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(Ansa)
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«Varsavia val bene un ministro». Kuleba sacrificato da Kiev per la Polonia

Il rimpasto governativo voluto da Zelensky include le dimissioni del ministro, causate da tensioni con la Polonia su questioni storiche diventate troppo delicate

C’è un’ombra dietro al maxi rimpasto governativo voluto dal presidente Zelensky che punta a «dare nuova energia» al governo di Kiev nel momento forse più cruciale della guerra. E quell’ombra non è – come sbrigativamente si è affrettata a sancire la stampa italiana – il pericolo per l’eccessivo accentramento del potere, che farebbe anche di Kiev un «regime» sul modello russo. No, l’ombra lunga dietro le recenti dimissioni – quantomeno le più clamorose, ovvero quelle del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba – si chiama Polonia.

Sì, è vero che in appena tre giorni si sono dovuti dimettere ben quattro ministri, un sottosegretario e un vice premier (oltre a Kuleba, tra gli altri il ministro per l’Industria strategica Alexander Kamyshin e la responsabile per l’integrazione dell’Ucraina nella Nato, Olha Stefanishyna, insieme al neo responsabile del Fondo delle proprietà statali e al presidente della Ukrenergo, la società che gestisce la rete elettrica nazionale).

Tuttavia, mentre alcune di queste sostituzioni riportano al potente capo dell’amministrazione nazionale Abdrij Yermak, il titolare degli esteri Kuleba invece paga il deterioramento del rapporto suo personale con Varsavia. Un tipo di rapporto che però Kiev non può proprio rischiare di incrinare, visto che l’estrema difesa del Paese invaso dai russi dipenderà (dipende già, a dire il vero) proprio dagli aiuti economici, logistici, umanitari, politici e soprattutto militari della Polonia.

Inoltre, come ha ricordato il ministro degli Esteri polacco, Radosław Sikorski, «sarà la Polonia a decidere sulla chiusura di ulteriori capitoli nei negoziati dell’Ucraina con l’Unione Europea, quindi sarebbe meglio per l’Ucraina risolvere la questione il prima possibile». La «questione», come la chiama Sikorski, sono i massacri di Volhynia, e il tono di Varsavia sul tema è il seguente: «la Polonia non permetterà all'Ucraina di entrare nell'UE finché i due Paesi non l’avranno risolta», come ha dichiarato il vice primo ministro polacco Władysław Kosiniak-Kamysz.

L’antefatto. Quando nelle scorse settimane il polacco Sikorski aveva invitato l’Ucraina a consentire la riesumazione delle vittime dei massacri di Volhynia – luogo in cui, durante la Seconda Guerra Mondiale, i nazionalisti ucraini uccisero circa 100 mila persone di etnia polacca – l’ormai ex ministro degli Esteri Dmytro Kuleba aveva commentato in modo vago e distaccato, liquidando la questione così: «Questioni storiche come il massacro di Volhynia dovrebbero essere lasciate agli storici, in modo che l’attenzione possa spostarsi sulla costruzione di un futuro condiviso». Il commento tranchant del ministro è stato ovviamente accolto in Polonia con disgusto e rabbia, oltretutto perché arrivato proprio a margine di un evento organizzato per la Giornata nazionale di commemorazione delle vittime di quel terribile genocidio. E Varsavia non poteva passarci sopra.

Le osservazioni quasi sprezzanti di Kuleba sui massacri di Volhynia, infatti, sono una questione annosa che a fasi alterne fomenta le tensioni tra i due alleati. Dunque, come richiesto dal governo di Varsavia in via informale, il presidente Zelensky ha ottenuto, in ossequio alla «gratitudine verso ciò che la Polonia sta facendo oggi per l’Ucraina», la testa del suo pezzo più grosso. Tutto, insomma, pur di scongiurare una frattura con la Polonia che, specie in questa fase del conflitto, potrebbe risultare fatale a Kiev.

Certo, come ha ricordato Oleksii Honcharenko, tra i pochissimi deputati apertamente critici nei confronti di Zelensky, sarà pur vero che il governo di Kiev «è ormai una dépendance dell’ufficio presidenziale», ma si è - come noto, anche se vale la pena ricordarlo - in tempo di guerra e sotto la legge marziale; di un tipo di guerra oltretutto da cui dipende la sopravvivenza stessa dell’Ucraina per come la conosciamo. E certo - questa almeno la versione di Kiev - il governo non s’impiccherà certo sulla sostituzione di alcune pedine pur importanti, perché c’è un disegno molto superiore rispetto a un rimpasto: ed è quello di garantirsi che la Polonia e il resto dell’Europa restino strenuamente dalla propria parte, pena l’estinzione.

«Il Ministro Kuleba ha commesso un errore, quindi è meglio per l’Ucraina risolvere la questione dell’esumazione il prima possibile», aveva tuonato il polacco Sikorski su X martedì scorso, aggiungendo che «l’Ucraina deve comprendere i lati oscuri della sua storia» e che «le vittime polacche dei massacri di Volhynia meritano una sepoltura adeguata». Di questo, delle esumazioni cioè, Radosław Sikorski ne aveva parlato durante i colloqui bilaterali con Kiev. Ed ecco che prontamente è arrivata la risposta nei fatti di Volodymyr Zelensky: la testa di Kuleba per la pace tra due nazioni alleate.

Una pace, peraltro, che minaccia la stessa Polonia, sempre più timorosa della furia bellica russa e piuttosto scettica sulla possibilità che Kiev riesca da sola – senza cioè l’intervento di truppe europee sul campo – a sconfiggere la macchina bellica del Cremlino. Prova ne siano i non pochi missili e sorvoli di jet (e di droni) russi che, da due anni a questa parte, sovente sconfinano nello spazio aereo polacco. Si aggiungano anche i bombardamenti di Mosca che ormai sono arrivati fino alla città di Leopoli, dunque a pochi chilometri dal confine con la Polonia, recentemente colpita con i micidiali missili ipersonici Kinzhal, e che piovono su questo e sugli altri centri abitati dell’Ucraina anzitutto per scatenare panico e terrore.

Proprio questa settimana, prima dell’infelice uscita di Kuleba (ma dopo gli attacchi russi sulle infrastrutture civili), Varsavia aveva dichiarato che la Polonia e gli altri Paesi confinanti con l’Ucraina hanno il «dovere di abbattere i missili russi prima che entrino nel loro spazio aereo». E questo nonostante la contrarietà della Nato.

A farlo, a difendere cioè la possibilità dell’Ucraina di avere al suo fianco alleati che ingaggino direttamente scontri a fuoco con l’invasore, è stato ancora una volta il ministro degli Esteri Radosław Sikorski dalle pagine del Financial Times. Il quale ritiene che coinvolgere l’Alleanza atlantica nella guerra russa contro l’Ucraina in funzione difensiva sia non solo legittimo ma inevitabile.

Musica per le orecchie di Zelensky e dei vertici militari di Kiev. Che, di conseguenza, seguendo l’adagio immarcescibile del mors tua vita mea, hanno deciso di sacrificare Dmitro Kuleba per quello che hanno ritenuto essere «un bene superiore», approfittandone per eliminare altri non in linea con la presidenza, secondo la logica del rimpasto. Probabilmente Volodymyr Zelensky, oggi in Italia per partecipare al Forum Ambrosetti di Cernobbio, conosce anche la storia di Enrico di Navarra, che abbandonò la fede ugonotta e si fece cattolico per poter diventare re di Francia: così come «Parigi val bene una messa», oggi Varsavia val bene un ministro.

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Luciano Tirinnanzi