Finisce il sogno di Pedro Sanchez e della sinistra in Spagna
Le amministrative hanno costretto il premier alle dimissioni ed alle elezioni anticipate smentendo quella narrazione secondo cui la Spagna, e la sua sinistra, fossero un esempio per tutti
La decisione era già nell’aria da ore, quando i risultati delle amministrative di domenica rendevano ormai palese la disfatta elettorale per il premier e i socialisti. La sua assenza a Ferraz, quartiere generale dei socialisti a Madrid, per seguire lo spoglio, era stato un segnale chiaro. Forse non se la sentiva di affrontare i maggiorenti del partito, che non lo hanno mai amato e che da tempo aspettavano solo il momento per la resa dei conti interna. Evidentemente Pedro Sanchez, il premier spagnolo, non voleva affrontare i sei mesi che separano il paese dalle legislative previste a dicembre, in una situazione di logoramento interno. Così dopo una notte di riflessione, ha preso il coraggio a quattro mani ( caratteristica che non hai mai mostrato in questi anni di premiership, soprattutto nei confronti dei riottosi alleati di governo) e ha rassegnato le dimissioni, indicendo elezioni anticipate per il prossimo 23 luglio.
Ignacio Varela, noto analista politico e consulente dell’ex premier Gonzalez, era stato chiaro in un suo durissimo e lungo editoriale sul giornale online El confidencial dall’eloquente titolo "Sanchez non può essere il candidato socialista per le elezioni legislative”, in cui accusa esplicitamente Sanchez di essere stato troppo succube dei suoi alleati di Podemos, e quindi di non essere stato un buon leader: “Il PSOE è stato contagiato molto più dal populismo che Podemos dalla socialdemocrazia. Penso che, anche per questo, sia in atto una denaturazione.”
Forse con questo gesto clamoroso, Sanchez vuole provare riprendersi la scena. Ma il sentiero è strettissimo e il suo destino politico sembra ormai segnato. Lo stesso Sanchez, d’altra parte, ha voluto dare un rilievo nazionale a questa importante tornata di amministrative, che vedeva impegnati 32 milioni di spagnoli per il voto di 12 comunità autonome e circa 4000 comuni. E il voto è stato un chiaro plebiscito contro di lui. I socialisti hanno perso roccaforti storiche come Valencia e Siviglia, e a Madrid, la presidente uscente Isabel Diaz Ayuso, che proprio sulla battaglia personale contro Sanchez e il suo governo, ha incentrato tutta la sua carriera politica, ha ottenuto la maggioranza assoluta.
Proprio il risultato di Madrid dimostra come la Spagna stia virando decisamente a destra, considerando che la Ayuso è certamente un’esponente dei popolari molto più a destra del moderato attuale segretario Alberto Núñez Feijóo. E’ ormai innegabile che il futuro dei popolari e della destra spagnola non può non guardare a lei come assoluta protagonista. Anche il risultato di Vox, il partito di destra guidato da Santiago Abascal, che ha doppiato i voti rispetto al 2019 ( 1.608.000, contro gli 812.000 voti del 2019) e che diventa determinante in quasi tutte le regioni per governare, sembra un chiaro segnale che la politica di Sanchez e della sinistra ha miseramente fallito. Il presidente socialista uscente della comunità di Aragón, Javier Lambán, ha definito l’avanzata dei popolari nei governi locali e regionali come uno “tsunami”.
In effetti nessuno alla vigilia poteva immaginare una sconfitta così netta per il premier e per i socialisti. Ma evidentemente hanno pesato sul voto le tante contraddizioni del governo, retto da una alleanza varipinta e troppo litigiosa, come quella mostrata nella recente approvazioone della legge contro la violenza sessuale ( “solo se es si”), fortissimamente voluta da Yolanda Diaz, che ha minacciato l’uscita dal governo in caso non fosse passata. Sanchez e molti maggiorenti del suo partito hanno dovuto giocoforza abbozzare, ma la legge si è rivelata un autentico autogol. Promulgata troppo in fretta e senza pensare a prevedere adeguate modifiche al codice penale, ha avuto il paradossale effetto di ridurre la pena a molti condannati proprio di quell’odioso reato, ed ha attirato sul governo le critiche, non solo della destra, ma anche di molte associazioni femministe. Ma anche la riforma sul lavoro approvata lo scorso anno ( fatta anche sotto le insistenti pressioni della Commissione Europea, che lamentava un eccessivo precariato nel mondo del lavoro in Spagna), smantellando quella del 2012 dell’ex premier popolare Rajoy, vero propulsore della crescita economica della Spagna, non ha prodotto gli effetti sperati, ed ha attirato molte critiche da parte del mondo delle imprese. Senza contare la questione dell’indipendentismo catalano e basco, a cui ha dovuto fare molte concessioni in cambio del loro indispensabile appoggio al governo.
La decisione di dare l’amnistia, decisa da Sanchez nel 2022, a molti ex terroristi, ha fatto gridare allo scandalo, non solo Vox e i popolari, ma ha lasciato perplessi anche ampi strati di una popolazione, che porta ancora dentro di sè le laceranti ferite, lasciate da decenni di terrorismo separatista. Inoltre, come spiega molto bene il professore di economia comparata dell'università complutense di Madrid, Rafael Pampillon, Sanchez non ha fatto praticamente nulla per migliorare la produttività del lavoro in Spagna, che è tra le più basse d’europa e molto poco per ridurre il debito pubblico, che pesa su ogni spagnolo per la cifra record di 28.978 euro, come certificato poche settimane fa dall’Ina, l’istituto di statistica spagnolo. Ma Sanchez si è mostrato anche debole nel gestire le questioni internazionali, come quella ucraina e quella della gestione dei migranti, in cui la Spagna è in prime linea, al pari di Italia e Grecia. Troppo pieno di sè, come gli rimproverano molti suoi detrattori, ha sempre cercato di non urtare troppo la sensibilità dei potenti di Europa, alla ricerca di un maggior rilievo internazionale, che nessuno in questi anni mai gli ha effettivamente riconosciuto. Ha voluto incarnare il socialismo che combatte contro la destra che avanza in mezza Europa, ma senza avere la forza e la leadership necessarie per poterlo fare. Infine molti commentatori gli rimproverano la responsabilità della rottura diplomatica con l’Algeria, con cui sussisteva uno storico trattato di amicizia. Cosa ritenuta ancora più grave in un momento di grande difficoltà a reperire materie prime, come il gas di cui l'Allegria è ricca. Insomma la Spagna si è resa conto evidentemente che le promesse di Sanchez si sono sciolte come neve al sole in pochi mesi. E il suo celebre slogan “Ahora si”, che ancora campeggia, nelle austere stanze della sede del Psoe di Ferraz, risulta adesso irridente e quasi caustico, agli occhi dei suoi tanti detrattori all’interno dello stesso PSOE. Forse questa clamorosa decisione di dimettersi mira a mettere in difficoltà proprio loro e la vicepresidente Yolanda Diaz, che aveva deciso qualche settimana fa di candidarsi con una nuova formazione politica Sumar. Ma certo non potrà salvarlo dalla gogna mediatica e dalle critiche, che stanno arrivando anche dai media notoriamente progressisti, come El Pais. La sua clamorosa debacle è l’emblema di un fallimento di una sinistra europea, che pare aver perso ovunque il contatto con la realtà e con il suo elettorato. E’ non fa che rendere ancora più fosche le previsioni per i progressisti in vista dell’importante appuntamento elettorale per il rinnovo dell’europarlamento nel giugno del prossimo anno