Putin si lega a Xi Jinping dato che, solo e debole, non ha alternative
Malgrado i proclami ed i racconti da Guerra Fredda la visita del presidente cinese a Mosca mostra tutta la debolezza del Cremlino di oggi
Xi Jinping arriva in una Mosca blindata e tirata a lucido come nelle migliori occasioni. Forse la migliore di tutte. Di certo, arriva nell’ora della speranza per il Cremlino, che dalla visita di Stato del leader cinese spera di cavarne qualcosa di buono per uscire dall’impasse in cui Vladimir Putin e i suoi sodali hanno gettato il Paese, costringendolo a una guerra da cui i russi stanno ricavando più umiliazioni che altro.
Ecco perché Putin stesso ha voluto che al presidente cinese fosse tributata un’accoglienza faraonica, con le cinquanta vetture del corteo d’onore e di sicurezza che sfilavano in processione, mentre all’aeroporto risuonava ancora la fanfara d’onore, intervallata da marcette e canti militari.
Subito, Putin ha organizzato un colloquio a porte chiuse tra i due leader, come uno sposo che ha impellenza di consumare quanto prima il matrimonio. E che si è affrettato a dichiarare: «Siamo sempre aperti a un processo di negoziazione». Ma, dopo i convenevoli e i flash in favore dei fotografi, il bilaterale non dev’essere stato troppo intimo, né pare sia entrato nel vivo delle questioni più delicate. Anche perché il messaggio più forte che si poteva dare, sufficiente al resto del mondo per comprendere che Pechino sostiene Mosca, nonostante tutto, era la presenza del leader cinese in terra russa. Tanto bastava.
Chissà che il banchetto di questa sera organizzato al Cremlino in lode del «caro amico» Vladimir Putin (come dichiarato dallo stesso Xi), invece, non resti indigesto a qualcuno. Il menu prevede un pasto di sette portate: cibo prevalentemente russo, tra cui una tradizionale zuppa di pesce russa e frittelle con quaglia. Ma il piatto forte sono i termini dell’alleanza strategica con cui Pechino intende d’ora in avanti sottomettere Mosca. Accordi inevitabilmente sbilanciati verso l’Asia, che inevitabilmente potrebbero segnare la fine stessa della supremazia russa in Eurasia per molto, troppo tempo.
Putin ne è consapevole, ma questo ormai è uno dei problemi minori per il presidente della Federazione russa. Il viaggio di Xi è stato opportunamente presentato al popolo russo come l’evento diplomatico più importante dell’anno, giacché arriva in un momento particolarmente delicato per il Paese. Senz’altro il più difficile della vita politica di Putin, paragonabile al trauma di quando vide sgretolarsi l’Unione Sovietica.
«Con la sua invasione in gran parte bloccata, le perdite militari in aumento e la sua reputazione personale recentemente macchiata da un mandato di arresto per crimini di guerra emesso dalla Corte penale internazionale, Putin ha un disperato bisogno di una distrazione che lo sostenga» riflette il Washington Post.
A pensarci bene, però, il mandato di arresto a carico del presidente della Federazione russa rappresenta una macchia anche per Pechino. Intanto, è il primo passo verso nuove imputazioni per crimini di guerra a carico del presidente russo che, c’è da giurarlo, presto seguiranno. In secondo luogo, agli occhi della comunità internazionale questo pone Putin alla stregua di dittatori quali Milosevic e Gheddafi, e sappiamo fin troppo bene come sono finiti. Pertanto, l’idea di frequentare uomini in declino non può essere un elemento di particolare vanto per Xi. A meno che non si voglia sostenere che Xi Jinping gode nel banchettare «sui cadaveri dei leoni», come vuole il detto arabo. Ma credere di aver vinto perché il leone è impotente, non è molto saggio.
Per Vladimir Putin, inoltre, d’ora in avanti sarà difficile anche solo viaggiare in giro per il mondo, considerato che in oltre 100 Paesi potrebbe essere soggetto ad arresto. E questo lo rende già adesso un leader dimezzato: non potendo più visitare l’Europa, ad esempio, o molti dei Paesi che ospitano tanto il G20 quanto le manifestazioni sportive, è costretto ad accettare un vassallaggio nei confronti del potente vicino di casa senza poterne dettare le condizioni. Paradossalmente, potrà ancora frequentare il Palazzo di Vetro di New York e il consiglio di Sicurezza Onu, ma non metterà più piede a Berlino, per dirne una.
Xi, invece, è più che mai rinvigorito dal terzo mandato da presidente-segretario, ed è più che mai convinto che aver messo allo stesso tavolo Iran e Arabia Saudita - i due nemici storici dello scacchiere mediorientale, che hanno così riallacciato le relazioni diplomatiche - sia stata una mossa strategica sufficiente a proiettarlo nell’empireo dei grandi leader mondiali. Di certo, l’iniziativa denota grande capacità negoziale e lungimiranza. Che poi questo si traduca davvero in qualcosa di concreto, è però ancora presto per dirlo.
Se dunque questo incontro al vertice marca la differenza tra i due dittatori, è anche vero che cristallizza una situazione tale per cui l’intera Russia è ormai percepita come una potenza di diminuita grandezza. Può tutto questo andar bene alle élite russe, che mai sono state tenere nei confronti della Cina?
Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese sono sì Paesi amici in nome di interessi geopolitici ed economici convergenti, ma non è sempre stato così. Le relazioni tra Unione Sovietica e Repubblica Popolare Cinese, sancite dalla vittoria dei comunisti di Mao nell’ottobre del 1949, sono passate dall’«eterna amicizia» degli anni Cinquanta a un progressivo peggioramento delle relazioni, dovuto anzitutto ai dissidi tra visioni dei rispettivi partiti ed economie in aperto contrasto, che hanno condotto i due antagonisti dell’Asia a un’aperta ostilità già a partire dagli anni Sessanta e praticamente fino in limine mortis dell’Urss (eccettuata la mano tesa del riformista Deng Xiaoping). Nei circoli culturali russi non meno che in Cina, la diffidenza tra i due Paesi è ancora viva. Cosicché in Russia, dove ieri si attribuivano le responsabilità del cattivo vicinato all’ideologia di Mao Zedong, oggi si teme che il Dragone spinto dall’ambizione smodata di Xi Jinping voglia ora banchettare con l’Orso.
E di ragioni per temerlo ve ne sono fin troppe e fin troppo evidenti. Da qui l’idea russa, forse peregrina forse no, di scaricare lo stesso Vladimir Putin in favore di una leadership meno incerta e più conciliante non tanto con la Cina, quanto con l’Occidente.
Xi Jinping, al contrario, è a Mosca per assicurarsi che ciò non accada. Brinda a una lunga vita per Vladimir Putin e si ostina a sognare il tanto decantato «nuovo ordine mondiale». Ma, come per la fallimentare politica dello «zero Covid», il suo patologico impuntarsi su posizioni talvolta insostenibili, alla lunga potrebbero costringerlo a cambiare idea repentinamente. E abbandonare il leader russo al suo destino.
Oggi Mosca è senz’altro più vicina che mai a Pechino, ma non è la stessa potenza che era anni fa. E dunque Xi va piuttosto a raccogliere i cocci di un Paese impantanato in una guerra logorante (al punto che potrebbe persino patire una sconfitta militare). Un Paese che ha appena perso il suo miglior cliente per le commesse energetiche e il cui leader, minacciato all’esterno, è per la prima volta messo in discussione al suo stesso interno. Un Paese che non può neanche presentarsi al tavolo negoziale con l’Ucraina con in mano la proposta cinese, semplicemente perché quella proposta è poco più che una lettera d’intenti generica e non decisiva ai fini della pace.
Insomma, anche se questi due «leader a vita» immaginano un dominio globale nel prossimo futuro e troveranno un terreno comune su come gestire la guerra, entrambi sanno di giocare a parti invertite. Il comando, per sua stessa definizione, non è qualcosa che si condivide.
Così Putin con la cena di gala odierna è come se si consegnasse armi e bagagli a Xi, mentre quest’ultimo sfrutterà la sua partnership con Mosca solo ed esclusivamente per contrastare Washington, per poi scippare a Mosca il titolo di superpotenza. Molto del successo delle loro iniziative, inoltre, dipenderà dall’esito del conflitto. Un conflitto dove però l’America si è impegnata in prima persona per garantire che la Russia non possa vincere mai.
Vladimir Putin ha essenzialmente detto un’unica cosa rilevante nell’incontro con Xi Jinping: «Ascolteremo con grande interesse le proposte [cinesi] per risolvere l’acuta crisi in Ucraina». Domani, infatti, è il giorno clou della visita di Stato, quando le delegazioni russa e cinese terranno colloqui. Ma quel che c’era da dire è stato detto. E la sensazione è che, calato il sipario, la guerra ricomincerà con più veemenza di prima. Magari grazie anche ad armi cinesi.
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