidenti, come Abraham Lincoln, 16° presidente tra il 1861 ed il 1865, a cui si deve l’abolizione della schiavitù, Theodore Roosevelt 26° presidente tra il 1901 ed il 1909, riformista e interventista: è con lui che l’America diviene la nazione più importante del pianeta».
E su Reagan cosa ci dice?
«Il mio è un giudizio di luci e ombre: si deve a lui e a Papa Giovanni Paolo II la sconfitta del comunismo, ed è stato anche un eccellente comunicatore, basta ricordare quel “butti giù quel muro, Mr. Gorbaciov”. Ma non si può dimenticare ad esempio il suo silenzio sull’AIDS. Oggi rimane il secondo presidente più amato dagli americani, alle spalle di Franklin Delano Roosevelt».
Veniamo ai risultati: quante sorprese!
«A spoglio ancora aperto, pare che i repubblicani abbiano strappato sei seggi alla Camera, mentre al Senato i due partiti sono in perfetto equilibrio. Ha trionfato il repubblicano Ron DeSantis, riconfermatosi governatore della Florida e, come dicevamo, avversario di Trump alle presidenziali; la democratica Maura Healey è la prima donna e prima gay governatrice del Massachusetts (quanto lontani sono gli anni della sfida Koch-Cuomo…); ancora tra i democratici si registra il successo di Wes Moore, eletto primo governatore afroamericano nella storia del Maryland; addirittura il 25enne Maxwell Frost, il più giovane tra gli eletti al Congresso, è il primo della c.d. Generazione Z, quella dei nati tra il 1997 e il 2012».
Hanno perso i colonnelli di Trump.
«Altro aspetto che mi lascia sorpreso, come nel caso di Mehmet Oz, notissimo cardiologo che la televisione aveva trasformato in una star -“Dr Oz”- grazie all’endorsement di Oprah Winfrey, che poi lo ha ripudiato. Alla fine della conta, sembra che abbiano perso i candidati “trumpiani” più improbabili e aggressivi. Cioè quelli a sua immagine e somiglianza».
E alla fine della conta, appunto, cosa avverrà?
«Assisteremo certamente all’avanzata dei repubblicani, ma in termini numerici più risicati di quanto speravano, fermo restando il risultato al filo di lana al Senato. Questo non significa che sia andata bene per i democratici, che -infatti- perdono una delle due Camere, e sul cui risultato dovranno affrettarsi a riflettere. Ma per loro poteva andare molto peggio».
E sul versante democratico?
«Alla fine Joe Biden avrà resistito nel suo fortino, portando a casa un risultato inatteso e lusinghiero rispetto ai predecessori: alle elezioni di Midterm del 2018, Trump, perse 41 parlamentari, tra deputati e senatori, e Obama, in quelle del 2010, ne perse ben 63. Quindi Biden ha retto bene, una sorta di migliore tra i perdenti».
Torniamo a parlare di New York: dicono che sua moglie sia una sorta di “commander in chief” ai fornelli…
«Non solo ai fornelli, Jacquie è la regina della casa. Non amo fare nomi dei nostri ospiti, ma vengono in gran parte per merito suo».
Non ci dispiacerebbe cenare con Robert De Niro, Francis Ford Coppola, Al Pacino, Joel ed Ethan Cohen, piuttosto che con Martin Scorsese, Meryl Streep o Wes Anderson: attendiamo l’invito, allora!
«Panorama è sempre ospite gradito…».
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Antonio Monda, nato a Velletri nel 1962, giornalista, narratore, saggista e docente universitario presso il Film and Television Department della New York University, è uno dei più autorevoli conoscitori della letteratura americana contemporanea. Collabora a La Repubblica, Vogue e RAINews 24, dove tiene la rubrica “Central Park West”. Vive a New York dal 1994 con la moglie giamaicana, Jacqueline Greaves, e i figli Ignazio, Caterina e Marilù. Nel febbraio del 2015 è stato nominato direttore artistico della Festa del Cinema di Roma che ha guidato sino all’edizione del 2021: ha condotto per il TG5 la trasmissione di approfondimento televisivo Lettera da New York. Vincitore, tra gli altri, del Premio Cortina d’Ampezzo e del Premio Biagio Agnes, il 3 giugno del 2019 il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella lo ha insignito dell’onorificenza di Ufficiale al Merito della Repubblica. A marzo 2023 uscirà il suo nuovo romanzo “Il numero è nulla” (Mondadori), il nono della saga newyorkese.
Panorama.it Egidio Lorito, 10/11/2022