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(Ansa)
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La nuova incriminazione contro Donald Trump non convince

Scomparsa l'accusa di insurrezione, la linea del procuratore speciale, Jack Smith, rischia di cozzare contro il Primo Emendamento

Rischia di rivelarsi un’incriminazione piuttosto traballante quella presentata martedì contro Donald Trump dal procuratore speciale Jack Smith in riferimento al tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020. Gli aspetti tecnicamente controversi infatti non mancano.

La prima cosa che si nota è che l’ex presidente non è stato accusato di golpismo in relazione all’irruzione in Campidoglio del 6 gennaio 2021. Tra i capi d’imputazione non compaiono infatti i due reati che, secondo il codice americano, si riferiscono a tale fattispecie: vale a dire quelli di “insurrezione” e “sedizione”. Si tratta di una circostanza significativa. Nel 2021, i democratici avevano infatti messo Trump sotto impeachment con l’accusa di “incitamento all’insurrezione”. Era inoltre dicembre scorso, quando la commissione parlamentare sul 6 gennaio –i cui membri erano stati tutti nominati dall’allora Speaker dem della Camera Nancy Pelosi– raccomandò che Trump fosse incriminato proprio per “insurrezione”. Eppure, lo ripetiamo, tra i capi d’imputazione non compare né quello di insurrezione né quello di sedizione. Certo: è pur vero che il procurato ha accusato l’ex presidente di “conspiracy”: tuttavia va sottolineato che, nell’ordinamento americano, questo termine non identifica il golpe ma l’associazione per delinquere. Tutto questo significa che, nonostante i democratici abbiano per due anni detto l’esatto opposto, Smith non è riuscito a reperire prove concrete del fatto che l’irruzione in Campidoglio sia stata organizzata e diretta da Trump. D’altronde, già ad agosto del 2021 Reuters, citando fonti dell’Fbi, aveva rivelato che non erano emerse evidenze solide del fatto che quell’assalto fosse stato “centralmente coordinato”.

E quindi quali sono i capi d’imputazione presenti in questa nuova incriminazione? Il primo riguarda l’accusa di associazione per delinquere finalizzata a frodare gli Stati Uniti: un reato che, secondo l’accusa, Trump avrebbe commesso, sostenendo falsamente che le elezioni erano state caratterizzata da brogli. L’ex presidente è inoltre accusato di associazione per delinquere, finalizzata a impedire la certificazione dei voti elettorali da parte del Congresso e di aver anche commesso “ostruzione” per bloccare tale certificazione. L’ultimo capo d’imputazione è quello di “associazione per delinquere contro i diritti”: stando alla National Public Radio, tale fattispecie di reato “fu approvata dopo la Guerra civile per impedire ai membri del Ku Klux Klan e di altre organizzazioni simili di intimidire, molestare e terrorizzare apertamente gli elettori neri”. In poche parole, secondo l’accusa, Trump, con le sue azioni, avrebbe tentato di invalidare il voto degli elettori, ostacolando così un loro diritto costituzionale. Come si vede, tra i capi d’imputazione non compare né quello di insurrezione né quello di sedizione. Nell’incriminazione, il procuratore si limita a sostenere che l’irruzione in Campidoglio sarebbe stata favorita dalle tesi di Trump sui presunti brogli elettorali e che l’ex presidente avrebbe sfruttato quel grave episodio per mettere sotto pressione il Congresso. Smith non è tuttavia riuscito a stabilire un nesso causale tale da poter dimostrare che l’assalto sia stato organizzato, coordinato e diretto dall’allora presidente repubblicano.

Ma il naufragio della tesi del golpismo non è l’unico elemento da sottolineare nella nuova incriminazione. Quest’ultima appare traballante anche sotto un altro punto di vista. Gran parte dell’impianto accusatorio di Smith si basa infatti sulla convinzione che Trump abbia consapevolmente diffuso della disinformazione. Si tratta di un elemento problematico per almeno due ragioni. Innanzitutto, Smith sarà chiamato a dimostrare davanti a una giuria e al di là di ogni ragionevole dubbio che Trump diffondesse falsità e che ne fosse conscio: il che non è esattamente facile da provare. Nell’incriminazione, il procuratore sostiene fondamentalmente che l’ex presidente fosse consapevole di propalare fake news perché alcuni suoi consiglieri glielo avevano fatto notare. Tuttavia, da un punto di vista squisitamente tecnico, la difesa potrebbe ribattere che Trump era in buona fede, visto che i suoi avvocati lo avevano convinto del contrario. Per Smith non sarà quindi affatto facile dimostrare l’intenzionalità.

In secondo luogo, la linea dell’accusa è scivolosa perché rischia seriamente di infrangersi contro il Primo emendamento, che – ricordiamolo – salvaguarda la libertà di espressione. “Smith cercherà di criminalizzare false affermazioni politiche. Per catturare Trump, dovrà demolire il Primo emendamento e una serie di casi della Corte Suprema”, ha scritto su Usa Today Jonathan Turley, professore di diritto alla George Washington University. Quest’ultimo ha anche citato un precedente che potrebbe favorire l'ex presidente. “Nella sentenza del 2012 United States vs Alvarez, la Corte Suprema ha dichiarato con una maggioranza di sei a tre che è incostituzionale criminalizzare le bugie in un caso che coinvolge un politico che ha mentito sulle decorazioni militari”, ha scritto. Ricordiamo d’altronde che, dopo essere stata sconfitta da Trump alle presidenziali del 2016, Hillary Clinton ha continuato a sostenere falsamente che quelle elezioni le erano state rubate. Addirittura, nel settembre 2019, definì Trump un “presidente illegittimo”: ricordiamo anche che, ad aprile di quello stesso anno, l’inchiesta del procuratore speciale, Robert Mueller, aveva escluso che nel 2016 ci fosse stato uno sforzo coordinato tra il comitato elettorale di Trump e il Cremlino.

In definitiva, nessuno dubita che il 6 gennaio 2021 Trump abbia commesso un grave errore politico. E nessuno dubita che l’irruzione in Campidoglio sia stato un atto vergognoso e deplorevole. Resta però il fatto che l’incriminazione di martedì appare molto meno solida di quella sui documenti classificati: un caso, quest’ultimo, in cui il procuratore speciale detiene un audio, che difficilmente i legali di Trump potranno smentire o ribaltare in sede processuale. Con l’incriminazione di martedì, Smith rischia invece di aver fornito un clamoroso assist all’ex presidente.

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Stefano Graziosi