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Quel campanello della Chiesa svedese

L'editoriale del direttore

Giorni fa ho letto che la Chiesa di Svezia è stata incaricata dall’Agenzia nazionale per le emergenze civili di prepararsi alla possibilità di seppellire 30 mila persone in caso di guerra. Sì, avete letto bene: il Paese che della neutralità ha fatto una bandiera (persa la Finlandia, conquistata quasi 200 anni fa da Pietro il Grande, Gustavo XIV proclamò lo stato di neutralità del regno) non esclude un conflitto con decine di migliaia di vittime. Tutto ciò dopo l’adesione della nazione scandinava alla Nato, come reazione all’invasione dell’Ucraina. Gli svedesi sono previdenti e dunque il dipartimento per i cimiteri della Chiesa luterana si è subito messo al lavoro, chiedendo ai municipi di individuare i luoghi dove seppellire i caduti. Al comune di Göteborg, per esempio, sono stati richiesti dieci ettari di terreno, in modo da far fronte alle esequie del cinque per cento della popolazione.

Lo so, forse vi sembrerà di cattivo gusto e un po’ iettatorio parlare di morti in prossimità del Natale e dell’anno nuovo. Tuttavia, a me stupisce che una notizia del genere, diffusa a Stoccolma dalla Sveriges Radio, ossia dalla radio del servizio pubblico svedese, passi così, come un’informazione tra le tante che si ascoltano distrattamente mentre si cucina o si guida l’auto nel traffico cittadino (questo numero di Panorama, a pag. 60,dedica anche un servizio su come Svezia e alcuni altri Paesi si stanno preparando a un eventuale conflitto).

Che un membro dell’Alleanza atlantica predisponga un piano d’emergenza che include decine di migliaia di morti in conseguenza di una guerra è cosa che dovrebbe far sobbalzare chiunque, perché al di là dell’efficienza organizzativa di alcuni Stati nordici, è evidente che la Nato considera altamente probabile un conflitto che coinvolga l’Europa. Non siamo più alle ipotesi geopolitiche, valutate in segreto da esponenti dello Stato maggiore delle diverse nazioni: siamo alla pianificazione di un conflitto. O, se vi sembra meno dura da accettare, siamo alla predisposizione delle misure da adottare in caso di aggressione. Il che naturalmente non cambia molto, in quanto sia che si decida l’entrata in guerra a sostegno dell’Ucraina, come a volte sembrerebbero lasciar pensare le bellicose dichiarazioni di un galletto francese come Emmanuel Macron (il quale forse pensa di recuperare la perdita di consenso trasformandosi in un moderno De Gaulle), sia che si valuti un coinvolgimento non voluto per colpa magari di un missile che finisce dove non dovrebbe, sempre di conflitto si tratta. Per i cittadini europei, che da quasi ottant’anni vivono in pace e hanno accettato la perdita di una parte della sovranità dei loro Paesi proprio per inseguire il sogno di un continente senza conflitti, sarebbe un brusco risveglio.

Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra fredda, nessuno ha mai messo in conto che l’Europa potesse essere teatro di manovre belliche. Prova ne sia che quasi tutti i Paesi hanno rinunciato ad armarsi e l’addestramento dei militari è stato virato verso le emergenze civili. Su 27 nazioni dell’Unione europea, solo nove hanno il servizio di leva obbligatorio. In tutti gli altri casi le Forze armate sono composte da militari di carriera e dunque gli effettivi non sono in grado di sostenere un conflitto. Insomma, in Svezia ci si prepara ad allargare i cimiteri per far posto alle tombe di soldati uccisi in battaglia, ma in quasi tutto il continente non pare che ci sia una seria riflessione su come preparare gli eserciti e come incrementare i sistemi di difesa. Sì, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, su sollecitazione degli Stati Uniti si discute di aumentare le spese militari, portandole al due per cento del Pil, ma il dibattito procede nel disinteresse dell’opinione pubblica e soprattutto dei partiti, che avrebbero il compito di informare gli elettori.

La Repubblica italiana ripudia la guerra come metodo di soluzione dei conflitti, ma non basta un articolo della Costituzione per evitare di essere trascinati in battaglia. Vi state chiedendo se per caso io sia diventato guerrafondaio? Tutt’altro. Dal 24 febbraio del 2022 invito a riflettere sulle conseguenze di ciò che sta accadendo a poche migliaia di chilometri da casa nostra e cito spesso lo scoppio della Prima guerra mondiale, che nessun Paese voleva ma in cui l’Europa si trovò coinvolta senza accorgersene. Siamo sull’orlo di un nuovo scontro mondiale e i segnali che ci giungono sono molteplici, ma noi continuiamo a far finta di nulla, come se le bombe che cadono in Donbass e le centinaia di migliaia di morti russi e ucraini non ci riguardassero. Io non voglio andare a occhi chiusi verso la guerra. Voglio che l’Europa si fermi prima. È per questo che la notizia della Chiesa svedese mi sembra l’ultimo campanello d’allarme.

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Maurizio Belpietro